DA WEBB LO SPETTRO PERFETTO DI UN QUASAR REMOTO

Viaggio al termine della pipeline

«Quando ho visto le righe sono rimasta impressionata. Erano tutti a bocca aperta: non s’era mai vista una cosa del genere», dice Federica Loiacono, astrofisica all’Inaf di Bologna e prima autrice di uno studio, pubblicato questa settimana su A&A, sulla massa e le proprietà di un lontanissimo quasar derivate dagli straordinari dati ottenuti grazie a NirSpec, lo spettrografo per il vicino infrarosso di Jwst

     17/05/2024

Le unità di campo integrale combinano le capacità di imaging e spettroscopiche per acquisire una spettroscopia bidimensionale risolta spazialmente in una singola esposizione astronomica. Disperdendo la luce da elementi spaziali discreti del campo visivo, viene acquisita un’immagine della sorgente a ogni lunghezza d’onda e, in modo equivalente, uno spettro per ogni posizione spaziale. Crediti: Stsci

Lo studiano da così tanto tempo che ormai lo chiamano semplicemente il quasar. I suoi fotoni hanno viaggiato per 13 miliardi di anni. E alcuni di essi – i protagonisti dell’osservazione che stiamo per raccontarvi – una fine migliore non potevano farla: la loro avventura si è infatti conclusa, a circa un milione e mezzo di km dalla Terra, andando a impattare sull’unità a campo integrale (Ifu, Integral Field Unit) dello spettrografo NirSpec di Jwst, il telescopio spaziale Webb.

Questo avveniva fra il 22 e il 23 settembre 2022, durante le sette ore e mezza d’esposizione dedicate al Programma 1554, uno dei nove progetti a guida italiana del primo ciclo osservativo di Jwst. Il Programma 1554 è guidato da un ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica, Roberto Decarli, e ha come obiettivo osservare la fusione fra la galassia che ospita il quasar – nome in codice, PJ308-21 – e due sue galassie satelliti. Per ottenere quelle sette ore e mezza di tempo del miglior telescopio spaziale mai realizzato, Decarli e la sua squadra si sono dati da fare per anni, e hanno dovuto superare una durissima selezione. D’altronde stiamo parlando di tempo davvero prezioso: volendo dargli un prezzo, oltre 200mila euro all’ora, dicono le stime. Detto altrimenti, il pacchetto di dati scientifici – uno fra i primi inviati a terra dal telescopio – contenente quelle sette ore e mezza d’osservazioni valeva più o meno un milione e mezzo di euro. Possiamo immaginare l’eccitazione con la quale Decarli e colleghi, appena saputo che era pronto per essere prelevato, lo hanno scaricato dall’archivio di Jwst e lo hanno aperto.

Il quasar – il loro quasar – era finalmente lì, nel disco del pc. Ed è da lì che ha inizio la seconda parte del viaggio dei suoi fotoni, divenuti a questo punto bit. Bit che solo poche persone al mondo sono in grado d’interpretare. Una di queste persone è Federica Loiacono, astrofisica che lavora con Decarli all’Inaf di Bologna. Ancora le vengono i brividi a ricordare quell’insolito unboxing.  «All’inizio, quando sono arrivati i dati, non si capiva niente», dice a Media Inaf. «Non si vedeva proprio, questo quasar. Eravamo preoccupati. Ci siamo messi attorno a un tavolo per cercare di capire cosa c’era che non andava».

In realtà non c’era nulla che non andava. È solo che le osservazioni, in particolare queste spettroscopiche, non vengono servite bell’e pronte, chiavi in mano: richiedono una paziente opera di pulitura e ricostruzione, la cosiddetta riduzione. Una serie precisa di algoritmi da applicare a cascata che gli addetti ai lavori chiamano pipeline, nel corso della quale l’immagine – o meglio, in questo caso, lo spettro – pian piano emerge. È un po’ come quando si fa una risonanza magnetica: senza una complessa fase di post-processing, i dati acquisiti dai ricevitori sarebbero del tutto incomprensibili.

Se la pipeline di Jwst è dunque una sorta di bacchetta magica in grado di svelare l’autentico aspetto degli oggetti che si celano nel mare di zeri e di uni inviati dal telescopio, la sua Hermione – perlomeno qui in Italia, dov’è referente per la riduzione dei dati NirSpec al Jwst Support Center – è proprio Federica Loiacono. Originaria di Sannicandro di Bari, appassionata di fotografia e da qualche mese anche collaboratrice di Media Inaf, quando l’abbiamo raggiunta per farci raccontare la storia del “suo” quasar si trovava alle Hawaii, nella città di Hilo, alle pendici del vulcano Manua Kea, a insegnare ad alcuni astronomi che lavorano laggiù come si riducono i dati di Webb: una competenza che Loiacono si è costruita nel tempo, partendo da una serie di webinar organizzata dallo Space Telescope Science Institute di Baltimora, e che ora si sta rivelando preziosissima.

Spettro del quasar PJ308-21 ottenuto con lo strumento NirSpec di Webb. Si notano le quattro righe dell’idrogeno (H) alfa, beta, gamma e delta della serie di Balmer. Crediti: F. Loiacono et al., A&A, 2024

Ed è così che in pochi giorni, adattata la pipeline ad abili colpi di Python, Loiacono riesce a estrarre il grafico che vedete qui sopra. A noi può lasciarci del tutto indifferenti, ma per chi sa cosa significhi ottenere lo spettro del cuore di una galassia nata a ridosso del big bang, e distante oggi da noi decine di miliardi di anni luce, è qualcosa di arduo anche solo da descrivere.

«Quando ho visto le righe», dice Loiacono riferendosi ai picchi della curva nera, «sono rimasta impressionata. Lo abbiamo presentato a un workshop in Germania la settimana successiva, era la prima volta che venivano mostrati dati da Jwst di un quasar così distante, e sono rimasti tutti a bocca aperta: non s’era mai vista una cosa del genere. È una fra le prime volte in cui riusciamo a distinguere le righe H-alfa e H-beta in un oggetto a questa distanza. E la riga H-beta è il tracciante principe per stimare la massa di un buco nero».

Le righe H-alfa e H-beta citate da Loiacono sono le firme della presenza, là attorno al buco nero supermassiccio che alimenta il quasar, di nubi di idrogeno. La riga H-beta, in particolare, è un indicatore molto affidabile per stimare la velocità alla quale il gas sta orbitando intorno al buco nero. E mettendo insieme raggio e velocità diventa possibile calcolare la massa di quell’antichissimo buco nero: il risultato, riportato questa settimana su Astronomy & Astrophysics in uno studio guidato da Loiacono e Decarli, dice 2.7 miliardi di masse solari. Confermando una precedente stima ottenuta da un’altra riga spettrale, quella del magnesio, osservata con il Vlt, il Very Large Telescope dell’Eso.

Federica Loiacono, ricercatrice all’Inaf di Bologna e prima autrice dello studio su PJ308-21 in uscita su A&A, qui alle Hawaii davanti allo spettro del quasar da lei ottenuto usando i dati dello spettrografo NirSpec di Jwst. Crediti: F. Loiacono/Inaf

Un buco nero di mole spaventosa, per un’epoca così remota. Cresciuto dunque molto velocemente. Troppo, secondo alcuni modelli teorici. Ma l’incredibile nitidezza dello spettro di Webb non lascia scelta: se c’è qualcosa da rivedere, non sono i dati, piuttosto sono le teorie – alcune teorie, alcuni modelli, appunto.

«Paradossalmente, ottenere uno spettro così perfetto ci ha messo in crisi», spiega infatti Loiacono. «Trovare un modello che potesse riprodurre questi dati non è stato facile. Avendo questa forma estremamente definita, che sembra essa stessa un modello, ci ha dato del filo da torcere. Ci permette di escludere molti modelli, certo, e al tempo stesso ne mette in evidenza i limiti».

E a proposito di limiti: finora abbiamo parlato di un solo quasar. Per rimettere mano alla teoria occorrerà osservarne parecchi – sempre con Webb, sempre con il suo impareggiabile strumento NirSpec. «La nostra speranza è di poter ripetere lo studio su un’altra ventina di oggetti simili», conclude Loiacono. La pipeline è già lì pronta, non aspetta altro.

Per saperne di più:

  • Leggi su Astronomy & Astrophysics l’articolo “A quasar-galaxy merger at z∼2: black hole mass and quasar properties from the NIRSpec spectrum”, di Federica Loiacono, Roberto Decarli, Marco Mignoli, Emanuele Paolo Farina, Eduardo Bañados, Sarah Bosman, Anna-Christina Eilers, Jan-Torge Schindler, Michael A. Strauss, Marianne Vestergaard, Feige Wang, Laura Blecha, Chris L. Carilli, Andrea Comastri, Thomas Connor, Tiago Costa, Massimo Dotti, Xiaohui Fan, Roberto Gilli, Hyunsung D. Jun, Weizhe Liu, Alessandro Lupi, Madeline A. Marshall, Chiara Mazzucchelli, Romain A. Meyer, Marcel Neeleman, Roderik Overzier, Antonio Pensabene, Dominik A. Riechers, Benny Trakhtenbrot, Maxime Trebitsch, Bram Venemans, Fabian Walter e Jinyi Yang