SOTTO GLI OCCHI DI ALMA E DI HUBBLE

Osservata la danza delle prime galassie

Un team di ricercatori è riuscito in un’impresa che finora sembrava impossibile: cogliere i dettagli di una fusione fra galassie avvenuta quando l’universo ancora doveva compiere il suo primo miliardo di anni. A guidare lo studio, in uscita su ApJ, è stato Roberto Decarli dell’Inaf di Bologna. Lo abbiamo intervistato

     19/06/2019

Roberto Decarli, primo autore dello studio pubblicato su ApJ. Crediti: Eliana Lacorte / Media Inaf

Confermata la fusione tra un quasar ad alto redshift (z ≈ 6,2) e una galassia compagna. Vale a dire, una fusione fra galassie avvenuta in tempi remotissimi: circa 12.8 miliardi di anni fa, quando l’universo ancora doveva spegnare il suo primo miliardo di candeline. Non solo: per la prima volta è stato anche possibile distinguere gas e componente stellare di un oggetto così distante, nonostante la presenza dell’abbagliante quasar. Il risultato – ottenuto grazie alle osservazioni con Alma, l’Atacama Large Millimeter/submillimeter Array, e con il telescopio spaziale Hubble – è descritto in uno studio in uscita su The Astrophysical Journal.

Buchi neri supermassicci in rapido accrescimento, i quasar sono sorgenti particolarmente brillanti. Il materiale in caduta verso il buco nero si riscalda per attrito ed emette così tanta radiazione da mettere in ombra le restanti centinaia di migliaia di stelle della galassia ospite. Proprio per la loro forte luminosità, i quasar sono uno strumento fondamentale nello studio dell’universo giovanissimo, perché sono visibili anche a grandissima distanza.

Due anni fa, in uno studio pubblicato su Nature, un team di ricercatori aveva individuato 4 quasar particolari, tra i 27 osservati, che mostravano segni di merging – ovvero, di fusione. Ora i ricercatori hanno trovato conferma di interazione mareale tra uno di quei 4 quasar e la sua galassia compagna. Media Inaf è andata a parlarne con Roberto Decarli, ricercatore all’Inaf Oas di Bologna, primo autore di entrambi gli studi.

«Volevamo comprendere meglio queste sorgenti. In particolare ne abbiamo scelta una che sembrava particolarmente interessante perché il compagno era molto vicino al quasar. L’abbiamo riosservata con Alma, ma a più alta risoluzione angolare, e poi l’abbiamo osservata col telescopio spaziale Hubble. La cosa è stata interessante per due motivi», spiega Decarli. «Primo, dall’osservazione con Alma si ottiene una mappa del gas freddo della galassia compagna che si vede allungarsi per 25 kpc: è cioè molto allungato e sembra connettersi con la galassia ospite del quasar. Secondo, visto che stiamo osservando una riga di emissione, possiamo guardare se c’è effetto Doppler: in effetti abbiamo trovato che c’è un gradiente di velocità sia a ovest sia a est, e che il quasar ha velocità a livelli intermedi».

Mappa della formazione stellare nel sistema Pj308-21, tracciata dall’emissione Uv prodotta dalle stelle giovani, dal gas che emette nella riga del carbonio ionizzato, [CII], e dalle polveri interstellari. La sovrapposizione delle tre mappe, mostrata nell’ultimo pannello, enfatizza la complicata interconnessione fra le varie componenti. Figura adattata da Decarli et al. (2019) ApJ

Questo cosa significa?

«Significa che le due galassie sono gravitazionalmente legate, e che la compagna sta girando attorno alla galassia che ospita il quasar. Dunque stanno interagendo, sono un merger».

Perché è stato necessario guardare lo stesso oggetto con due diversi telescopi, Alma e Hubble?

«Con Hubble abbiamo osservato le stelle giovani, che emettono nell’ultravioletto ma, per un oggetto a redshift 6, vengono viste nel vicino infrarosso. Con Alma, invece, abbiamo osservato il gas freddo della galassia compagna, la cui emissione nel lontano infrarosso, sempre per un oggetto a redshift 6, si osserva nel submillimetrico. Quindi, in questo modo, osserviamo la formazione stellare da una parte e il suo carburante, ovvero il gas freddo, dall’altra. La particolarità è che, per ottenere con Hubble l’immagine della compagna, si deve sottrarre l’emissione del quasar, sfruttando opportuni modelli che ne descrivono il profilo di luminosità. Ciò che resta è una componente, a destra e a sinistra del quasar, che si allunga esattamente dove avevamo visto l’emissione del gas con Alma, e quindi si ha la doppia evidenza che questa luce diffusa non è una galassia a diverso redshift, ma una compagna interagente con il quasar».

Un risultato importante?

«Sì, la cosa è particolarmente interessante perché in tanti, compresi noi, avevano provato a studiare questi quasar a questi redshift con Hubble, ma hanno sempre fallito perché si vede il quasar e non si vede nient’altro. Invece questa è la prima volta che si vede la luce delle stelle della galassia ospite».

Può trattarsi allora di un bias osservativo? Voglio dire, avete trovato con Alma un ottimo candidato merger, data la sua estensione, e poi l’avete studiato meglio con Hubble sapendo già di avere un oggetto interessante?

«Esatto. Abbiamo fatto richiesta per ottenere ulteriore tempo di osservazione con Hubble per confermare questa cosa. Sembrerebbe che ci sia questo bias di conferma, per cui sembra più conveniente osservare un gran numero di oggetti con Alma, che con osservazioni veloci – dell’ordine delle decine di minuti – dà una risposta sulla scala angolare. Se poi l’oggetto è effettivamente esteso, allora lo si guarda anche con Hubble».

In quale altro modo si può approfondire questo studio?

«Queste sono stelle giovani, ed è difficile fare una stima della loro massa, perché stai guardando un’emissione in ultravioletto, molto sensibile alla presenza di polvere e molto sensibile all’età delle stelle. Abbiamo spinto Hubble alle lunghezze d’onda a cui poteva osservare, invece con il telescopio spaziale James Webb si potranno guardare bande più rosse, che quindi riguardano popolazioni stellari meno estreme e che consentono una misura della massa delle stelle. Questa informazione, che al momento manca, è un ingrediente molto importante per verificare se i modelli funzionano. Come si sono formate grosse galassie, con buchi neri supermassicci, quanto questi buchi neri abbiano accresciuto, l’evoluzione chimica… Tutto è in qualche modo legato alla massa delle stelle».

Per saperne di più:

  • Leggi il preprint dell’articolo in uscita su The Astrophysical Journal “ALMA and HST kiloparsec-scale imaging of a quasar-galaxy merger at z≈6.2”, di Roberto Decarli, Massimo Dotti, Eduardo Bañados, Emanuele Paolo Farina, Fabian Walter, Chris Carilli, Xiaohui Fan, Chiara Mazzucchelli, Marcel Neeleman, Mladen Novak, Dominik Riechers, Michael A. Strauss, Bram P. Venemans, Yujin Yang e Ran Wang