DA BINARIE MASSICCE CHE GIOCANO A PING PONG

Tre lampi gamma al rallentatore cosmologico

Studiando 368 Grb osservati da Swift tra il 2005 e il 2023, e concentrandosi in particolare su tre fra i più lontani, dunque più sensibili all’effetto della dilatazione cosmologica del tempo, un team di ricercatori guidato da Carlo Luciano Bianco dell’Icranet è giunto a ipotizzare un’origine comune per lampi gamma lunghi e corti. Il risultato è pubblicato su ApJ

     16/05/2024

Carlo Luciano Bianco, ricercatore all’Icranet e primo autore dello studio pubblicato su ApJ

I lampi di raggi gamma – o Grb, dall’inglese gamma ray burst – hanno una caratteristica antipatica, dal punto di vista di chi si trova a studiarli: durano quanto un lampo, appunto. Come il lampo di Pascoli, quello che “s’aprì si chiuse, nella notte nera”. Dunque per analizzarli fin dagli esordi occorre coglierli nel tratto – perlopiù brevissimo – fra la loro comparsa e la loro scomparsa. Come fare? Occorrono telescopi rapidissimi, telescopi spaziali come Swift, pronti a reagire senza indugio al cosiddetto trigger, il segnale iniziale colto dai sensori e che dà avvio alle osservazioni. Ma viene in aiuto anche la Natura: grazie a un fenomeno noto come dilatazione cosmologica del tempo – cosmological time dilation, in inglese – che consente di osservare eventi molto distanti al rallentatore. Permettendo così di guadagnare secondi preziosi.

Ed è proprio avvalendosi di questo effetto che un team di ricercatori guidato dall’Icranet di Pescara, fra i quali Massimo Della Valle dell’Inaf, ha studiato attentamente 368 Grb osservati da Swift tra il 2005 e il 2023. Concentrandosi in particolare su tre fra i più lontani, e dunque più rallentati, sono riusciti a ricostruire uno scenario che unifica i progenitori dei Grb “lunghi”, quelli di solito associati al collasso di una stella di grande massa, e dei Grb “corti”, associati invece alla fusione di stelle di neutroni. Entrambi potrebbero avere un’origine comune: un sistema binario di stelle massicce. In che modo? Lo abbiamo chiesto al primo autore dello studio pubblicato la settimana scorsa su ApJ, Carlo Luciano Bianco – nato a Roma nel 1977 «da genitori entrambi chimici, quindi io sono la pecora nera della famiglia», dice a Media Inaf, e con «un figlio che per il momento è ancora troppo piccolo per interessarsi a questi problemi».

Il vostro studio si basa su un fenomeno fisico, la dilatazione cosmologica del tempo, grazie al quale più un processo è avvenuto lontano nello spaziotempo e più lo vediamo accadere rallentato. È così? E rallentato quanto, nel caso dei vostri Grb – i tre lampi gamma sui quali vi siete concentrati?

«Sì, è precisamente così. A causa dell’espansione dell’universo, quanto più un fenomeno si svolge lontano da noi tanto più lo vediamo “rallentato”. Se il fenomeno dura un tempo t, a noi appare durare un tempo t moltiplicato per (1+z), dove z è un numero corrispondente al cosiddetto redshift cosmologico del punto in cui il fenomeno si sviluppa: più è distante da noi, più z aumenta. I Grb sono tra gli oggetti più luminosi dell’universo, se i nostri occhi potessero vedere nei raggi gamma ci abbaglierebbero. Quindi li possiamo vedere anche a distanze molto grandi, fin quasi a z=10, corrispondente a poche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, per capirci. Per un Grb a z=3, per esempio, vediamo l’emissione durare il quadruplo di quello che è durata in realtà, essendo 1+z=4. I tre Grb analizzati in dettaglio nel nostro articolo, che si trovano a z=4.6, z=8.2 e z=9.4, li vediamo rallentati rispettivamente di 5.6, 9.2 e 10.4 volte».

Questo rallentamento cosmologico è un fenomeno che riguarda solo i Grb o è comune a tutti i processi osservati ad alto redshift?

«È un effetto di cosmologia assolutamente generale, non riguarda un oggetto specifico. Qualsiasi fenomeno osservato a un redshift z ci appare rallentato di un fattore 1+z. Si vede molto bene nei Grb perché li osserviamo a grande distanza. Ma anche, ad esempio, nelle supernove che osserviamo tra z=0.5 e z=1 l’effetto è ben visibile».

Veniamo allo strumento da voi utilizzato, il telescopio spaziale Swift. Il suo limite, scrivete, è che, per quanto sia velocissimo, dal momento del trigger – vale a dire, da quando si accorge del lampo gamma – impiega circa 40 secondi per puntare verso la sorgente. In che modo la dilatazione cosmologica del tempo lo aggirerebbe? Voglio dire, se il tempo apparisse rallentato dieci volte vi perdereste comunque i primi 4 secondi…

«Va anzitutto ricordato che Swift ha portato una vera e propria rivoluzione nel settore. Basti pensare che prima di Swift il tempo necessario a ripuntare un Grb per osservarlo nei raggi X era di almeno 8 o 10 ore. Grazie a Swift è sceso di colpo a qualche decina di secondi, e questo ci ha permesso di scoprire una quantità impressionante di fenomeni che si svolgono nei raggi X nelle prime decine di minuti di un Grb. Chiaramente, da bravi astrofisici, chiediamo sempre la Luna, e quindi adesso vogliamo cercare di arrivare a osservare nei raggi X il più vicino possibile al momento dell’esplosione. Nel nostro articolo facciamo appunto vedere che già adesso, grazie all’effetto di dilatazione cosmologica del tempo, per i Grb più lontani possiamo arrivare a osservare con Swift nei raggi X fino a quasi 7 secondi dopo l’esplosione. Ci perdiamo ancora qualche secondo, certamente, ma per fare meglio di così servirà aspettare le prossime missioni spaziali attualmente in fase di progettazione».

Infografica sull’origine dei Grb lunghi (a sinistra), di durata superiore a due secondi, e corti (a destra), di durata inferiore. Crediti: Nasa

Voi non siete i primi a usare la dilatazione cosmologica del tempo per lo studio dei Grb: cosa vi ha permesso di scoprire di nuovo, che non si sapesse già prima? E perché sarebbe utile ai fini dell’altro risultato che presentate nell’articolo, quello sui progenitori dei Grb short – i lampi di raggi gamma corti?

«Per capirlo dobbiamo fare una piccola digressione. Tradizionalmente, i Grb sono classificati in “lunghi” e “corti”, a seconda che il lampo iniziale nei raggi gamma sia visto durare più o meno di due secondi. Il modello che inizialmente si era imposto come “standard” prevedeva che i Grb lunghi avessero origine nel collasso di stelle massicce singole, mentre i corti nella coalescenza di sistemi binari. In questo modello, sia l’emissione iniziale nei raggi gamma che quella successiva nei raggi X hanno origine dall’espansione di un plasma ultrarelativistico formatosi rispettivamente nel collasso o nella coalescenza. Il modello che stiamo sviluppando noi, invece, prevede che tutti i Grb, sia corti che lunghi, abbiano origine in sistemi binari. In particolare, nel caso dei lunghi, il sistema progenitore è formato da una stella massiccia prossima all’esplosione come ipernova e da una stella di neutroni compagna. Quello che si realizza è un vero e proprio “ping-pong” tra le due: la prima esplode come ipernova, forma una nuova stella di neutroni e trasferisce materia alla stella di neutroni compagna, che a sua volta può collassare a buco nero e produrre l’esplosione del lampo di raggi gamma. L’emissione X che si osserva subito dopo questo lampo, in questo modello, proviene dalla nuova stella di neutroni che si è appena formata nell’esplosione dell’ipernova. Pertanto, è fondamentale poter osservare l’emissione X il prima possibile, per verificare che ci troviamo effettivamente di fronte all’emissione di una stella di neutroni appena formata e poter discriminare tra i vari modelli».

Mi sto perdendo… quanti Grb producono, queste binarie di stelle massicce?

«Un sistema binario può produrre un’ipernova, un Grb lungo e infine, eventualmente, un Grb corto. Il fatto è che, dopo il ping-pong che dicevamo prima, in cui si formano un’ipernova e un Grb lungo, può rimanere un sistema binario formato dalla nuova stella di neutroni e dalla vecchia compagna – che potrebbe essere diventata un buco nero oppure essere rimasta una stella di neutroni più massiccia di prima, seconda di quanta massa ha preso dalla compagna. Dico “può rimanere” perché può anche darsi che nell’esplosione di ipernova e Grb lungo il sistema si separi e i due oggetti non siano più legati. Se però rimangono legati in un sistema binario, questo in seguito può coalescere, formando un Grb corto».

Quali sono i tempi di questa sequenza? Intendo dire, quant’è l’intervallo fra una racchettata e l’altra del “ping pong”? E fra il Grb lungo e quello corto?

«Per quanto riguarda la durata del “ping pong”, nel modello che stiamo sviluppando l’intervallo di tempo tra l’esplosione dell’ipernova e quella del Grb è dell’ordine di qualche secondo, al limite magari una decina o giù di lì. Ma tutto quello che vediamo del momento dell’esplosione dell’ipernova è un primo lampo nei raggi gamma – quello che nell’articolo chiamiamo supernova rise, o episodio 1. L’emissione ottica dell’ipernova è dovuta a processi molto più lenti e diventa visibile solo una decina di giorni dopo. Quindi il “ping pong” nelle osservazioni tra l’emissione di una stella e l’emissione dell’altra in realtà continua a lungo. L’eventuale Grb corto successivo, invece, nel caso in cui si verificasse, potrebbe avvenire dopo un tempo dell’ordine di milioni o miliardi di anni… in altre parole, io non rimarrei qui fermo ad aspettare».

C’è una cosa che continua a non essermi chiara: a cosa è servito l’effetto della dilatazione cosmologica del tempo ai fini del vostro studio?

«Le osservazioni dell’emissione X nei primi secondi servono proprio per poter confermare lo scenario che ho appena descritto. Ma il legame è anche un altro, e ben rappresenta il modo in cui certi risultati vengono ottenuti».

Cioè?

«Praticamente, stavamo lavorando su quelle tre sorgenti ad alto redshift, per studiare i primi secondi dell’emissione X sfruttando la dilatazione dei tempi cosmologica. A quel punto ci siamo detti: ma per quante altre sorgenti potremmo fare questa analisi? E così abbiamo analizzato tutti i quasi 400 Grb con redshift misurato visti da Swift dal 2005 a fine 2023, e abbiamo visto che per una gran parte di essi l’effetto di dilatazione dei tempi è molto evidente. Ma, una volta che abbiamo avuto tra le mani questo campione di quasi 400 Grb con redshift misurato, ci è venuta l’idea di vedere la distribuzione dei redshift, dividendo il campione nelle diverse famiglie di Grb previste dal nostro modello. In questo modo ci siamo resi conto che queste distribuzioni supportavano un’ipotesi che avevamo proposto anni fa».

Quale?

«L’idea che i Grb lunghi potessero produrre sistemi binari a loro volta sorgenti di Grb corti. Non ci siamo ovviamente fermati qui, e un nuovo articolo dedicato ad approfondire questo aspetto è già in fase di referaggio. Ma il risultato era troppo interessante per non annunciarlo fin da subito, anche in considerazione del fatto che era stato ottenuto proprio come effetto collaterale dell’analisi dei Grb ad alto redshift presentata nel nostro articolo».

Un’ultima cosa: scrivete che il vostro studio evidenzia l’importanza di future missioni, come Theseus, in grado di osservare le emissioni gamma e X sin dal trigger del Grb – da quando il lampo gamma viene intercettato, dunque. Però mi pare d’aver letto che Theseus sarà forse persino più lento di Swift, nelle manovre di puntamento. Perché dovrebbe dunque portare a risultati migliori?

«Il punto centrale è il campo di vista dello strumento. Il telescopio Xrt a bordo di Swift ha un campo di vista molto ristretto, quindi è sempre necessario effettuare un puntamento per poter osservare una sorgente. Nel caso di Theseus, invece, il campo di vista è molto più ampio e quindi potrebbe osservare un segnale senza doverlo ripuntare, semplicemente perché il segnale è capitato già nel campo di vista dello strumento. Per usare un’analogia con il mondo della fotografia, Swift ha un teleobiettivo, mentre con Theseus avremo a disposizione un grandangolo che ci permetterà di osservare il segnale fin dall’inizio, semplicemente perché sarà nel campo di vista dello strumento fin dall’inizio».


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