VOCI E DOMANDE DELL’ASTROFISICA

Lenti gravitazionali, e la luce si piega alla gravità

Previsto dalla Relatività generale di Einstein, l’effetto di lensing gravitazionale è oggi ampiamente sfruttato non solo per ”ingrandire” oggetti lontani ma anche per studiare vari fenomeni di astrofisica e fisica fondamentale, primo fra tutti la distribuzione della materia oscura

     18/07/2017

In alto, l’ammasso di galassie Abell 2218: si possono vedere i caratteristici archi dovuti al lensing gravitazionale forte (strong) attorno all’intero ammasso. Le galassie sullo sfondo risentono invece del weak lensing. In basso, gli effetti di lensing introdotti da una massa su una figura circolare: il lensing debole (weak) la distorce rendendola ellittica, la “flessione” (flexion) produce un arco, il lensing forte (strong) dà origine a archi e immagini multiple. Crediti: Nasa, Esa e Johan Richard (Caltech, Usa)

La teoria della Relatività generale di Einstein ci dice che la gravità non è altro che la manifestazione della deformazione dello spazio-tempo indotta dalla materia nella zona circostante a essa. Questa interpretazione suggerisce, contrariamente alla teoria della gravità di Newton, che non solo gli oggetti massivi ma anche quelli privi di massa, come la luce, subiscono un effetto gravitazionale quando si trovano ad attraversare queste deformazioni dello spazio. Più esplicitamente, anche le traiettorie seguite dalla luce e passanti in prossimità, ad esempio, di una stella verranno deviate dal loro percorso rettilineo. Tale deflessione dei raggi luminosi fu osservata per la prima volta nel 1919 da Eddington in occasione di un’eclissi di Sole. Nonostante si trattasse di una misura sperimentale non troppo accurata, essa fu sufficiente per affermare l’esistenza del fenomeno, che non poteva essere spiegato dalla gravità di Newton: quest’ultima, infatti, prevede un’interazione gravitazionale solo tra oggetti dotati di massa.

La deflessione della luce per effetto della gravità genera un effetto analogo a quello di una lente: modifica l’immagine della sorgente luminosa generando distorsioni o, addirittura, producendo immagini multiple della stessa sorgente. In alcuni casi – quelli in cui vengono soddisfatte particolari condizioni di simmetria tra lente, sorgente e osservatore – possono perfino apparire degli archi, noti come anelli di Einstein. Tali similitudini con l’ottica giustificano il nome lente gravitazionale, o lensing gravitazionale, che viene usato per riferirsi al fenomeno.

L’importanza dell’effetto del lensing gravitazionale è prima di tutto teorica e risiede nella sua stessa esistenza: si tratta di un puro effetto relativistico, dunque fornisce una prima prova della relatività di Einstein e contemporaneamente falsifica, superandola, la gravità di Newton. Ai giorni nostri acquisisce ulteriore importanza, poiché mediante la sua osservazione è possibile studiare vari fenomeni di astrofisica e fisica fondamentale.

La distribuzione della materia oscura misurata dalla survey Hst Cosmos utilizzando lenti gravitazionali deboli copre una porzione di cielo pari a circa 8 volte la dimensione della Luna. Sempre sfruttando il weak lensing, Euclid produrrà mappe 3D di materia scura con risoluzione superiore e sull’intero cielo. Crediti: Esa

Studi in corso e domande aperte

L’effetto di lensing gravitazionale viene oggi utilizzato in vari contesti dell’astrofisica, come ad esempio per determinare le caratteristiche di una sorgente luminosa o le proprietà dell’oggetto che funge da lente. In questo ultimo caso, è notizia recente il ricorso, per la prima volta, all’effetto di lensing per misurare la massa di una singola stella, una nana bianca, nota come Stein 2051 B.

Su scala cosmologica, il lensing gravitazionale può essere impiegato per misurare la distribuzione di materia oscura che, come una lente, produce piccole deformazioni (si parla in questo caso di weak lensing) su immagini di galassie lontane. Tale distribuzione di materia può essere ricostruita a diverse epoche cosmologiche. Ciò permette di valutare il tasso di crescita delle strutture a grande scala nell’universo, e quindi di studiare anche l’altra componente misteriosa che domina il presente budget energetico dell’universo: l’energia oscura.

Anche la radiazione cosmica di fondo, ovvero la prima radiazione che ha potuto propagarsi nell’universo dopo il Big Bang, quando attraversa le regioni in cui si sono formate le strutture, viene (debolmente) deflessa a causa del lensing gravitazionale. È un effetto osservabile e importante sotto diversi aspetti. In particolare, esso crea una componente spuria della polarizzazione della stessa radiazione che potrebbe essere confusa con quella generata, invece, dalle onde gravitazionali primordiali: pertanto una conoscenza fine dell’effetto è necessaria per poter rilevare le onde gravitazionali primordiali, preziose per studiare l’origine dell’universo.

Poco più di 100 anni dopo le osservazioni di Eddington, il satellite Euclid userà lo stesso fenomeno fisico ma indotto dalla materia oscura (e non dal Sole) per osservare le minuscole deformazioni delle immagini di 1,5 miliardi di galassie

Il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica

Il lensing gravitazionale è studiato in varie osservazioni di astrofisica e cosmologia in cui è coinvolto l’Inaf. Per esempio, il satellite Euclid, missione dell’Agenzia spaziale europea, che sarà lanciato nel 2021: è stato progettato e ottimizzato per studiare la recente (da un punto di vista cosmologico) evoluzione dell’universo proprio tramite l’osservazione dell’effetto di weak lensing. Si potranno così investigare le proprietà dell’energia oscura, componente misteriosa responsabile dell’attuale espansione accelerata dell’universo.


L’autore: Alessandro Gruppuso è ricercatore Inaf all’Istituto di astrofisica spaziale di Bologna

Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica