IL RADIOTELESCOPIO SKA POTRA’ OSSERVARLI

Alla ricerca dei lampi di raggi gamma orfani

Per ogni lampo di raggi gamma che punta verso la Terra, e che è quindi potenzialmente individuabile dai satelliti in orbita dedicati al loro studio, come Swift e Fermi, ce ne sono almeno 700 che emettono la loro radiazione di alta energia in un’altra direzione, i cosiddetti GRB orfani, che non vengono scoperti. Uno studio guidato da Giancarlo Ghirlanda indica come questi elusivi fenomeni potranno essere scoperti grazie alle notevoli capacità osservative del futuro radiotelescopio SKA

     29/04/2014
L'immagine mostra come un lampo di raggi gamma possa essere riconosciuto come un GRB "classico"  se il getto relativistico punta nella nostra direzione oppure come GRB orfano negli altri casi. Si stima che per ogni GRB classico ci siano circa 700 lampi di raggi gamma orfani

L’immagine mostra come un lampo di raggi gamma possa essere riconosciuto come un GRB “classico” se il getto relativistico punta nella nostra direzione, oppure come GRB orfano negli altri casi. Si stima che per ogni GRB classico ci siano circa 700 lampi di raggi gamma orfani

Per ogni lampo di raggi gamma che punta verso la Terra, e che è quindi potenzialmente individuabile dai satelliti in orbita dedicati al loro studio, come Swift e Fermi, ce ne sono almeno 700 che emettono la loro radiazione di alta energia in un’altra direzione e per questo motivo non vengono scoperti. Questi eventi vengono chiamati dagli astronomi GRB orfani: orfani cioè della loro emissione di raggi gamma. La loro differenza con i GRB ‘classici’ è solo una questione di punti di vista: quelli che i satelliti come Fermi e Swift rivelano in media un paio di volte alla settimana sono quella piccola frazione che hanno un getto che punta proprio in direzione della Terra, mentre la maggior parte dei getti puntano in altre direzioni e dovrebbero essere rivelati come GRB orfani.

Per approfondire le conoscenze su questi eventi, finora mai osservati, un gruppo di ricercatori italiani e australiani guidati da Giancarlo Ghirlanda dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, ha ideato e realizzato simulazioni teoriche sulle proprietà che dovrebbero possedere i GRB orfani, confrontandoli con le attuali informazioni sulla popolazione dei Lampi di Raggi Gamma noti. In particolare, gli scienziati si sono concentrati sulle proprietà delle emissioni radio dei GRB orfani, scoprendo così che i segnali emessi in questa banda di radiazione dovrebbero durare a lungo: da qualche mese fino ad alcuni anni. Quindi, nelle onde radio, i GRB orfani sarebbero sorgenti variabili, ma in modo piuttosto lento. Un metodo per rivelarli potrebbe essere quello di osservare in modo approfondito una specifica zona del cielo con i radiotelescopi e ripetere l’operazione a distanza di qualche mese. La rivelazione di sorgenti presenti in una sola delle due osservazioni potrebbe essere il primo indizio di aver osservato dei GRB orfani.

Fino ad ora, però, nessuna delle campagne osservative già realizzate nelle onde radio, ma neanche nell’ottico e nei raggi X ha chiaramente rivelato questa popolazione di sorgenti. Ci sono stati alcuni eventi transienti che hanno destato un sospetto, poi escluso da ulteriori osservazioni. La situazione apparentemente sembra paradossale: se abbiamo capito bene come sono fatti i getti di queste sorgenti allora i GRB orfani dovrebbero esistere e in un numero molto maggiore a quelli a cui è associata un’emissione di alta energia. Perché allora non ne abbiamo ancora individuato con certezza nemmeno uno? “Forse non li vediamo perché sono più deboli di quanto gli strumenti odierni possano rivelare” dice Ghirlanda, primo autore dello studio pubblicato sulla rivista Publication of the Astronomical Society of Australia. “Dobbiamo quindi migliorare i nostri strumenti, perché quando riveleremo i GRB orfani avremo informazioni uniche sulla fisica dei GRB, su come si formano i loro getti, e quale sia il loro legame con il motore che li produce, ovvero il buco nero nato a seguito dell’esplosione della stella di grande massa”.

A permetterci di fare il salto in avanti nelle osservazioni nelle onde radio e arrivare finalmente a rivelare questi elusivi oggetti celesti potrebbe essere lo Square Kilometre Array (SKA), il più grande radio telescopio mai realizzato, che dovrebbe iniziare ad osservare l’Universo in banda radio dal 2018. SKA sarà costituito da tanti radiotelescopi e si distribuirà in ben due continenti: l’Australia e l’Africa. Combinando tutti questi radiotelescopi sarà possibile avere un’area di raccolta equivalente ad un’unica parabola di ben 1 Km quadrato di superficie. SKA guarderà il cielo sud con una sensibilità circa 10  volte migliore dei radiotelescopi odierni e, secondo le previsioni dei ricercatori, potrebbe rivelare fino a 10.000 GRB orfani ogni anno. “Siamo in una fase storica in cui finalmente anche la radioastronomia torna da protagonista sulla scena dello studio dei transienti” dice Davide Burlon, ricercatore italiano in forza all’Università di Sydney e coautore dello studio. “Fino alla nostra generazione i radiotelescopi hanno funzionato come macchine che puntano e ‘scattano la foto’ di un singolo oggetto alla volta, ed inoltre molte sorgenti extragalattiche sono particolarmente deboli in questa banda dello spettro elettromagnetico. Finalmente con la direzione tracciata da SKA siamo in grado di osservare una frazione consistente del cielo in un singolo puntamento e a livelli di sensibilità mai raggiunti. In un futuro, se fossimo in grado di osservare tutti i GRB orfani che esplodono, vedremmo un cielo radio che ‘ribolle’ diecimila volte all’anno”.

“Una delle sfide sarà quella di distinguere i GRB orfani da altre classi di sorgenti (transienti radio) che si comportano in modo simile, come i nuclei galattici attivi o le supernovae”, sottolinea Ghirlanda. “Per questo sarà importante affiancare alle osservazioni in banda radio una serie di campagne osservative ad altre frequenze, sfruttando anche gli osservatori di nuova generazione, come ad esempio ALMA dell’ESO, recentemente entrato in funzione nel deserto di Atacama in Cile. Grazie a queste sinergie gli scienziati potranno distinguere le varie tipologie di sorgenti sulla base dell’energia che emettono nelle differenti bande dello spettro elettromagnetico”.