I black widow system (sistemi “vedova nera”) sono un raro tipo di sistema binario in cui una pulsar, una stella di neutroni in rapidissima rotazione, strappa via materia da una stella compagna fino a consumarla completamente. All’interno di questa classe di oggetti celesti, Psr J2322-2650 rappresenta una delle poche eccezioni alla regola: il suo partner non è infatti una stella di piccola massa, bensì un oggetto di massa planetaria. Il suo nome è Psr J2322-2650b ed è ad oggi l’unico compagno di una pulsar conosciuto con caratteristiche (massa, raggio e temperatura) simili a quelle di un gioviano caldo. Una singolarità, questa, che ha sollevato nella comunità scientifica che si occupa di sistemi binari con pulsar una domanda: che tipo di atmosfera può avere un oggetto così esotico, riscaldato non dalla luce di una stella normale, ma dal bombardamento costante dei raggi gamma di una stella di neutroni?

Illustrazione artistica che mostra Psr J2322-2650b (a sinistra) in orbita attorno a una stella di neutroni in rapida rotazione (a destra). Le forze gravitazionali della pulsar deformano il pianeta, conferendogli una forma allungata simile a quella di un limone. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Ralf Crawford (Stsci)
Una risposta arriva ora grazie alle osservazioni condotte da un team di scienziati guidati dall’Università di Chicago. Ed è una conferma della sua unicità: i risultati della ricerca, pubblicati questa settimana sulla rivista The Astrophysical Journal Letters, indicano infatti che Psr J2322-2650b ha un’atmosfera dominata da carbonio molecolare, diversa da qualsiasi altra mai osservata prima.
«Invece di trovare le tipiche molecole che ci aspettavamo di vedere in un’atmosfera esoplanetaria – come acqua, metano e anidride carbonica – abbiamo rilevato carbonio molecolare, in particolare C2 e C3», spiega Michael Zhang, ricercatore all’Università di Chicago e primo autore dello studio. «Si tratta di un tipo di atmosfera planetaria che nessuno aveva mai visto prima».
Per giungere a questa conclusione, il team di ricerca ha osservato Psr J2322-2650b con il telescopio spaziale James Webb. Alle lunghezze d’onda infrarosse cui è sensibile il telescopio della Nasa, la pulsar – che emette prevalentemente raggi gamma e particelle ad alta energia – non è rilevabile. E proprio grazie al fatto che non c’è la luce d’una stella ad accecare il telescopio è stato possibile seguire in dettaglio il corpo planetario lungo tutta la sua orbita.
In particolare, il team ha studiato il pianeta avvalendosi due modi d’utilizzo dello strumento NirSpec di Jwst: NirSpec/Prism, grazie al quale è stato ottenuto lo spettro di emissione durante un’intera orbita i 7.8 ore, catturando la luce proveniente sia dal lato illuminato che da quello oscuro; e NirSpec/G235H, che ha fornito uno spettro a più alta risoluzione del solo “lato diurno”, quello cioè rivolto verso la pulsar.
I risultati delle osservazioni hanno svelato un contrasto drammatico tra le due facce del pianeta, con il lato notturno quasi completamente privo di caratteristiche spettrali e un lato illuminato con chiare “firme” di assorbimento: il segno inequivocabile della presenza di specifiche molecole nell’atmosfera.
Per identificare quali molecole fossero responsabili di queste firme spettrali così evidenti, il team ha confrontato l’impronta atmosferica catturata dal Jwst con una vasta libreria di “sospettati” molecolari, ciascuno con il proprio “codice a barre” univoco di assorbimento della luce. Il risultato dell’indagine ha sorpreso i ricercatori: le firme dominanti appartenevano a molecole mai rilevate in un’atmosfera esoplanetaria. Si tratta di carbonio molecolare, in particolare di-carbonio e tri-carbonio (C₂ e C₃), molecole costituite rispettivamente da due e tre atomi di carbonio legati tra loro, che nel nucleo del pianeta – sotto l’influenza dell’elevata pressione – possono condensarsi e cristallizzare formando diamanti.
«È stata una sorpresa assoluta», sottolinea Peter Gao, ricercatore alla Carnegie Institution for Science di Washington e coautore dello studio. «Ciò che abbiamo rilevato era molto diverso da quello che ci aspettavamo».
L’analisi dei dati spettroscopici, combinata con ulteriori indagini, ha permesso al team anche di stimare l’inclinazione dell’orbita (tra 30 e 35 gradi), la massa (tra 1.4 e 2.4 masse gioviane) e la densità (1,8 g/cm³) del corpo celeste, consolidando per Psr J2322-2650b lo status di oggetto di natura planetaria. Studiando le variazioni di luminosità lungo la sua orbita, il team ha inoltre scoperto che le intense forze mareali esercitate dalla pulsar deformano il pianeta, conferendogli una forma allungata, simile a quella di un limone.
La domanda che si sono posti a questo punto gli scienziati è come abbia avuto origine un simile oggetto celeste. «Non si è potuto formare come un pianeta normale, perché la composizione è completamente diversa», osserva Zhang. «E probabilmente nemmeno come fanno i “normali” sistemi vedova nera, ovvero per rimozione dell’involucro esterno di una stella compagna, perché la fisica che avviene nel nucleo di una stella non produce carbonio puro» aggiunge lo scienziato. «È molto difficile immaginare come si ottenga questa composizione estremamente ricca di carbonio, che non è spiegata da nessun meccanismo di formazione noto».
Secondo gli attuali modelli di evoluzione, in un sistema vedova nera una pulsar rimuove gli strati esterni della sua compagna stellare mediante la combinazione di due processi: il traboccamento del lobo di Roche e la fotoevaporazione. Sebbene questi meccanismi possano produrre un oggetto di massa gioviana, non possono spiegare i rapporti carbonio/ossigeno (maggiori di 100) e carbonio/azoto (maggiore di 10mila) misurati in questo studio, spiegano i ricercatori. Valori che vanno ben oltre quanto previsto da qualsiasi modello evolutivo noto.
Un’idea di cosa possa essere accaduto ai ricercatori se la sono fatta, ed è un’ipotesi secondo la quale il progenitore del partner della pulsar è comunque una stella. «È possibile che man mano che la stella compagna si è raffreddata, il carbonio e l’ossigeno prodotti al suo interno si siano cristallizzati», spiega Roger Romani, ricercatore alla Stanford University e coautore dello studio. «Quelli che abbiamo osservato potrebbero essere cristalli di carbonio quasi puro che risalgono in superficie e si mescolano all’elio. Resta da capire come ossigeno e azoto vengano esclusi. Ed è qui che entra in gioco il mistero».
La composizione di Psr J2322-2650b suggerisce che i percorsi evolutivi dei sistemi “vedova nera” potrebbero essere più vari e complessi di quanto si pensasse. Per delineare i dettagli di questi percorsi, i ricercatori propongono di condurre osservazioni di altri oggetti simili, in modo da comprendere se questa composizione sia un’eccezione o una caratteristica comune a una classe di nuovi mondi.
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “A Carbon-rich Atmosphere on a Windy Pulsar Planet” di Michael Zhang, Maya Beleznay, Timothy D. Brandt, Roger W. Romani, Peter Gao, Hayley Beltz, Matthew Bailes, Matthew C. Nixon, Jacob L. Bean, Thaddeus D. Komacek






