OSSERVATA DA TERRA E DALLO SPAZIO, È DURATA PER GIORNI

All’origine dell’emissione di Grb più lunga mai vista

La lunghissima esplosione di raggi gamma nota come Grb 250702B, rilevata il 2 luglio e proseguita per giorni, potrebbe essere il segnale prodotto da un buco nero che ha distrutto e fagocitato una stella a esso vicina. È quanto emerge da una serie di studi da terra e dallo spazio ai quali ha preso parte, fra gli altri, anche Sergio Campana dell’Inaf di Brera

     09/12/2025

Una lunghissima emissione di raggi gamma, rilevata il 2 luglio e proseguita per giorni, sarebbe il segnale che un buco nero abbia distrutto e fagocitato una stella ad esso vicina. Queste le conclusioni di diversi gruppi di ricerca nel mondo, a cui hanno partecipato anche ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica, analizzando una mole sterminata di dati provenienti da telescopi spaziali e da Terra.

Rappresentazione artistica di Grb 250702B. Crediti: NoirLab/Nsf/Aura/M. Garlick

Tutto è iniziato il 2 luglio del 2025, quando il Gamma Ray Burst Monitor del Fermi Gamma Ray Space Telescope della Nasa ha scoperto un potente lampo di raggi gamma (o Grb in breve), seguito poi dal Burst Alert Telescope del Neil Gehrels Swift Observatory della Nasa e da altri strumenti spaziali. Tuttavia l’evento, invece di durare al più qualche minuto, come usuale in questi fenomeni, si è protratto addirittura per alcuni giorni, rendendo Grb 250702B – questa la sua sigla ufficiale – il lampo di raggi gamma più lungo mai osservato finora.

A partire da queste prime osservazioni, sono stati immediatamente utilizzati i più potenti telescopi spaziali e terrestri per determinare con precisione la posizione della sorgente di quell’eccezionale flusso di radiazioni. Il 3 luglio Swift ha dato una prima risposta, indicando la provenienza di Grb 250702B dalla porzione di cielo appartenente alla costellazione dello Scudo, in prossimità del piano della nostra galassia. Rimaneva però da capire se l’evento fosse stato prodotto nella nostra galassia o al di fuori.

Immagini di alcuni dei telescopi più grandi del pianeta, inclusi quelli degli osservatori Keck e Gemini alle Hawaii e del Vlt (Very Large Telescope) dell’Osservatorio europeo meridionale (Eso) in Cile, hanno quindi confermato che Grb 250702B fosse stato prodotto in una galassia esterna, indicazione confermata dalle immagini del telescopio spaziale Hubble della Nasa e poi del James Webb Space Telescope, che evidenziano la natura peculiare della galassia ospite, con una banda scura di polvere che sembra dividere in due il suo nucleo.

Le indagini su questo evento proseguono e alla fine di agosto, un team guidato dall’ Università di Birmingham nel Regno Unito ha utilizzato Webb e Vlt per determinare la distanza della galassia da dove si è originato Grb 250702B e altre sue proprietà, calcolando che l’esplosione ha emesso l’energia equivalente a quella irradiata da mille Soli che brillano per 10 miliardi di anni. La galassia è così lontana che la luce di questa esplosione è stata prodotta circa 8 miliardi di anni fa, molto prima che il Sole e il Sistema solare iniziassero anche solo a formarsi.

Uno studio completo della radiazione X emessa dopo l’esplosione principale ha utilizzato i dati raccolti da Swift, dall’Osservatorio a raggi X Chandra della Nasa e dalla missione NuStar. I dati di Swift e NuStar hanno rivelato che ci sono brevi e intensi flare fino a due giorni dopo la prima potente emissione.

Cosa è dunque accaduto in quella remota galassia per scatenare un’esplosione così violenta e prolungata? I dati raccolti, da una parte, mostrano le caratteristiche di un tipico lampo di raggi gamma, seppure insolitamente lungo, mentre altri mostrano comportamenti e proprietà non associabili a questo tipo di eventi.

In uno dei due scenari più discussi dai lavori che provano a descrivere l’origine di Grb 250702B, un buco nero con alcune migliaia di masse solari ha divorato una stella che gli si è avvicinata troppo, in circa un giorno, distruggendola per effetto della sua potentissima forza gravitazionale. Questo è ciò che gli astronomi chiamano un evento di distruzione mareale, prodotto da un buco nero di peso medio raramente osservato, con una massa di 10-100mila volte la massa del nostro Sole, molto maggiore di quella generata da un collasso stellare e molto più piccola dei “mostri” presenti nelle regioni centrali delle grandi galassie.

Il 5 ottobre, il telescopio spaziale James Webb della Nasa ha fornito agli astronomi la visione più chiara della galassia dove si è originato Grb 250702B, distante circa otto miliardi di anni luce da noi. Nel riquadro ingrandito, i segni indicano la posizione di origine dell’evento, vicino al bordo superiore della fascia di polvere scura della galassia. Crediti: Nasa, Esa, Csa H. Sears (Rutgers). Image processing: A. Pagan (Stsci)

Il team che basa i suoi risultati sulle osservazioni nei raggi gamma presenta uno scenario diverso perché, se questo lampo fosse come gli altri, la massa del buco nero dovrebbe essere più simile a quella del Sole. Il loro modello prevede un sistema binario composto da un buco nero con una massa pari a circa tre volte quella del Sole che orbita e si fonde con la stella compagna. La stella ha una massa simile a quella del buco nero ma è molto più piccola del Sole. Questo perché la sua atmosfera di idrogeno le è stata in gran parte strappata via, fino ad esporre il suo denso nucleo di elio, creando così un oggetto celeste che gli astronomi chiamano stella di elio.

In entrambi i casi, la materia della stella fluisce prima verso il buco nero e si raccoglie in un vasto disco, dal quale il gas compie il suo tuffo finale. A un certo punto di questo processo, il sistema inizia a brillare intensamente nei raggi X. Poi, mentre il buco nero consuma rapidamente la materia della stella, getti di raggi gamma si propagano verso l’esterno. In particolare, il modello di fusione delle stelle di elio fa una previsione unica. A un certo punto, il buco nero è completamente immerso nel corpo principale della stella, nutrendosi dall’interno. L’energia che rilascia fa esplodere la stella e alimenta una supernova. Purtroppo, questa esplosione sarebbe avvenuta tra enormi quantità di polvere, così che nemmeno il telescopio spaziale Webb avrebbe potuto osservare la fase di supernova.

«Il contributo dell’Inaf a questi studi complessi e articolati su Grb 250702B è stato importante: con Swift abbiamo trovato la posizione precisa del transiente nella banda X, permettendo così di identificare la controparte ottica e poi abbiamo contribuito alle osservazioni da Terra con i telescopi di Eso», dice Sergio Campana, ricercatore Inaf coinvolto negli studi su Grb 250702B e responsabile italiano della missione Swift.

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