Il Sole è la nostra stella, quella più vicina e certo la più importante per la nostra vita. Tuttavia, non possiamo dire di conoscere a fondo il suo comportamento sia quando è calmo, sia quando produce fantasmagoriche esplosioni. I nostri strumenti, a terra e nello spazio, non lo perdono mai di vista. Abbiamo anche iniziato a osservarlo da vicinissimo grazie alla sonda europea Solar Orbiter e all’americana Parker Solar Probe.
Studiare il Sole ha una doppia valenza. È importante per capire come funziona una stella, ma è anche fondamentale per indagare a fondo le interazioni tra lo “stato” del Sole e il nostro pianeta. Ora più che mai, la nostra società non può farsi sorprendere dalle intemperanze solari che potrebbero arrecare seri danni alla nostra tecnologia sia al suolo, sia in orbita. Proprio lo studio delle complesse interazioni tra il Sole e la Terra è il tema del bel libro di Umberto Villante intitolato Quando il Sole fa i capricci. Un argomento del quale sentiremo parlare sempre più spesso, visto che il Sole sta entrando in un periodo di maggiore attività.
In generale, il Sole è una stella tranquilla ma, occasionalmente, può produrre spettacolari esplosioni superficiali chiamate coronal mass ejection, durante le quali viene liberata una enorme quantità di energia sotto forma di particelle accelerate che si propagano nello spazio interplanetario e, nel caso colpiscano la Terra, possono provocare una tempesta solare. Un evento che può essere previsto e che, di norma, non è preoccupante, a meno che non facciate l’astronauta oppure vi apprestiate a lanciare dei satelliti.
Infatti, l’iniezione di energia da parte del Sole non lascia indifferente la nostra atmosfera, che si gonfia cambiando il suo profilo di densità. Si tratta di un parametro molto critico quando si vogliano inserire dei satelliti in orbita bassa dove l’atmosfera, seppure molto rarefatta, c’è ancora. Lo ha imparato, a proprie spese, SpaceX che, lo scorso 3 febbraio, ha perso 40 dei 49 satelliti Starlink appena lanciati proprio perché non avevano tenuto conto della tempesta solare del giorno precedente.
I satelliti Starlink vengono rilasciati, uno dopo l’altro, all’altezza di 210 km. È una quota più bassa di quella operativa di 500 km ed è stata scelta come misura cautelativa. In caso un satellite non superasse i primi test orbitali, dalla quota di 210 km è facile de-orbitarlo per farlo bruciare nell’atmosfera senza lasciare in giro detriti spaziali. Tuttavia, la procedura che funziona bene quando di Sole è tranquillo si è rivelata disastrosa il 3 febbraio, quando l’atmosfera era più densa del solito e l’attrito è stato un vero killer. Credo proprio che, prima di decidere i prossimi lanci, controlleranno il meteo spaziale: hanno imparato, a caro prezzo, che con il Sole non si scherza.