FONDAMENTALE LA SINERGIA FRA OSSERVAZIONI E ANALISI CHIMICA IN LABORATORIO

A caccia di precursori dell’Rna nel centro galattico

Un gruppo di astrochimici del centro di astrobiologia di Madrid e dell’università di Bologna ha trovato per la prima volta la molecola 1,2-etendiolo in una nube molecolare vicino al centro galattico. Questa molecola sarebbe fra i precursori più convincenti di zuccheri e molecole più complesse che hanno formato l’Rna, e con esso la vita sulla Terra

     04/04/2022

La nube molecolare G+0.693, vicino al centro galattico, in cui è stata trovata la molecola 1,2-etendiolo. Crediti: Ian Heywood (Oxford U.); Sarao/Juan Carlos Munoz-Mateos (Eso); Victor M. Rivilla; Mattia Melosso

Viviamo in un mondo a Dna, cioè un mondo nel quale la maggior parte degli esseri viventi basa la propria esistenza su questa molecola complessa. Secondo gli scienziati, però, potrebbe non essere sempre stato così: secondo la teoria del “mondo a Rna”, proposta per la prima volta dal premio Nobel Walter Gilbert nel 1986, le prime forme di vita cellulari sarebbero state generate grazie all’Rna, una macromolecola simile al Dna ma in grado di svolgere anche funzioni metaboliche ed enzimatiche.

Diversi esperimenti di chimica di laboratorio hanno dimostrato che i mattoni costituenti l’Rna possono essere formati da semplici molecole organiche. La domanda è sempre la stessa: questi semplici precursori dell’Rna erano disponibili sulla Terra primitiva e, se sì, come si sono formati?

Una possibile risposta l’ha data, in uno studio appena accettato su ApJ Letters, un gruppo di astronomi e chimici: si chiama 1,2-etendiolo, e sarebbe una molecola fondamentale per la formazione dell’Rna. Questa è la storia di un lavoro di squadra reso possibile dalla collaborazione fra diversi gruppi e discipline. Cominciamo dall’inizio.

«Il nostro lavoro si focalizza nello studio della complessità chimica del mezzo interstellare, in particolare nelle regioni che stanno formando o formeranno stelle, per capire quali sono gli ingredienti chimici che possono essere incorporati nel gas che forma stelle e sistemi planetari», dice a Media Inaf  Victor Manuel Rivilla, ricercatore del Centro di astrobiologia di Madrid (Csic-Inta) di Madrid e primo autore dello studio. «In particolare, ci interessano le molecole che hanno una rilevanza prebiotica, ovvero quelle che secondo i chimici e gli astrobiologi hanno giocato un ruolo rilevante nella chimica che ha prodotto la vita nel nostro pianeta».

La branca dell’astronomia che si occupa di studiare come è nata la complessità chimica sulla Terra e nello spazio si chiama astrochimica e – come dice il nome stesso – prevede una collaborazione stretta fra astronomia e chimica, con lo scopo di ricostruire la storia di formazione delle molecole e caratterizzarne tutte le proprietà. L’1,2-etendiolo, in particolare, era già stato menzionato in alcuni lavori di chimica prebiotica come precursore chiave di zuccheri più complessi: a partire da questa molecola e in condizioni di laboratorio che simulano quelle della Terra primitiva, infatti, si potrebbe formare il glicolaldeide, e da questo i nucleotidi dell’Rna.

«Nessuno aveva mai cercato l’1,2-etendiolo nel mezzo interstellare prima di noi, e il motivo era che non c’era la caratterizzazione spettroscopica fatta in laboratorio», spiega Rivilla. Per trovare questa molecola (e altre) nel mezzo interstellare, infatti, occorre confrontare le righe di emissione generate dalla molecola in laboratorio con quelle registrate dai dati spettroscopici raccolti in corrispondenza delle nubi molecolari. «Per questo ho contattato il gruppo di chimica di Bologna, che ha creato questa molecola in laboratorio partendo da altre molecole, e ne ha studiato in modo teorico e sperimentale lo spettro».

Produrre l’1,2-etendiolo in laboratorio

L’obiettivo, in laboratorio, era quindi quello di registrare lo spettro dell’1,2-etendiolo allo stato gassoso quando veniva irradiato con luce a lunghezza d’onda delle microonde. Il lavoro dei chimici, nella pratica, è quello di individuare quali sono le lunghezze d’onda caratteristiche che vengono assorbite dalla molecola, poiché i fotoni emessi da questa nello spazio sono gli stessi che essa è in grado di assorbire in laboratorio.

«Il lavoro di acquisizione dello spettro è durato alcune settimane, ma la fase di preparazione ci ha tenuti impegnati per diversi mesi», spiega Mattia Melosso, ricercatore al dipartimento di chimica dell’università di Bologna e coautore dello studio. «Prima di tutto dovevamo capire come produrre la molecola. L’1,2-etendiolo non è un composto commerciale poiché è una specie alquanto instabile e tende spontaneamente a trasformarsi in glicolaldeide, una subunità di glucosio e fruttosio. Questa, forse, è la ragione per cui nessuno aveva provato a farlo prima di noi. A pochi chimici sarebbe sembrato possibile produrre con successo questa molecola, perché di solito in laboratorio si cerca di sintetizzare un prodotto chimico che si possa conservare: tuttavia, a noi è bastato generare la molecola per pochi istanti per poterla studiare».

Conoscere in dettaglio le righe spettrali che caratterizzano una molecola – chiamate in gergo transizioni – significa studiare i fotoni che essa emette in seguito al passaggio da uno stato di più alta energia ad uno di più bassa energia. Le lunghezze d’onda dei fotoni emessi sono caratteristiche specifiche e uniche di una molecola, e possiamo pensarle un po’ come il loro codice a barre. Mentre un codice a barre identifica un prodotto grazie a una combinazione ordinata di linee con spessore diverso, negli spettri delle molecole è importante la posizione in cui queste “barre” appaiono e la loro intensità (cioè la loro altezza). E per poter dire di conoscerla davvero, una molecola, è necessario conoscerne tutte le transizioni, in quanto è lo spettro nel suo insieme che forma il codice a barre.

Victor Manuel Rivilla, primo autore dell’articolo accettato su Apj Letters, con la molecola 1,2-etendiolo in mano. Crediti: Victor M. Rivilla

La scoperta nel centro galattico

Il posto perfetto per cercare l’1,2-etendiolo nello spazio – quello dove sono andati a cercarlo Rivilla e collaboratori – è una nube molecolare vicina al centro della nostra galassia, G+0.693.

«Le nubi molecolari, e in particolare le superfici dei grani di polvere che le compongono, sono vere e proprie “fabbriche di molecole”» dice Laura Colzi, ricercatrice del Centro di astrobiologia di Madrid (Csic-Inta) di Madrid e seconda autrice dell’articolo. «In questo senso, G+0.693 è una nube speciale in quanto si trova nella posizione di incontro tra due (o più) nubi molecolari. Questo scontro ha fatto sì che molte delle molecole che si trovavano nei grani siano state rilasciate nella fase gassosa, permettendoci di osservarle».

I ricercatori l’hanno osservata prima con il telescopio millimetrico di 30m di diametro Iram, situato a Pico Veleta, in Spagna, nel 2019, e poi con il radiotelescopio di 40m Yebes, nella regione di Guadalajara, in Spagna, fra Marzo e Giugno 2021. G+0.693 ha una temperatura di circa 100 Kelvin e una densità molto bassa, e non presenta segni di formazione stellare in atto. Secondo le stime però, potrebbe formare un ammasso di stelle fra circa centomila anni. Le stelle che si formeranno erediteranno, con ogni probabilità, 1,2-etendiolo e le altre molecole che la nube contiene, e li trasferiranno anche nei sistemi planetari che si formeranno attorno alle stelle.

«Molte molecole che cerchiamo nel mezzo interstellare, la maggior parte direi, non riusciamo a trovarle», racconta Rivilla. «Questa volta invece è andata bene, la molecola c’è, ed è relativamente abbondante. Siamo sicuri della sua presenza in questa nube molecolare perché abbiamo rilevato diverse delle sue transizioni rotazionali a frequenze molto precise, la sua impronta digitale. E, siccome in precedenza avevamo caratterizzato molto bene le impronte di altre molecole nella stessa nube, siamo certi che non vi è sovrapposizione: il segnale rilevato è dovuto a 1,2-etendiolo».

Il prossimo passo, nel caso di questa molecola, sarà scoprire come si è creata, come da essa si sia potuto formare (nella Terra primitiva o nel mezzo interstellare che la ospitava) il glicoaldeide e quindi l’Rna. In generale, comunque, la fame di molecole degli astrochimici è lungi dall’essere saziata, e la ricerca di molecole prebiotiche continuerà incessante con osservazioni di nubi molecolari e lavoro in laboratorio, in attesa di trovare il percorso più convincente attraverso cui si sono formate forme complesse e, con esse, la vita.

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