AVVISTAMENTO INATTESO TRA STELLE MOLTO ANTICHE

Scoperto il lampo radio più vicino alla Terra

Con misurazioni di precisione realizzate con il network Vlbi/Evn (compresi i tre radiotelescopi italiani dell’Istituto nazionale di astrofisica), un gruppo di astronomi ha scoperto che questo lampo radio veloce (Frb) è esploso in un modo inatteso e in una regione anomala, un antico ammasso globulare nella vicina galassia M81

     23/02/2022

In due articoli pubblicati oggi sulle riviste Nature e Nature Astronomy, un team internazionale di astronomi presenta delle osservazioni che avvicinano gli scienziati alla risoluzione del mistero dei lampi radio veloci, sollevando anche nuovi quesiti sull’argomento. Alcuni ricercatori dell’Università di tecnologia Chalmers, Astron e Università di Amsterdam hanno coordinato il team internazionale di scienziati che ha localizzato un lampo radio veloce (Frb, fast radio burst), con ripetizioni del proprio segnale, all’interno di un ammasso globulare nella vicina galassia M81. La scoperta è inaspettata perché gli Frb vengono individuati, di solito, attorno a stelle giovani e massicce, molto più grandi del Sole, e in regioni con un’intensa attività di formazione stellare; al contrario, gli ammassi globulari presentano grandi quantità di stelle antiche. I risultati delle osservazioni, effettuate nell’ambito del progetto europeo Precise, confermano che questa sorgente è la più vicina mai avvistata: 40 volte più prossimo alla Terra di qualsiasi altro Frb conosciuto. Tra gli autori anche diversi ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf).

Un lampo radio veloce (Frb) proveniente da una sorgente sorprendente: un ammasso di stelle antiche (a sinistra) vicino alla galassia a spirale Messier 81 (M81). L’immagine mostra in blu-bianco come la luminosità di un flash sia cambiata nel corso di poche decine di microsecondi. Crediti: Daniëlle Futselaar / Astron

I lampi radio veloci sono fenomeni imprevedibili, estremamente brevi e misteriosi. Scoperti dai radioastronomi nel 2007 e avvistati raramente, la loro origine è ancora sconosciuta. Questi eventi producono intense emissioni nelle onde radio solo per pochi millisecondi prima di svanire. Sono in grado di sprigionare una quantità di energia tale da renderli visibili anche a distanze cosmologiche: ogni Frb rilascia un’energia paragonabile a quella che il Sole emette in un giorno. Successivamente è arrivata anche la scoperta dei cosiddetti repeating Frb, vale a dire lampi radio veloci che ripetono l’emissione anche a distanza di mesi dalla loro prima osservazione. Gli Frb sono stati visti finora solo dai radiotelescopi.

«Le nostre osservazioni hanno una precisione spaziale e temporale altissime, per cui abbiamo capito moltissime cose nuove e inaspettate di  questo fenomeno», spiega Marcello Giroletti dell’Inaf di Bologna, tra gli autori di entrambi gli articoli. «La novità più sorprendente è che abbiamo localizzato questo evento all’interno di un ammasso globulare, praticamente un insieme di stelle omogeneo e molto vecchio, quando invece la maggior parte dei modelli per la spiegazione degli Frb sembravano  suggerire che questi fenomeni fossero associati alla presenza di stelle giovani».

Gli ammassi globulari sono oggetti straordinari: si tratta di sistemi stellari molto densi, caratterizzati da milioni di stelle che sono distribuite in una configurazione a forma sferica estesa mediamente circa cento anni luce. Tali oggetti sono antichi in quanto la loro formazione risale a oltre 13 miliardi di anni fa.

I lampi radio veloci vengono “avvistati” a enormi distanze dalla Terra, in galassie a miliardi di anni luce da noi. I dati raccolti dalla rete di radiotelescopi confermano, invece, che Frb 20200120E è di gran lunga il lampo radio veloce extragalattico più vicino alla Terra mai osservato: si trova ad “appena” 12 milioni di anni luce da noi.

Rappresentazione artistica di una magnetar in un antico ammasso globulare (in rosso) vicino alla galassia a spirale Messier 81 (M81). Il misterioso ed estremamente rapido lampo radio veloce proverrebbe da questa regione. Crediti: Daniëlle Futselaar / Astron

La sorgente di questo repeating Frb è stata scoperta nel gennaio 2020 nella galassia di Bode (M81 o Ngc 3031), in direzione della costellazione dell’Orsa Maggiore. Per studiare la sorgente alla risoluzione e alla sensibilità più elevate possibili, gli scienziati hanno combinato le misurazioni dei 12 telescopi della rete europea Vlbi (Evn) e sono stati in grado di scoprire esattamente la posizione della potente esplosione cosmica. Le misurazioni Evn sono state integrate con i dati di diversi altri telescopi. Tra le antenne coinvolte, si annoverano tutti i radiotelescopi dell’Inaf: i radiotelescopi di Medicina (Bologna) e Noto (Siracusa) in modalità Vlbi, e il Sardinia Radio Telescope (Cagliari) come single dish e Vlbi.

La scoperta potrebbe modificare radicalmente il modo di cercare e studiare gli Frb. Negli ultimi anni la comunità scientifica ha seguito il modello che indica le magnetar (una particolare classe di stelle di neutroni) come l’origine più probabile per i repeating Frb. Poiché gli ammassi globulari ospitano vecchie popolazioni stellari, questa associazione sfida fortemente i modelli conosciuti, vale a dire proprio quelli che coinvolgono giovani magnetar formate in una supernova con collasso del nucleo. Gli esperti propongono che Frb 20200120E sia, invece, una stella di neutroni altamente magnetizzata formata dal collasso indotto dall’accrescimento di una nana bianca o dalla fusione di stelle compatte in un sistema binario.

Gli astronomi hanno cercato ulteriori indizi analizzando nel dettaglio i loro dati trovando un’altra sorpresa. Alcuni flash sono stati più brevi di quanto si aspettassero: fino a poche decine di nanosecondi. «Questo ci dice», commenta Kenzie Nimmo, ricercatrice presso Astron e Università di Amsterdam nonché prima autrice dell’articolo su Nature Astronomy, «che provengono da un minuscolo volume nello spazio, più piccolo di un campo da calcio ( forse solo decine di metri di diametro). Alcuni dei segnali che abbiamo misurato sono brevi ed estremamente potenti. Ciò suggerisce che stiamo davvero vedendo una magnetar, ma in un posto dove non sono state trovate prima».

«Il risultato fa parte di un progetto molto ampio», continua Marta Burgay (Inaf di Cagliari), «finalizzato alla localizzazione degli Frb. L’obiettivo è duplice: da un lato capire a quale distanza si trovano (e quindi determinare tutte le loro proprietà intrinseche, e non solo apparenti, prima fra tutte la luminosità) e dall’altro determinare in quale tipo di ambiente si originano, per avere indicazioni su quali potrebbero essere i loro progenitori».

«È soprattutto il risultato di un modo molto flessibile di utilizzare la rete europea dei radiotelescopi al di fuori delle sessioni ordinarie», aggiunge Gabriele Surcis (Inaf di Cagliari). «Ogni volta che un numero sufficiente di radiotelescopi ha del tempo a disposizione, vengono selezionati alcuni candidati e si osservano con pazienza fino all’arrivo del lampo radio veloce, che di solito viene riconosciuto usando degli speciali rilevatori. A quel punto si combinano i segnali di tutta la rete e si localizza l’evento con grandissima accuratezza spaziale».

Il coinvolgimento dell’Inaf in questo campo è molto importante, come conferma Giroletti: «Con le sue antenne e il suo personale, l’Inaf contribuisce a svelare nuove caratteristiche di fenomeni sconosciuti fino a pochi anni fa. Questa nuova modalità d’uso della rete di radiotelescopi ha richiesto una forte dose di creatività e di tenacia da parte di tutto il team. Ora, oltre a continuare con questo progetto europeo (ci sono già altri Frb che stiamo analizzando), l’idea è quella di riuscire a riproporre una versione tutta italiana dell’esperimento».

Le future osservazioni di questo sistema aiuteranno a capire se la sorgente è davvero una magnetar insolita o altro, come una pulsar o un buco nero e una stella in un’orbita ravvicinata.  «I lampi radio veloci sembrano darci una visione nuova e inaspettata su come le stelle vivono e muoiono. Se fosse vero, potrebbero avere cose da dirci sulla vita delle stelle in tutto l’universo», conclude Franz Kirsten, primo autore dell’articolo su Nature e ricercatore presso Chalmers e Astron.

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