«CHI HA BISOGNO DI UNA STAMPANTE 3D SE SAI SFERRUZZARE?»

Tra maglia e ricamo, la trama dell’universo

Lavori a maglia e all'uncinetto che riproducono dati scientifici da far invidia alle stampe 3d. Ricami a tema astronomico di ieri e di oggi che, come la pixel art, sono esempi di coding unplugged, attività che permettono di sviluppare il pensiero computazionale senza l'uso del computer. Una rassegna di creatività ispirata dal cosmo, con il contributo di Rosaria Bonito, Rachele Toniolo e Laura Leonardi dell'Inaf

     17/01/2022

Modello tridimensionale all’uncinetto di un oggetto stellare giovane con disco di accrescimento e getti bipolari. Crediti: R. Bonito

È la fine di giugno di qualche anno fa. A Monte Porzio Catone, nell’area dei Castelli Romani, una ventina di chilometri dalla capitale, si sta tenendo un congresso internazionale dove astronome e astronomi discutono i risultati delle più recenti osservazioni dei dischi di gas e polvere che si formano intorno alle stelle più giovani della nostra galassia, culle cosmiche in cui vengono alla luce nuovi pianeti. Rosaria Bonito, ricercatrice dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) a Palermo, presenta l’analisi di osservazioni di embrioni stellari realizzate sia in luce visibile che nei raggi X. Il suo lavoro, basato su un approccio multidisciplinare, combina non solo dati raccolti in diverse bande dello spettro elettromagnetico ma anche modelli numerici ed esperimenti di laboratorio per studiare tutte le componenti di questi sistemi complessi e comprendere i fenomeni che accompagnano la nascita di stelle e pianeti, dall’accrescimento della materia circostante all’espulsione di getti a velocità supersoniche. Alla fine dell’intervento, la moderatrice della sessione si congratula per la chiarezza dello schema utilizzato, il più bello e dettagliato mai visto finora.

È uno schema che rappresenta i processi astrofisici in atto nei pressi di un oggetto stellare giovane, con le varie componenti e l’emissione in diverse lunghezze d’onda raffigurate con colori differenti. Il disco di accrescimento è ben visibile in verde, mentre in arancione si distingue il materiale che fluisce dal disco verso la stella centrale – una sfera gialla – e in viola l’onda d’urto che si osserva nelle alte energie, dall’ultravioletto ai raggi X. Lungo la direzione perpendicolare al disco di accrescimento, si stagliano due getti di materia estremamente collimati, mostrati in blu e in rosso per indicare rispettivamente quello che punta verso l’osservatore e dunque si avvicina, e quello nella direzione opposta, che si allontana. Riproduce fedelmente quanto riportato negli articoli scientifici di Bonito e collaboratori ma non è il solito disegno bidimensionale. È un modello 3d a tutti gli effetti, anche se costruito con strumenti forse inconsueti per la pratica astronomica: lana e uncinetto. «I nostri congressi sono spesso molto tranquilli: anche trattando temi molto seri, ci sentiamo liberi di poterci esprimere anche in modo alternativo», racconta a Media Inaf Bonito. Per descrivere i processi fisici che caratterizzano le prime fasi della vita stellare, aggiunge che «tipicamente si fa un disegno, quindi una rappresentazione pittorica, perché non ci sono osservazioni a quel livello di dettaglio, non c’è la risoluzione spaziale… e allora perché no il modellino 3d».

Rosaria (Sara) Bonito, ricercatrice all’Inaf di Palermo, mentre sferruzza sulla spiaggia di Noordwijk, Paesi Bassi, dopo un meeting presso il centro Estec dell’Agenzia spaziale europea

Da allora, la ricercatrice ha mostrato il modello all’uncinetto simbolo del suo lavoro in vari altri convegni scientifici e numerosi incontri divulgativi con le scuole. «Ho pensato che si potesse utilizzare proprio tenendolo in mano, facendo capire tutta la complessità di un oggetto del genere». Complesso anche nella realizzazione, che ha richiesto la ricerca di svariati schemi su internet, come quelli usati per creare pupazzi e altre figurine, adattati e combinati per l’occasione. «In realtà ci è voluto molto più tempo a creare lo schema piuttosto che a realizzarlo poi», spiega Bonito, «perché quando non esiste lo schema bisogna anche calcolare le proporzioni e fare un po’ di ragionamenti matematici per capire le diminuzioni e gli aumenti».

All’uncinetto l’astrofisica preferisce il knitting, fare a maglia – «mi rilassa di più», ammette – attività con cui si diletta dall’età di sette anni, grazie agli insegnamenti della bisnonna, e che riprende negli anni dell’università proprio per rilassarsi. «L’idea era fare qualcosa di manuale e completamente diverso rispetto al lavoro. Poi ho iniziato ad andare al Knit Cafè con mia madre, il primissimo Knit Cafè di Palermo nel 2007, e ho iniziato a specializzarmi in forme geometriche: quadrati, rettangoli che poi convertivo in sciarpe, maglioni». Le creazioni all’epoca erano principalmente oggetti donati per progetti di beneficenza: cappellini e scarpette per bambini prematuri, coperte per rifugiati e zone di guerra. Dalle forme geometriche, caratterizzate da pattern, ripetizioni e concetti legati alla matematica, il salto agli oggetti tridimensionali è breve poiché «mette insieme la parte di calcolo che però mi rilassa – pensare, ragionare su come devono essere le dimensioni – con tutto quanto è creare: alla fine crei oggetti 3d», commenta Bonito, che in questa attività unisce le due grandi passioni che ha da quando era piccola: l’astronomia e il lavoro a maglia.

Creazione all’uncinetto ispirata al logo dell’Istituto nazionale di astrofisica. Crediti: R. Bonito

Nasce così una moltitudine di oggetti astrofisici e soggetti legati all’astronomia, fatti a maglia o all’uncinetto, dall’eclissi, in cui un’ammiccante Luna si prepara a occultare un sorridente Sole, a un dettagliatissimo Sistema solare: su Marte si nota la calotta polare, su Giove spicca la Grande macchia rossa, e c’è anche Cerere, considerato l’ottavo pianeta per mezzo secolo dopo la sua scoperta, avvenuta proprio all’Osservatorio di Palermo, a opera di Padre Giuseppe Piazzi nel 1801. Tra le creazioni a tema spaziale figurano anche l’astronauta Samantha Cristoforetti, il musicista e astrofisico Brian May – insieme al collega Freddie Mercury, icona rock dal nome astronomico per eccellenza – e addirittura il logo dell’Inaf, che «per fortuna è un logo molto semplice: basta fare cerchi e quadrati», chiarisce Bonito.

Secondo Noeska Smit, professoressa associata in visualizzazione medica presso l’Università di Bergen, in Norvegia, la visualizzazione dei dati e il lavoro a maglia hanno una storia simile. Se fare a maglia, per secoli attività manuale motivata dalla necessità di indossare indumenti caldi, è oggi principalmente un hobby dopo l’avvento della maglieria industriale, non è andata molto diversamente alla data visualization: un tempo servivano carta, penna e tanta pazienza per trasformare dati in diagrammi, ormai invece c’è l’imbarazzo della scelta tra strumenti digitali che ne restituiscono molteplici e sofisticate interpretazioni grafiche, ma le rappresentazioni fatte a mano conservano un certo fascino e un valore non trascurabile. In un intervento al workshop alt.Vis della Ieee Visualization Conference 2021, il più grande convegno internazionale su teoria, metodi e applicazioni della visualizzazione e dell’analisi visiva, Smit propone la data knitualization – fondendo i concetti di data visualization e knitting – e sottolinea come la pratica lenta del lavoro a maglia possa permettere alle persone di entrare in contatto con i dati in modo fisico e molto personale. Ne è un esempio il Tempestry Project, un progetto collettivo di sensibilizzazione verso il riscaldamento globale mediante la realizzazione di sciarpe e coperte che raffigurano le variazioni annuali di temperatura in diversi luoghi del pianeta.

Freddie Mercury tra i pianeti del Sistema solare. Crediti: R. Bonito

Bonito è d’accordo. «Chi ha bisogno di una stampante 3d se sai sferruzzare?» scherza l’astrofisica palermitana, che nel suo prossimo progetto di ricerca – uno studio di stelle variabili con disco di accrescimento attraverso il Vera Rubin Observatory, attualmente in costruzione in Cile – ha inserito la produzione di kit stampati ad altissima risoluzione 3d degli oggetti in questione. Il team dell’Inaf di Palermo è impegnato da anni nella creazione di sofisticati modelli 3d di oggetti astrofisici sia per la stampa che per la fruizione in ambienti di realtà virtuale, collaborando su questi temi con diverse università statunitensi. «Quando guardi un oggetto 3d hai una visualizzazione più semplice rispetto a quando devi immaginare una visualizzazione 3d sullo schermo di un computer», aggiunge Bonito, che ricorda l’importanza della stampa 3d anche per rendere la ricerca più inclusiva. I modelli tattili sono infatti un supporto cruciale per scienziati e membri del pubblico non-vedenti e ipovedenti, come il set di modelli e lezioni Tactile Universe sviluppato dall’astronomo Nicolas Bonne dell’Università di Portsmouth, in Gran Bretagna. «Ho incontrato Nic Bonne a Liverpool e mi ha ispirato tantissimo l’idea del non avere limiti. Nic è ipovedente e mi disse “se nella mia famiglia, nella mia scuola qualcuno mi avesse detto: tu non puoi fare l’astronomo perché sei ipovedente, forse non l’avrei fatto. Invece nessuno me l’ha mai detto, per fortuna, e sono cresciuto pensando che fosse un lavoro come un altro”. Infatti l’ha fatto, è una cosa molto bella».

Quattro grafici diversi riprodotti a maglia. Crediti: N. Smit, alt.Vis – Ieee Vis (2021)

Anche l’uso di pratiche artigianali come il lavoro a maglia e all’uncinetto per rappresentare dati – sia astronomici che di altra natura – ha un potenziale di coinvolgimento per rendere la scienza e la ricerca più inclusive, raggiungendo anche chi non ha accesso a un computer o non ha competenze digitali avanzate. Quando parla di data knitualization, Smit evidenzia un interessante parallelo tra il lavoro a maglia e la programmazione, accomunati – pur con una sintassi molto diversa – da una serie di istruzioni da seguire riga per riga, corredate da cicli nidificati e comandi condizionali. «Potrebbe essere un modo creativo di far capire che stai analizzando un’immagine: mentre stai lavorando quel punto, ragioni sul fatto che lì c’è il background, poi c’è il picco luminoso che magari è bianco, quindi con un’intensità maggiore», nota Bonito. Con uno spirito simile, nel 2016 l’astronomo statunitense Zach Berta-Thompson inaugurava il corso opzionale Crafting the cosmos al Massachusetts Institute of Technology, per far avvicinare studenti e studentesse a concetti astrofisici quali buchi neri, pianeti extrasolari o la misura delle distanze nell’universo attraverso attività pratiche e creative come fare a maglia o disegnare. Oggi professore all’Università del Colorado a Boulder, Berta-Thompson ha trasformato questo progetto pilota in un programma di ricerca per studenti e studentesse sia di astrofisica che di discipline artistiche.

Lavorare a maglia o all’uncinetto sono attività tradizionalmente associate all’universo femminile: inserirle nel mondo della ricerca e delle discipline Stem, oggi in molte parti del mondo dominate da una popolazione maschile, sfida due stereotipi allo stesso tempo. «Avendo avuto l’esperienza del Knit Cafè, in un gruppo di 40 persone gli uomini c’erano ma erano un paio», racconta Bonito, che mette in discussione gli stereotipi legati all’immaginario collettivo della scienza anche cantando durante eventi di divulgazione con il gruppo rock Ex Rei, formato da ricercatori e ricercatrici dell’osservatorio di Palermo. «Ci sono dei club di maglia online di uomini che lo fanno orgogliosamente, ma resta uno stereotipo che fare a maglia sia una attività femminile, quindi l’uomo che assorbe l’idea maschile imposta dalla società lo accetta più difficilmente. Sicuramente c’è una influenza culturale: in Irlanda mi aveva incuriosito il fatto che lì era al contrario. Hanno delle degli schemi legati alle famiglie dei pescatori corrispondenti ai cognomi irlandesi, e all’epoca in cui si sviluppavano questi schemi era vietato alle donne lavorare a maglia: era un lavoro da uomini, erano proprio i pescatori che lo dovevano fare».

Tre rappresentazioni del disco circumstellare, distorto e inclinato, che circonda il sistema Gw Orionis, formato da tre stelle giovani. A sinistra, l’immagine ottenuta con il radiotelescopio Alma (Kraus et al, Science, 2020 – Reprinted and adapted with permission from Aaas); al centro, lo schema per il knitting basato sull’immagine; a destra il lavoro a maglia realizzato seguendo lo schema. Crediti: Knit the Universe

Non lontano, in Scozia, altra terra celebre sia per i greggi di pecore lanose che per i caldi indumenti fatti a maglia, durante la pandemia nasce Knit the Universe. «La scienza può spaventare le persone, l’artigianato no», spiega a Media Inaf la creatrice del progetto, Kate Macdonald, fisica e consulente nel campo dei brevetti di Inverness, nelle Highland scozzesi. «Ho due figlie che da sempre amano creare. Così mi è venuta l’idea di mettere su qualcosa di piccolo da poter realizzare insieme per dimostrare il “tessuto” dello spaziotempo, gli eventi maestosi e la bellezza che ci circonda. Una rappresentazione tangibile delle meraviglie che esistono lì fuori». Sviluppa così l’idea di una trama che pervade l’universo attraverso il lavoro a maglia, prendendo in prestito il concetto di ‘songlines’ (in italiano: le vie dei canti) che permea l’arte dei popoli indigeni dell’Australia. Il progetto prende forma grazie al supporto dell’Institute of Physics Scotland (IopS), dove Macdonald presta servizio volontario come committee secretary e ambasciatrice Stem, con l’aiuto dell’astrofisico e comunicatore scientifico freelance Bryn Pearlstone insieme a Muza Farid e John Maher dell’IopS, pubblicando dieci schemi per il knitting ispirati a immagini dell’universo tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021.

Tra le fonti d’ispirazione, Macdonad ricorda una conferenza pubblica tenuta a Inverness, dinanzi a una folla gremita di genitori, insegnanti e studenti, dal professor Martin Hendry dell’Università di Glasgow nell’ottobre 2017, pochi giorni dopo l’annuncio del Premio Nobel conferito al team che aveva misurato il primo segnale di onde gravitazionali, cento anni dopo la predizione di Albert Einstein. «Le onde gravitazionali dovevano ovviamente esserci», precisa, «e il professor Harald Pfeiffer del Max Planck Institute mi aveva fornito dei video con modelli di onde gravitazionali da cui ho estratto alcune istantanee per creare i primi schemi, che mostrano le increspature nello spaziotempo». Per trasformare questi dati in uno schema per il lavoro a maglia, Macdonald coinvolge la suocera, abile sferruzzatrice. «Abbiamo sviluppato un processo per pixelare le immagini più belle che siamo riusciti a trovare di corpi celesti interessanti, scelte da quei fisici che avevano una certa affinità, una predilezione per ciascuna di quelle immagini».

Coperta fatta a maglia seguendo gli schemi di Knit the Universe. Crediti: Jill Martin

Oltre alle onde gravitazionali, tra i soggetti disponibili sul sito dell’Institute of Physics ci sono un sistema stellare triplo che perturba la materia circostante e una nana bruna dall’atmosfera a chiazze, ma anche corpi celesti del nostro vicinato cosmico come il Sole che “starnutisce”, Plutone con il suo caratteristico “cuore” e la Terra – quest’ultima in due versioni: il tradizionale globo terraqueo, circondato dai satelliti del futuro osservatorio spaziale Lisa per le onde gravitazionali, e l’iconico puntino blu, il Pale Blue Dot fotografato dalla sonda Voyager 1 da una distanza record di sei miliardi di chilometri. C’è pure il tanto atteso James Webb Space Telescope, lanciato lo scorso dicembre, con il suo specchio primario dall’inconfondibile struttura a nido d’ape. Questa volta non si tratta di modelli 3d di oggetti astronomici ma di immagini bidimensionali, trasformate in schemi per sferruzzatrici e sferruzzatori di tutti i livelli, ciascuno accompagnato da una scheda con curiosità scientifiche sull’oggetto in questione. «Io stessa sono principiante», ammette Macdonald, «e mi ci vuole un po’ di tempo per completare i quadrati, ma chi è più esperto riesce a produrli in circa due ore. Ne abbiamo realizzati di diversi livelli in termini di colori, cambi di colore e regolarità del disegno. Alcuni sono più facili, altri un po’ più difficili».

Il progetto ha già raggiunto molte migliaia di persone, non solo appassionati di knitting. «Speriamo di continuare a coinvolgere i giovani e i loro insegnanti e project leader nel 2022», nota l’esperta scozzese. «Il lavoro a maglia è piuttosto internazionale, così come l’astrofisica», aggiunge. Non manca chi apprezza il progetto anche in Italia. «L’informazione su Knit the Universe mi è arrivata proprio via email, tra svariati articoli scientifici, e ho pensato: bellissimo, un progetto che ancora una volta mette insieme le mie due passioni», commenta Bonito, che ne ha già parlato con un’altra collega appassionata di lavoro a maglia. «Sarebbe bello creare una rete di persone interessate dentro Inaf», aggiunge la ricercatrice. «Potremmo realizzare un poster che poi alla fine è una coperta, in cui ogni sede potrebbe creare un pannello legato ai temi di ricerca locali».

Il quadrato dedicato a Jwst, realizzato a partire dallo schema di Knit the Universe. Crediti: R. Bonito

Secondo Macdonald, la comunità di ingegneri, fisici e astronomi che lavorano a maglia o all’uncinetto non è piccola. «Sorprendentemente, o forse no», commenta. «È un’attività molto matematica – si conta molto – pur essendoci ripetizioni che consentono alla mente di vagare e forse contemplare quanto rappresentato negli schemi. Trovo la matematica molto bella, riflette lo splendore dell’universo». Con questo progetto, il team di Knit the Universe vuole condividere la passione per il cosmo con chi non ha ancora avuto l’opportunità di “vederlo” o “sentirlo”. «L’universo dovrebbe essere aperto a tutti, il lavoro a maglia può aprire la porta», sottolinea Macdonald.

Gli schemi per lavorare a maglia ricordano in tutto e per tutto delle opere di pixel art, forma di arte digitale in cui le immagini prendono forma pixel per pixel e che riscuote grande successo anche nel campo della didattica. «Con la pixel art è possibile sviluppare attività di coding unplugged, termine che racchiude l’insieme di esperienze che permettono di sviluppare il pensiero computazionale e altri concetti legati all’informatica senza usare strumenti digitali», spiega Rachele Toniolo, ricercatrice Inaf a Bologna che si occupa di didattica e divulgazione dell’astrofisica. Insieme a colleghe e colleghi del gruppo Play Inaf che si occupano dello sviluppo di risorse didattiche legate al coding e all’astrofisica, durante la pandemia Toniolo inizia a sviluppare una serie di schede facilmente replicabili per permettere a chiunque di avvicinarsi al mondo della programmazione sfruttando il fascino che le immagini del cosmo suscitano nel pubblico, in particolare nei più giovani. «Ho deciso di creare una raccolta di schede dedicate ai pianeti del Sistema solare, affiancate da una breve descrizione del pianeta raffigurato», racconta. «In questo modo gli utenti possono ricreare il proprio sistema solare mentre imparano a conoscere meglio i nostri vicini planetari».

Giove in pixel art. Crediti: R. Toniolo/Play Inaf

Le schede, disponibili sul sito Play Inaf, presentano ciascuna un codice formato da numeri e colori, ovvero le istruzioni per colorare le caselle di una griglia: i numeri indicano quante caselle consecutive vanno colorate di un certo colore, procedendo da sinistra verso destra e dall’alto al basso. «Per tradurre il codice in immagine», spiega Toniolo, «è necessario procedere un passo alla volta, una riga alla volta: questo procedimento è alla base dello sviluppo del pensiero computazionale, che consiste nella suddivisione di un problema in una sequenza di tanti piccoli problemi, risolvendo i quali si raggiunge la soluzione».

Si tratta in fondo della stessa modalità usata da un computer per aprire un’immagine sullo schermo: leggere un codice che contiene le informazioni sul colore dei singoli pixel. Molti insegnanti delle scuole primarie hanno già inserito queste risorse all’interno di percorsi dedicati alla scienza dello spazio oppure alla programmazione. «Forse a primo sguardo può sembrare un’attività poco scientifica e molto più artistica», aggiunge Laura Leonardi, ricercatrice all’Inaf di Palermo, dove si occupa di tecnologie innovative per la diffusione della cultura scientifica. «Chiaramente se ne comprende il potenziale solo provando a decodificare le varie schede», prosegue Leonardi. «Nel nostro lavoro di comunicatori della scienza, l’arte gioca spesso un ruolo fondamentale perché crea dei canali comunicativi che, in questo caso, si esprimono attraverso la pixel art, ma lo sperimentiamo anche quando, ad esempio, condividiamo le immagini del cosmo che ci arrivano dalle sonde spaziali, che non sono altro che dati, delle sequenze di numeri, decodificati e trasformati in immagini».

La scheda per riprodurre l’immagine di Cassiopeia A in pixel art. Crediti: L. Leonardi/Play Inaf

Ispirata dal lavoro della collega Toniolo, anche Leonardi inizia a realizzare schede di pixel art dedicate a esplosioni stellari e resti di supernova. Le supernove – fase finale della vita di stelle molto più massicce del Sole, in cui vengono prodotti molti degli elementi pesanti nell’universo tra cui ferro, silicio e zolfo – danno origine a strutture dalle forme articolate e complesse quando il materiale espulso incontra il gas interstellare nello spazio circostante.

Nella scheda dedicata al resto di supernova Cassiopeia A – originatosi da un’esplosione stellare avvenuta circa undicimila anni fa, la cui luce raggiunse la Terra per la prima volta verso la fine del Seicento – diversi colori indicano i vari elementi chimici prodotti durante il portentoso evento: «una volta decodificata l’immagine, non solo apparirà l’oggetto astronomico ma sarà possibile osservare la presenza e la concentrazione di questi elementi», chiarisce la ricercatrice e comunicatrice, intrigata dall’idea che noi umani siamo fatti della stessa sostanza delle stelle.

Una galassia a spirale realizzata a punto croce. Crediti: L. Leonardi

«Mi ha sempre affascinato il coding unplugged, in un mondo in cui tutto è digitalizzato credo sia importante dare ai giovani la possibilità di sperimentare le logiche della programmazione informatica e gli aspetti algoritmici utilizzando materiali semplici come fogli e colori», aggiunge Leonardi. «Tutto ciò ha un enorme potere inclusivo: è un’attività che può essere praticata ovunque, senza bisogno di avere un dispositivo elettronico, e a qualsiasi età». Dall’arte alla scienza, dunque, per poi tornare all’arte in un ciclo continuo di contaminazioni. È proprio grazie alla pixel art che riprende a ricamare a punto croce, tecnica imparata alle scuole medie durante un corso pomeridiano di artigianato. «Il principio è più o meno lo stesso», commenta. «Per realizzare gli schemi per il ricamo occorre “tradurre” su un foglio, attraverso punti e colori, l’immagine che si ha in mente, facendo attenzione a calcolare le x (che sulla tela aiutano a definire lo spazio del disegno) in base alle misure, e solo dopo inizia la parte del ricamo».

Il ricamo a tema astronomico ha un precedente illustre. Nel 1976, su suggerimento dell’amico John R. Whitman, l’astrofisica anglo-statunitense Cecilia Payne-Gaposchkin aveva diligentemente immortalato, usando la tecnica del mezzo punto, proprio Cassiopeia A.

La riproduzione a mezzo punto del resto di supernova Cassiopeia A realizzata da Cecilia Payne-Gaposchkin. Crediti: Harvard University Archives

Whitman, che all’epoca lavorava presso il Center for Short-Lived Phenomena dello Smithsonian Institution a Cambridge, Massachussets, era rimasto colpito dalle immagini di alcuni resti di supernova riprese dallo strumento a raggi X a bordo del satellite Copernicus OAO-3, apparse sul numero di dicembre 1975 della rivista Scientific American. Ottenuti i dati da uno dei co-autori dell’articolo, Philip A. Charles del Mullard Space Science Laboratory, in Inghilterra, Whitman tradusse l’immagine pixel per pixel, sviluppando uno schema da ricamo che poi stampò utilizzando il Cdc-6400 del suo istituto, all’epoca il computer per applicazioni civili più potente di tutto il New England. Ormai settantenne, Payne-Gaposchkin raccolse la sfida, realizzando un lavoro di pregio artistico e scientifico mezzo secolo dopo aver rivoluzionato l’astrofisica moderna, dimostrando che il Sole consiste principalmente di idrogeno, in una dissertazione che le valse il primo dottorato in astronomia rilasciato a una donna dall’Università Harvard.

A portare avanti questa tradizione nello stesso campus, tra le mura dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics, c’è oggi Yvette Cendes, ricercatrice postdoc in radioastronomia. Dopo aver visto uno schema per punto croce raffigurante il protagonista del videogioco Mario Bros, si rende conto che «qualsiasi cosa fatta di pixel può essere trasformata in punto croce, e praticamente tutto in astronomia al giorno d’oggi è fatto di pixel, poiché acquisiamo immagini digitalmente». Cendes, che studia segnali radio provenienti da sorgenti variabili e transitorie, con particolare interesse per le supernove e la distruzione di quelle stelle che si avvicinano troppo a un buco nero, è appassionata di ricamo a punto croce sin dai tempi del college. Nel corridoio del prestigioso istituto di ricerca dove lavora, si può ammirare il suo primo pezzo a tema astronomico: la costellazione di Orione in punto croce, con tanto di zoom sull’omonima nebulosa. Lo schema proviene da Climbing Goat Designs, piattaforma dove si possono acquistare numerosi schemi di ricamo a tema scientifico e astronomico, curata dalla fisica britannica Clare Bray. «Alla proprietaria è piaciuto il mio lavoro, quindi le ho permesso di usarlo per il negozio», aggiunge la ricercatrice, che ora progetta anche schemi originali ispirati alla sua ricerca oppure ai dati scientifici raccolti da amici e colleghi, a cui spesso regala i suoi pezzi.

L’evoluzione dell’emissione radio della supernova 1987A realizzata in punto croce (cliccare per ingrandire). Crediti: Y. Cendes

Il primo ricamo interamente progettato da Cendes mostra l’evoluzione dalla supernova 1987A, osservata in banda radio per venticinque anni, dal 1992 fino al 2017. «In realtà si tratta della Figura 1 del primo articolo scientifico che ho scritto con il mio relatore di dottorato», ammette. «Ho deciso di regalarlo al mio relatore, che aveva realizzato le prime immagini radio della supernova 1987A nella sua tesi di dottorato negli anni Novanta: sapevo che lo avrebbe apprezzato! L’ho finito durante le sere del mio ultimo semestre di dottorato, ed è ancora nel suo ufficio all’Università di Toronto». Un altro pezzo creato dalla ricercatrice riproduce il famoso diagramma che riporta la scoperta della prima pulsar, a opera di Jocelyn Bell Burnell nel 1967. «Sono riuscita a regalarglielo quando ha visitato il mio istituto prima della pandemia e le è piaciuto molto», ricorda.

Non si tratta sempre di un’impresa facile, poiché molte immagini e diagrammi astronomici non sono immediatamente traducibili in punto croce, in particolare per una radioastronoma come lei che di solito osserva sorgenti molto lontane e praticamente puntiformi. Ma anche i ricami più astratti, come quello ispirato all’immagine di Swift J1644+57 – l’emissione prodotta da una stella divorata da un buco nero supermassiccio in una galassia distante quasi quattro miliardi di anni luce – ottenuta con il Very Large Array, non passano inosservati. Cendes tiene molte conferenze per il pubblico e include spesso le sue creazioni in queste presentazioni perché ritiene che «fare scienza sia un atto di espressione umana, non meno che scrivere una poesia o dipingere un ritratto, ma spesso questo è più ovvio quando mostri i tuoi dati in modo nuovo, diverso. A volte quelle slide ricevono più commenti di tutte le altre».

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