FACCIAMO IL PUNTO SUGLI ESPERIMENTI CHE CERCANO QUESTE PARTICELLE

A caccia di assioni, da Terra e dallo Spazio

Un gruppo di scienziati ha cercato le tracce degli assioni nelle osservazioni X di Betelgeuse, senza trovarne alcuna. Lo studio – pubblicato su Physical Review Letters – ha permesso di porre dei vincoli alle proprietà di queste ipotetiche particelle tre volte più forti di quanto abbia mai fatto qualsiasi precedente esperimento di rilevamento condotto sulla Terra. Media Inaf ha intervistato uno degli autori, Oscar Straniero, astrofisico all’Inaf d’Abruzzo

     25/01/2021

Grazie alla recente ricerca di assioni nella vicina Betelgeuse è stato possibile restringere significativamente i parametri delle ipotetiche particelle di materia oscura. Crediti: Collage del Mit News, Alma (Eso / Naoj / Nrao) / E. O’Gorman / P. Kervella

Attualmente sono considerati tra i principali contendenti al ruolo di componenti della materia oscura. Si presume siano leggeri, molto leggeri. Come ci si può aspettare, devono interagire pochissimo con la materia ordinaria. Sono gli assioni.

Finora queste ipotetiche particelle sono sfuggite a tutti i tentativi di rilevarle, sebbene anche la scorsa settimana sia stato pubblicato uno studio che potrebbe lasciare sperare di aver trovato le loro tracce. Mentre molti scienziati stanno dando loro la caccia sulla Terra, gli astrofisici guardano (anche) il cielo, poiché prevedono che queste particelle siano prodotte all’interno di ambienti estremi, come i nuclei delle stelle che stanno per esplodere in supernove. Gli assioni generati da queste stelle, incontrando un campo magnetico, dovrebbero infatti trasformarsi in fotoni, più facilmente rilevabili.

Per questo motivo, un gruppo di scienziati ha cercato gli assioni puntando lo sguardo verso Betelgeuse, una stella vicina che dovrebbe presto – su scale temporali astrofisiche – scomparire, non prima di aver dato spettacolo come supernova. Data la sua imminente scomparsa, Betelgeuse dovrebbe essere una fabbrica naturale di assioni, intenta a sfornare costantemente questo tipo di particelle mentre la stella sta “bruciando”. Tuttavia, quando il team guidato da Mengjiao Xiao del Massachusetts Institute of Technology ha cercato le firme tanto attese degli assioni – sotto forma di fotoni nella banda X – non ha visto nulla. Anche se sarebbe stato bello trovare tracce di assioni, non averle trovate ha permesso di porre vincoli sulle loro proprietà tre volte più forti di qualsiasi precedente esperimento di rilevamento in laboratorio condotto sulla Terra.

Media Inaf ha intervistato uno degli autori, Oscar Straniero – dirigente di ricerca all’Inaf Osservatorio astronomico d’Abruzzo – per rivedere insieme questi importanti risultati. Con l’occasione, grazie al suo aiuto, abbiamo cercato di fare il punto sugli esperimenti che attualmente stanno andando a caccia di assioni, o il cui sviluppo è in fase di programmazione.

Recentemente sono stati pubblicati diversi lavori riguardanti tentativi di trovare tracce di assioni nelle vicinanze di stelle di neutroni tramite la rilevazione di emissione X. Anche voi, nel vostro ultimo articolo pubblicato la scorsa settimana, avete riportato i risultati di uno studio con il quale avete cercato tracce di assioni in una famosa supergigante rossa di nostra conoscenza, Betelgeuse. Perché il tracciante degli assioni dovrebbe essere l’emissione X (hard-X, nel caso delle stelle di neutroni)?

«Lo spettro di energia dipende dalla temperatura dell’emettitore e dal processo termico che produce gli assioni. In una stella di neutroni, la temperatura varia tra i 10 e i 100 milioni di gradi e gli assioni possono essere prodotti da un processo che si chiama Bremsstrahlung, mentre nelle supergiganti come Betelgeuse le temperature possono raggiungere alcuni miliardi di gradi e il processo dominante è la conversione di fotoni in assioni nel campo elettromagnetico generato da particelle cariche, come ioni ed elettroni. Una volta prodotti, gli assioni non sono trattenuti dalla stella, a causa della debole interazione con la materia ordinaria, ma possono essere riconvertiti in fotoni se attraversano un campo magnetico. Nelle stelle di neutroni, è il loro stesso campo magnetico che spiegherebbe l’eccesso hard-X osservato in alcune di esse, ma nel caso di Betelgeuse, la stella non ha un campo magnetico altrettanto intenso. Nondimeno la Galassia può venirci in aiuto. La nostra ipotesi è che, nel tragitto che gli assioni fanno dalla stella fino al nostro rivelatore X, questi attraversano il campo magnetico galattico, trasformandosi in fotoni. Insieme ad alcuni colleghi del Mit, Kerstin Perez, Mengjiao Xiao, Brandon Roach e Melania Nynka, a Maurizio Giannotti della Barry University, ad Alessandro Mirizzi dell’Università di Bari e a Brian Grefenstette del Caltech, abbiamo proposto e ottenuto di osservare Betelgeuse con il telescopio satellitare NuStar, della Nasa. Il risultato ottenuto ci ha permesso di restringere significativamente l’intervallo di possibili valori dei parametri fisici che caratterizzano questa particella, considerata un ottimo candidato per la dark matter. Questo studio è ripetibile anche per altre supergiganti rosse che sono relativamente vicine a noi. Ce ne sono circa una trentina conosciute, tutte stelle relativamente massicce che possono essere progenitrici di supernove di tipo core collapse. La cosa interessante è che la temperatura interna di questi oggetti cresce moltissimo durante la loro evoluzione, passando da qualche centinaio di milioni di gradi nella fase di combustione dell’elio, fino a oltre 4 miliardi di gradi durante il bruciamento del silicio, prima del collasso finale. A queste temperature, il flusso di assioni prodotto è molto intenso e di conseguenza lo è anche il flusso X che ci aspettiamo di osservare».

Perché le stelle dovrebbero produrre assioni?

«In generale, la possibilità che un qualunque plasma caldo – quindi in particolare le stelle – possa produrre assioni viene fuori in maniera molto naturale da tutte le teorie proposte per superare i limiti del Modello standard. Più in generale si parla di Alps, che sono axion like particles, una generalizzazione della teoria originale degli assioni della cromodinamica quantistica, o Qcd (quantum chromodynamics). Originariamente, gli assioni sono stati introdotti negli anni Sessanta per spiegare alcuni problemi della Qcd, in particolare, la non violazione nelle interazioni forti della simmetria CP. Questa simmetria è conservata se in un’interazione vengono simultaneamente scambiate le particelle con le loro antiparticelle (variazione di carica) e si invertono le loro coordinate spaziali (variazione di parità) e il processo che si ottiene è ancora possibile in natura. Di fatto, non sono mai stati trovati dei processi che violano questa simmetria, come invece avviene per le interazioni deboli, nonostante che per il modello standard la CP può non essere conservata. Gli esperimenti degli ultimi 50 anni ci dicono che è invece conservata con una precisione estrema. Una conseguenza di questo fatto è l’esistenza di un momento di dipolo elettrico del neutrone, che è un’altra cosa che gli esperimenti hanno dimostrato essere molto vicino a zero, e comunque molto più piccolo di quello che ci si aspetta dalla teoria standard della Qcd. Il neutrone è una particella neutra ma è composto da 3 quark, che sono invece carichi. Quindi può avere un momento di dipolo elettrico il cui valore dipende dalla distribuzione della carica dei quark al suo interno. Gli esperimenti sono estremamente precisi e il limite superiore che si ottiene è molto più piccolo di quello che ci si aspetta in base alla teoria. Per risolvere questi problemi, Roberto Peccei ed Helena Quinn proposero per la prima volta nel 1977 l’esistenza di un nuovo campo capace di attivarsi rompendo la simmetria assiale nell’universo primordiale. Come per tutte le rotture di simmetria, l’attivazione del campo ha generato un bosone, in questo caso, l’assione».

Insomma, questi assioni risolverebbero un bel po’ di problemi.

«C’è una forte motivazione teorica nel predire l’esistenza di assioni e un grosso interesse nel trovarli, perché se sono di massa molto piccola potrebbero essere naturalmente prodotti durante l’inflazione (o addirittura prima). Proprio perché hanno una massa particolarmente piccola – e deve essere piccola perché una volta prodotti poi non possano decadere in altre particelle – allora, essendo bosoni, possono condensare molto rapidamente in quello che si chiama gas di Bose-Einstein e avrebbero tutte le caratteristiche di una materia oscura fredda (cold dark matter). In altre parole, gli assioni funzionerebbero molto bene per spiegare la materia oscura fredda che tutti cercano».

Come mai solo ultimamente sta emergendo questo forte interesse, anche cosmologico, per trovarli?

«Perché fino a una decina di anni fa molti fisici avrebbero scommesso che la materia oscura fosse fatta da particelle massive e debolmente interagenti, i cosiddetti Wimp. C’è questa bellissima teoria della supersimmetria che prevede l’esistenza di partner super-simmetrici molto massicci delle particelle standard: a ogni bosone sarebbe associato un (super)fermione e a ogni fermione un (super)bosone. Così, per il fotone ci sarebbe il fotino, mentre il super-partner dell’elettrone è il selettrone, e così via. Il problema è che le teorie minimali supersimmetriche, quelle considerate più appealing, prevedono l’esistenza di queste particelle già a masse un pochino più grandi di quelle del bosone di Higgs. In particolare, il neutralino, che è stato spesso indicato come probabile candidato per la materia oscura, si pensava dovesse avere una massa di qualche centinaio di GeV, tenuto conto che il bosone di Higgs, trovato a Lhc nel 2012, ha una massa di circa 125 GeV».

Non è stato trovato?

«Lhc è stato potenziato e ha cercato fino a energie oltre il TeV, senza trovare nulla. Non ci sono particelle in un intervallo di energia molto vasto. Potrebbero essercene a masse ancora maggiori, ma questa situazione ha comunque generato dubbi sulla loro esistenza e soprattutto ha introdotto una certa delusione nei fisici teorici che si sono rivolti altrove per cercare le componenti della materia oscura. Gli assioni sono da tempo considerati un’ottima alternativa. È importante ricordare che i grandi acceleratori, come Lhc, sono stati concepiti per cercare particelle massicce, come il bosone di Higgs o il neutralino, ma non sono adatti per cercare piccole particelle che interagiscono molto debolmente. Al contrario, le stelle sono degli ottimi laboratori naturali per scovarle e studiarle. Un esempio sono gli studi sui neutrini del Sole, che hanno dimostrato che queste particelle sono dotate di massa e che, pertanto, si presentano come sovrapposizioni – mixing – di diversi sapori».

Infografica che mostra gli attuali esperimenti che stanno dando la caccia agli assioni, e quelli che verranno sviluppati nei prossimi anni. Crediti: Maura Sandri / Media Inaf

Quali sono gli esperimenti che gli stanno dando la caccia?

«Ci sono molti esperimenti, sia quelli che cercano la materia oscura, sia quelli che cercano gli assioni prodotti direttamente dal Sole. Ad esempio, Iaxo (International Axion Observatory) è un helioscope, ossia un telescopio che in cima al tubo ha un magnete molto potente che trasforma gli assioni prodotti dal Sole in fotoni X. Sotto c’è un telescopio X – i cui specchi tra l’altro sono stati progettati e si stanno sviluppando a Brera, nell’Osservatorio dell’Inaf. Attualmente si sta sviluppando un dimostratore, baby-Iaxo, a Desy – un laboratorio molto importante situato ad Amburgo, in Germania. Inoltre, al Cern ha lavorato per diversi anni un altro elioscopio più piccolino, che si chiama Cast (Cern Axion Solar Telescope). Cast ha posto dei limiti superiori alla forza dell’interazione dell’assione con i fotoni. Baby-Iaxo e Iaxo sono molto più performanti e permetteranno di arrivare a investigare interazioni molto più deboli perché, di fatto, noi non sappiamo quanto è debole questa interazione. La speranza è che sia debole ma non così debole da risultare totalmente invisibile. Questa è la scommessa che stiamo facendo».

E gli esperimenti di questo tipo che cercano la materia oscura, quali sono?

«Si chiamano haloscope e più o meno hanno un principio analogo: c’è un forte campo magnetico che dovrebbe trasformare gli assioni in fotoni. L’origine degli assioni in questo caso è diversa. La Terra si muove all’interno di un alone di materia oscura e quindi si trova immersa in un vento di assioni. La loro velocità è relativamente bassa e quindi in realtà quello che conta è la loro massa. Siccome la massa che ci si aspetta è molto piccola, l’energia è quindi piccola e di conseguenza lo è la frequenza del fotone che viene prodotto. In particolare, la frequenza della radiazione prodotta è nelle microonde. Poi ci sono delle cavità risonanti che amplificano questo segnale e rivelano la presenza di questo campo prodotto dall’interazione con gli assoni della materia oscura. Un aloscopio di questo tipo si chiama Admx (Axion Dark Matter Experiment) ed è stato sviluppato da una collaborazione americana di diverse università e istituti di ricerca, tra cui il Fermilab. Qui da noi, ai laboratori sotterranei del Gran Sasso dell’Infn, si è aperta invece la nuova frontiera degli esperimenti massivi con Xenon 1T, che utilizza 3 tonnellate di xeno liquido. Lo xeno è un gas nobile e raro che si estrae dall’aria. La sua produzione mondiale annua è di poche tonnellate, il che rende l’idea della difficoltà incontrate per sviluppare l’esperimento. Quando l’assione – solare o di materia oscura – interagisce con i nuclei di questo materiale, produce elettroni. Il funzionamento è simile a quello dei vecchi fotometri che si usavano fino agli anni ‘80 in astronomia, prima dell’avvento dei Ccd, dove un fotone genera elettroni che poi vengono accelerati da un campo elettrico. In questo caso è l’assione o un’altra componente della materia oscura che genera gli elettroni. Ovviamente, essendo l’interazione debole, non basta una piccola cella come nel caso dei fotometri: questi rivelatori sono giganteschi perché devono riuscire a catturare eventi molto rari. Quest’estate è stato pubblicato un articolo su Physical Review D – la prima autrice è Elena Aprile, il Principal Investigator di Xenon 1T – in cui la collaborazione ha annunciato di aver visto un segnale che è stato inizialmente interpretato come dovuto agli assioni prodotti dal Sole».

Non era così?

«Il problema è che la forza dell’interazione assione-elettrone necessaria per spiegare il segnale visto da Xenon 1T è almeno due ordini di grandezza più alta di quella che noi stimiamo come limite superiore dalle stelle. In particolare, la luminosità del tip delle giganti rosse degli ammassi globulari è molto sensibile alla produzione di assioni. Durante la fase Rgb (red giant branch), gli assioni sono prodotti nel core caldo degenere di queste stelle e poi emessi. In pratica fanno perdere energia al nucleo stellare, ritardando l’innesco dell’elio, che coincide con il tip dell’Rgb. Più è forte questa interazione, più è alta la luminosità del tip, una quantità che si può facilmente misurare. Insieme ai colleghi Cristina Pallanca e Francesco Ferraro, dell’Università di Bologna, Luciano Piersanti e Emanuele Dalessandro dell’Inaf, Inma Dominguez dell’Università di Granada, Maurizio Giannotti e Alessandro Mirizzi (già co-autori dell’articolo su Betelgeuse), abbiamo recentemente pubblicato un lavoro sulla rivista Astronomy and Astrophysics, aggiornando questa stima della luminosità dell’Rgb tip, utilizzando anche dati di Gaia per le distanze degli ammassi globulari. Quello che si ottiene è un limite superiore all’interazione con gli elettroni che è due ordini grandezza inferiore a quello che servirebbe per spiegare il segnale visto da Xenon. Pertanto, abbiamo definitivamente escluso che fossero assioni solari. Come spesso accade quando ci sono annunci di misure importanti, si è scatenata una pioggia di articoli teorici in cui si cerca di mettere insieme tutte le informazioni, quelle delle stelle con quelle sperimentali, in maniera tale da trovare un quadro che sia coerente. Ancora ci si sta lavorando e non è escluso che Xenon 1T possa aver effettivamente visto un Alp cosmologico».

Oscar Straniero, Dirigente di ricerca dell’Inaf Osservatorio astronomico d’Abruzzo, primo autore dell’articolo uscito a dicembre su A&A e coautore dell’articolo uscito la settimana scorsa su Physical Review Letters

Il lavoro a cui si riferisce è quello che è uscito in dicembre?

«Esattamente. Questo tipo di lavori, più che una vera e propria detection, fissano dei limiti e permettono di restringere l’intervallo di valori dei parametri fisici dell’assione. In questo modo si capisce dove conviene andare per trovarlo. Sono quindi preziosi per chi deve sviluppare nuovi esperimenti mirati, che vadano a cercare gli assioni dove le stelle ci dicono che è più probabile che ci siano. Mentre invece il lavoro su Betelgeuse, quello uscito la scorsa settimana sul Physical Review Letters, va a cercare proprio l’assione prodotto nel cuore della stella. La pistola fumante è il flusso X in coincidenza con la posizione della stella. Se lo vediamo siamo in grado di dire che la stella sta producendo assioni. Come ho già detto, le giganti rosse sono stelle di 10 – 20 masse solari e più sono in una fase evolutiva avanzata, più si avvicinano al core collapse finale, più questo flusso aumenta perché le temperature interne aumentano. Quindi, una cosa interessante emersa da questo studio, è che monitorando questi oggetti, ad un certo momento si dovrebbe vedere apparire il segnale dovuto alla conversione di assioni in fotoni nel campo magnetico galattico – sempre che gli assioni esistano, ovviamente. Inoltre, dalla misura della luminosità in banda X, saremmo in grado di dire quando esploderà la supernova e questo sarebbe interessantissimo perché ci permetterebbe di allertare tutti i vari telescopi terrestri e spaziali, ma anche gli interferometri per onde gravitazionali e i rivelatori dei neutrini. Potremmo dire con una certa precisione “guardate, sta per esplodere una supernova galattica”. Oggi non è possibile fare questo perché la luce che proviene da queste stelle è emessa dalla superficie, non dal core, e durante le fasi avanzate le zone interne della stella evolvono su tempi scala più veloci di quelli necessari all’inviluppo esterno per reagire a questi cambiamenti. Quindi, negli ultimi diecimila anni di vita la stella ci appare “congelata”. I neutrini, che come gli assioni sono invece prodotti nel nucleo stellare, potrebbero in teoria avvisarci dell’imminente esplosione. Il problema con i neutrini è che la loro rivelazione è molto difficile. Al contrario gli assioni, trasformati in radiazione X da un campo magnetico, sarebbero rivelabili molto più agevolmente. Se effettivamente esistessero, gli assioni potrebbero contribuire significativamente all’astronomia multi-messaggera».

L’Inaf cosa sta facendo in questo ambito di ricerca?

«Come si diceva, stiamo già fornendo un contributo a Iaxo e molti sono gli studi teorici che vedono coinvolti astrofisici e cosmologi italiani. Insieme ad altri colleghi dell’Inaf (Fabrizio Tavecchio, Marta Civitani, Fabio Finelli e altri), che già lavorano a vario titolo in progetti e studi su assioni – l’interesse è assolutamente trasversale, visto che questa ricerca investe la cosmologia, le stelle, la fisica solare e anche lo sviluppo di tecnologia – vorremmo creare un coordinamento degli astrofisici italiani interessati a questa scienza. Sollecitato dal CdA dell’Inaf, Fabrizio Tavecchio ha recentemente tenuto un seminario sugli studi legati all’assione, in una riunione congiunta con i rappresentati dei raggruppamenti scientifici e aperta a tutta la comunità. Lo scopo di queste iniziative è sondare l’interesse di Inaf e della sua comunità di riferimento a partecipare al progetto europeo Iaxo».

Edit del 1 febbraio 2021, ore 11:00. Aggiornata l’infografica aggiungendo altri due esperimenti: QUAX e KLASH. 

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