PRIMA LUCE DI SPHERE

Il lampione e la falena

Ha soddisfatto tutte le attese lo strumento SPHERE appena entrato in fase di test al telecopio VLT, in Cile. Le prime immagini di questa fase, chiamata in gergo tecnico prima luce, sono eccezionali e promettono grandi scoperte nel prossimo futuro.

     04/06/2014

sphereatvltLo scorso gennaio Sphere, dopo essere stato smontato, è partito per il Cile dove  è stato ri-assemblato e montato nell’Unità 3 del Very Large Telescope (VLT) dell’ESO all’Osservatorio del Paranal, in Cile. E qui ha avuto la sua prima luce.

Il momento tanto atteso è giunto con piena soddisfazione dei tanti scienziati e tecnici che hanno lavorato a questo strumento il cui nome, SPHERE, è l’acronimo di Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet Research, letteralmente: cercatore di esopianeti spettro-polarimetrico ad altro contrasto.

SPHERE è uno strumento in grado di rilevare pianeti orbitanti attorno a stelle diverse dal nostro Sole, attraverso tecniche in grado di isolare la luce proveniente dal pianeta annullando quella della stella e ottenerne una vera e propria immagine diretta del pianeta.

Finora la maggior parte dei pianeti extrasolari noti, è stata rilevata con metodi indiretti osservando, cioè, gli effetti che essi producono sulla stella attorno alla quale orbitano. Infatti le stelle attorno alle quali nascono ed evolvono i sistemi planetari sono immensamente più luminose dei piccoli pianeti che orbitano intorno, per cui, fino ad oggi, la tecnologia non permetteva osservazioni dirette se non in pochi fortunati casi.

Ma il team di SPHERE ha deciso di mettere a punto uno strumento che riuscisse a fotografare direttamente i pianeti immersi nel bagliore della stella principale.

Metaforicamente potremmo dire che la sfida era equivalente a riuscire a rilevare, stando a Roma, una falena in volo attorno a un lampione di Milano! Il “trucco” stava nel riuscire, prima di tutto, a separare i due oggetti, il lampione e la falena, da una distanza così grande e, in seconda battuta, nell’eliminare selettivamente la luce del lampione senza perdere però quella della falena.

iota-sgr

Due immagini del sistema binario Iota Sgr. La stella principale – una gigante K a 180 anni-luce di distanza dal Sole facilmente visibile ad occhio nudo – è al centro del campo di vista in entrambe le immagini ma la sua luce è stata quasi completamente eliminata usando le speciali tecniche di sottrazione disponibili con SPHERE, anche se un residuo è ancora visibile nell’immagine di destra. In entrambe le immagini si vede chiaramente la debole compagna, una stella nana M mai osservata sinora, quattromila volte più debole della stella principale. La separazione tra le due stelle è solo 0.24 arcsec, corrispondente a dodici volte la distanza tra la Terra e il Sole alla distanza di Iota Sgr, ma solo 60 centimetri ad una distanza di 500 chilometri (Roma-Milano). L’immagine di sinistra (a 1.2micron) è stata ottenuta con lo spettrografo a campo integrale, IFS (Integral Field Spectrometer), uno dei tre strumenti scientifici che costituiscono SPHERE, di realizzazione italiana. Quella a destra è l’immagine simultanea ottenuta con la camera IRDIS. a 1.6micron. Le bande scure in prossimità dell’immagine della nana M sono artefatti caratteristici delle tecniche usate per visualizzare il debole compagno di iota Sgr.

Qui a fianco è possibile vedere due immagini del sistema binario Iota Sgr, del quale finora si era rilevata solo la componente principale, una gigante K (il nostro lampione). Ora con SPHERE, in particolare con i due strumenti, l’italiano IFS e il francese IRDIS che lavorano in combinazione, si è potuta rivelare anche la nostra falena ossia la debole compagna nana di tipo M. Per dare un’idea del risultato possiamo dire che il rapporto di luminosità tra la stella principale e la compagna è di circa 4mila! La loro separazione angolare è piccola, poco più di 10 UA, cioè 10 volte la distanza Terra-Sole, osservata da una distanza di circa 180 anni-luce. È quindi come se la falena fosse distante 60 cm dal lampione. Immagini così dettagliate ci dicono che, quando SPHERE raggiungerà le sue massime performance, sarà sicuramente possibile osservare gli esopianeti con un dettaglio mai raggiunto finora.

Per ottenere questi risultati SPHERE combina tre tecniche molto sofisticate: 1- la cosiddetta Ottica Adattiva, per correggere i disturbi dovuti all’atmosfera terrestre e allo strumento, in grado di ottenere performance migliori da quelle raggiungibili persino dallo Spazio. SPHERE utilizza Ottiche Adattive estreme per risolvere angolarmente il lampione dalla falena. 2- La coronografia, utilizzata per sopprimere la luce di sorgenti brillanti in modo da lasciar emergere ciò che c’è nelle loro immediate vicinanze. In SPHERE è necessaria per togliere la luce abbacinante del lampione (figura 2). 3- tecniche di sottrazione d’immagine a particolari lunghezze d’onda per aumentare il contrasto laddove la falena emette con maggiore intensità. Queste tecniche permettono anche la rimozione di ulteriori residui dovuti alla turbolenza atmosferica.

SPHERE non è ancora a regime,” ci dice Raffaele Gratton dell’INAF-Osservatoorio Asttronomico di PPadova e responsabile scientifico dello strumento IFS, “ma queste immagini sono già nettamente superiori a quelle di qualsiasi altro strumento attualmente operante. E speriamo di fare ancora meglio nel prossimo futuro.

SPHERE è un tipico esempio di come la ricerca scientifica pura rappresenti un potente stimolo per lo sviluppo tecnologico.

La comunità astronomica immaginava che i pianeti extrasolari esistessero ben prima che li si rilevasse per la prima volta meno di 20 anni fa, nel 1995. Da allora si sono sfruttate tutte le tecnologie possibili per scovarne sempre di più, sia da terra che dallo spazio. Nell’ottobre dello scorso anno si è superata quota 1.000!

Fino ad oggi hanno prevalso i metodi indiretti, capaci di scoprire con maggior efficienza pianeti orbitanti nelle immediate vicinanze della stella. Ma la voglia di conoscenza richiede di spingersi sempre più in là ed ecco, quest’anno, entrare in funzione SPHERE che, grazie alle tecnologie prime descritte, scatterà immagini dirette di questi lontani mondi, soprattutto di quelli più distanti dalla stella centrale.

Nel prossimo futuro si inizierà a costruire lo European Extremely Large Telescope (EELT) che, con il suo specchio di 39 metri di diametro, riuscirà probabilmente a fotografare pianeti piccoli come la nostra Terra.

La curiosità. E’ questo il motore che più di ogni altro ha sempre spinto, e sempre spingerà, l’Uomo oltre i propri limiti. Ed è da essa che derivano tecnologie e conoscenze imprescindibili per il progresso e il benessere della nostra società.

LInk alla Press-release di ESO

 

 

N.B. Il contributo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a SPHERE è molteplice. Capeggiato dall’INAF-Osservatorio Astronomico di Padova, ha visto l’attiva e preziosa collaborazione anche degli Osservatorio Astronomici di Catania e Capodimonte, e dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e Fisica cosmica (INAF-IASF) di Milano.La partecipazione di INAF al top management di SPHERE è stata garantita da Massimo Turatto nel suo ruolo di Co-I di SPHERE coadiuvato in questo da Riccardo Claudi (PM del contributo INAF). Un primo gruppo, coordinato da Andrea Baruffolo, e costituito Daniela Fantinel, Bernardo Salasnich dell’INAF-Osservatorio di Padova e Pietro Bruno dell’INAF-Osservatorio di Catania si è occupato dell’implementazione del software di controllo dell’intero strumento. Un secondo gruppo, coordinato da Riccardo Claudi (INAF-OAPd) e costituito da (in ordine alfabetico) Umberto Anselmi (INAF-OAPd), Jacopo Antichi (INAF-OAPd), Enrico Cascone (INAF-OACa), Vincenzo DeCaprio (INAF-OACa), Silvano Desidera (INAF-OAPd), Giancarlo Farisato (INAF-OAPd), Enrico Giro (INAF-OAPd), Raffaele Gratton (INAF-OAPd), Luigi Lessio (INAF-OAPd), Dino Mesa (INAF-OAPd), Salvo Scuderi (INAF-OACt), ha progettato e costruito l’IFS, uno dei tre strumenti scientifici di SPHERE. La validazione scientifica dello strumento è stata guidata da Raffaele Gratton (INAF-OAPd), scienziato dello strumento, coadiuvato da Riccardo Claudi, Silvano Desidera, coordinatore della NIRSUR (NIR Survey), Dino Mesa e Alice Zurlo.

GLI ISTITUTI COINVOLTI
1 ESO
2 Institut de Planétologie et d’Astrophysique de Grenoble, France
3 Max-Planck-Institut für Astronomie, Heidelberg, Germany
4 Laboratoire d’Astrophysique de Marseille, France
5 Observatoire de Genève, Switzerland
6 Laboratoire Lagrange, Nice, France
7 INAF Istituto Nazionale di Astrofisica, Italy
8 Laboratoire d’Etudes Spatiales et d’Instrumentation en Astrophysique, Paris, France
9 Eidgenössische Technische Hochschule Zürich, Switzerland
10 University of Amsterdam, the Netherlands
11 Office National d’Etudes et de Recherches Aérospatiales, Châtillon, France
12 Stichting ASTRonomisch Onderzoek in Nederland, the Netherlands