LO STUDIO SU NATURE

Metti un GRB nel mirino

La combinazione delle tempestive osservazioni condotte dal satellite SWIFT della NASA e dal telescopio robotico Liverpool Telescope hanno permesso di registrare una consistente quantità di radiazione polarizzata nella luce emessa dal lampo di raggi gamma GRB 120308 e indagare le caratteristiche del campo magnetico attorno ad esso. Nel team che ha condotto lo studio anche Andrea Melandri, dell'INAF-Osservatorio Astronomico di Brera

     04/12/2013

swift-gamma-ray-lgStudiare un lampo di raggi gamma (GRB) richiede, oltre che una dotazione tecnologica di altissimo livello, anche una velocità di reazione degna di un centometrista. Questa fondamentale richiesta nasce dalla durata stessa del lampo di raggi gamma che, tranne rari casi, si sviluppa nell’arco di pochi secondi o al più qualche minuto. Per questo nell’ultimo decennio sono stati progettati e realizzati telescopi automatici e osservatori spaziali dedicati al loro studio, capaci di individuare in pochi secondi la posizione nel cielo del nuovo GRB, riposizionarsi velocemente per registrarne l’evoluzione con gli strumenti  di bordo e contemporaneamente allertare altri telescopi per supportarli nelle osservazioni. Questa sinergia, ormai fruttuosamente collaudata, ha ottenuto un nuovo importante successo, che viene presentato oggi in un articolo pubblicato sulla rivista Nature. I protagonisti di questa storia sono, in ordine di apparizione: GRB 120308A, un lampo di raggi gamma verificatosi l’8 marzo del 2012 in direzione della costellazione dell’Orsa Minore, il satellite SWIFT della NASA dedicato allo studio dei GRB, il telescopio robotico Liverpool Telescope situato all’Isola di La Palma (Canarie) e, ovviamente, il team di ricercatori che ha condotto l’analisi dei dati raccolti, guidato da Carole Mundell, dell’Università di Liverpool “John Moores” e a cui hanno partecipato Andrea Melandri, dell’INAF-Osservatorio Astronomico di Brera, e Cristiano Guidorzi dell’Università di Ferrara.

La storia dell’osservazione inizia poche decine di secondi dopo che GRB 120308A si ‘accende’ nel cielo, quando Swift lo individua e inizia con il suo telescopio nei raggi X a registrare il flusso di radiazione prodotto dall’immane esplosione di quella che doveva essere una stella di grande massa giunta alla fine del suo ciclo evolutivo. L’allerta concomitante inviato a Terra da SWIFT è stato raccolto in modo del tutto automatico, tra gli altri, dal Liverpool Telescope, che con lo strumento RINGO2 ha seguito per dieci minuti la diminuzione progressiva della luce prodotta dal lampo gamma, quello che in gergo tecnico prende il nome di afterglow.  Dieci minuti di dati preziosissimi, perché il polarimetro RINGO2 è riuscito a registrare quanta di quella luce era polarizzata, ovvero si stava propagando lungo una particolare direzione. Una informazione preziosissima per capire quali erano le condizioni dell’ambiente in cui si è sviluppato il lampo di raggi gamma.

“I getti di plasma prodotti dal GRB e che si muovono a velocità prossime a quelle della luce possono contenere ed attraversare delle zone in cui è presente un campo magnetico” spiega Andrea Melandri. “Quando le particelle di questo getto interagiscono con il campo magnetico, a seconda di come sono ordinate le sue linee di forza, possono uscirne polarizzate, cioè si propagano preferenzialmente in una certa direzione. Noi abbiamo effettivamente osservato questa emissione di luce polarizzata proveniente da GRB 120308A e la sua variazione nel corso del tempo. I dati raccolti ci hanno quindi fornito informazioni su come è più o meno ordinato il campo magnetico in prossimità del GRB”.

I risultati presentati nell’articolo di Nature portano dunque un importante contributo anche nell’acceso dibattito sui meccanismi fisici che stanno alla base della produzione dell’energia associata ai lampi di raggi gamma. Infatti, nonostante i progressi della ricerca in questo settore, non è ancora ben chiaro quale sia il processo da cui si origina la radiazione gamma osservata. “Attualmente esistono dei modelli teorici che non prevedono la polarizzazione e altri che invece la prevedono” commenta Melandri, “il risultato che emerge dal nostro lavoro sembra favorire quei modelli che prevedono la polarizzazione ed in particolare supporta l’idea che in prossimità del GRB esista un campo magnetico globalmente ordinato, escludendo invece la possibilità che esso possa essere generato da instabilità locali”.