
La Einstein Probe ha rilevato il debole segnale a raggi X del transiente Ep240315a molto prima della sua controparte a raggi gamma. Osservazioni successive hanno mostrato che il lampo proveniva da circa 12,5 miliardi di anni luce di distanza, iniziando il suo viaggio cosmico verso di noi quando l’universo aveva appena il 10 per cento della sua età attuale. Crediti: Openverse/ Einstein Probe Science Center
Secondo uno studio pubblicato oggi su Nature Astronomy, un nuovo tipo di esplosione stellare offre un approccio innovativo per esplorare l’universo lontano. Si tratta di un transiente X veloce – in inglese, Fast X-ray Transients (Fxt) – misteriose esplosioni di radiazioni X che solitamente durano solo pochi minuti. Tra gli autori dello studio figurano numerosi ricercatori e ricercatrici dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf): Luca Izzo, Andrea Rossi, Paolo D’Avanzo, Lorenzo Amati, Sergio Campana, Francesco Carotenuto, Massimo Della Valle, Giulia Gianfagna, Youdong Hu, Elisabetta Maiorano, Andrea Melandri, Silvia Piranomonte, Luigi Piro, Ruben Salvaterra, Gianpiero Tagliaferri e Aishwarya Linesh Thakur.
«Sapevamo già da tempo dell’esistenza di queste esplosioni uniche, ma solo ora, grazie alla nuova missione Einstein Probe, siamo in grado di individuarle quasi in tempo reale», afferma Peter Jonker dell’Università Radboud, scopritore di uno dei primi eventi di questo tipo e secondo autore dell’articolo.
Gli autori hanno utilizzato una posizione precisa fornita inizialmente dall’Einstein Probe e successivamente perfezionata da terra con il telescopio ottico Atlas per localizzare il transiente X veloce nello spazio e studiarlo con il Very Large Telescope in Cile e il GranTeCan in Spagna. «Queste osservazioni dimostrano che l’esplosione è avvenuta quando l’universo aveva meno del 10 per cento della sua età attuale: la luce ha viaggiato per 12 miliardi di anni prima di raggiungerci. La combinazione della distanza e della luminosità significa che questa esplosione ha emesso in pochi secondi più energia di quanta ne emetterà il Sole nell’arco della sua intera vita», osserva Andrew Levan della Radboud University, primo autore dello studio.
Queste energie estreme, insieme al rilevamento dei raggi gamma da parte del satellite Fermi, suggeriscono che i transienti X veloci siano correlati, almeno in alcuni casi, ai potentissimi lampi gamma che sono stati studiati per mezzo secolo. «La domanda è se tutti i transienti X veloci provengano da sistemi simili a quelli dei lampi gamma o se vi sia una maggiore diversità. Il nostro articolo dimostra che molti di essi potrebbero essere lampi gamma, ma vi sono buoni motivi per ritenere che ci sia ancora molto da scoprire», aggiunge Jonker.
Ma di quali sistemi stiamo parlando? Cosa origina queste potenti esplosioni?
«Come si sono formate le prime stelle, più di 13 miliardi di anni fa, resta una delle questioni più affascinanti dell’astrofisica moderna. Pensiamo che queste prime stelle fossero molto massicce, con una massa pari a 50-100 volte quella del Sole, e che, esplodendo, abbiano dato origine ai primi buchi neri e prodotto i primi metalli dell’universo», spiega Luigi Piro dell’Inaf. «Grazie alle più recenti osservazioni di Jwst, stiamo scoprendo galassie che si sono formate nelle prime epoche nell’universo, ma l’osservazione di singole stelle o di agglomerati di stelle che si sono formate dal collasso della materia primordiale elude ancora le potenti lenti dei telescopi spaziali. Con la scoperta di BeppoSax che i lampi gamma sono il risultato dell’esplosione di stelle massicce in galassie distanti, gli astrofisici hanno capito che questi oggetti possono in prospettiva offrirci l’opportunità di osservare non solo la fine esplosiva delle stelle primordiali, ma anche – grazie alla loro straordinaria luminosità – di effettuare una “tomografia” del mezzo intra-stellare che li circonda. Ciò consente di ricostruire come e quando si siano formate le prime stelle e in che modo le loro esplosioni abbiano arricchito il mezzo interstellare con i primi metalli per la seconda generazione stellare».
«Purtroppo lampi gamma ad altissimo redshift sono rari e difficilissimi da trovare: un ago in un pagliaio, a fronte delle centinaia di lampi gamma che scoppiano ogni anno», continua Piro. «Ma oggi abbiamo una nuova prospettiva, grazie al satellite Einstein Probe, che permette di osservare con grandangoli in raggi X oggetti molto deboli. Sappiamo da anni che un sottoinsieme di lampi gamma potrebbe nascondere questi eventi in più grande numero: sono gli X-ray flash scoperti da BeppoSax e i più deboli Fast X-ray Transients osservati da Chandra e Xmm. Questo si spiega con lo spostamento verso il rosso di lampi gamma che esplodano ad altissimi redshift, che sposta il picco di emissione del lampo dai raggi gamma ai raggi X. Non è un caso che il primo evento osservato da Einstein Probe, protagonista di questo articolo, sia un lampo gamma dominato dalla emissione X e che esplose circa 12 miliardi di anni fa».
«Le osservazioni condotte con i grandi telescopi ottici dal team di astrofisici Stargate – che vede una forte componente Inaf, con il Telescopio Nazionale Galileo e il Large Binocular Telescope – hanno reso possibile una vera e propria “radiografia spettrale” della galassia ospite del lampo gamma. Pur essendo invisibile, questa galassia lascia nello spettro delle impronte caratteristiche che hanno permesso agli astrofisici di risalire alle sue proprietà», aggiunge Piro.
In particolare, esaminando le osservazioni del Very Large Telescope, è emerso chiaramente che intorno a questa esplosione c’è pochissimo materiale, in particolare idrogeno. L’idrogeno agisce come un filtro per la luce ultravioletta, impedendole di attraversare l’universo. Tuttavia, nella storia dell’universo, all’incirca nel periodo in cui si è verificato questo transiente X veloce, l’universo ha subito il suo ultimo cambiamento globale in un processo chiamato reionizzazione, in cui l’idrogeno tra le galassie è stato colpito dalla luce ultravioletta ed è stato reionizzato. Il problema è che quasi tutta la luce ultravioletta creata dalle stelle nell’universo è bloccata dall’idrogeno presente nella galassia in cui si trovano le stelle stesse.
«Le nostre osservazioni mostrano che forse il 10 per cento della luce ultravioletta creata nella galassia ospite del transitorio rapido a raggi X sta sfuggendo per ionizzare l’universo. Questo è l’evento più lontano in cui possiamo vedere direttamente la luce sfuggire dalle stelle. Galassie come questa sono probabilmente molto importanti per la reionizzazione», dice Andrea Saccardi, ricercatore del Cnes al Cea Paris-Saclay.
Queste osservazioni riguardano uno dei primi eventi rilevati dalla sonda Einstein Probe. «Nell’anno successivo alla scoperta di questo primo oggetto, abbiamo individuato e studiato altri 20 eventi simili, che confermano la promessa di rappresentare un nuovo e stimolante metodo per esplorare sia il modo in cui le stelle terminano la loro vita, sia le condizioni dell’universo in epoche molto remote», afferma Levan.
«In prospettiva futura, eventi molto più deboli e quindi potenzialmente ancora più distanti – ovvero i Fast X-ray Transients ad alto redshift – saranno osservati in grande numero da NewAthena, il grande osservatorio spaziale in raggi X dell’Esa, permettendoci di spingere la nostra frontiera osservativa nell’universo primordiale», conclude Piro.
Per saperne di più:
- Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Fast X-ray Transient EP240315a in a Lyman continuum leaking galaxy at z~5” di Andrew J. Levan, Peter G. Jonker, Andrea Saccardi, Daniele Bjørn Malesani, Nial R. Tanvir, Luca Izzo, Kasper E. Heintz, Daniel Mata Sánchez, Jonathan Quirola-Vásquez, Manuel A. P. Torres, Susanna D. Vergani, Steve Schulze, Andrea Rossi, Paolo D’Avanzo, Benjamin Gompertz, Antonio Martin-Carrillo, Antonio de Ugarte Postigo, Benjamin Schneider, Weimin Yuan, Zhixing Ling, Wenjie Zhang, Xuan Mao, Yuan Liu, Hui Sun, Dong Xu, Zipei Zhu, José Feliciano Agüí Fernández, Lorenzo Amati, Franz E. Bauer, Sergio Campana, Francesco Carotenuto, Ashley Chrimes, Joyce N.D. van Dalen, Valerio D’Elia, Massimo Della Valle, Massimiliano De Pasquale, Vikram S. Dhillon, Lluís Galbany, Nicola Gaspari, Giulia Gianfagna, Andreja Gomboc, Nusrin Habeeb, Agnes P. C. van Hoof, Youdong Hu, Pall Jakobsson, Yashaswi Julakanti, Judith Korth, Chryssa Kouveliotou, Tanmoy Laskar, Stuart P. Littlefair, Elisabetta Maiorano, Jirong Mao, Andrea Melandri, M. Coleman Miller, Tamal Mukherjee, Samantha R. Oates, Paul O’Brien, Jesse T. Palmerio, Hannu Parviainen, Daniëlle L. A. Pieterse, Silvia Piranomonte, Luigi Piro, Giovanna Pugliese, Maria E. Ravasio, Ben Rayson, Ruben Salvaterra, Rubén Sánchez-Ramírez, Nikhil Sarin, Samuel P. R. Shilling, Rhaana L. C. Starling, Gianpiero Tagliaferri, Aishwarya Linesh Thakur, Christina C. Thöne, Klaas Wiersema, Isabelle Worssam, Tayyaba Zafar







