UN’ATMOSFERA COSÌ NON S’ERA VISTA MAI

Annusando con Webb il ricco bouquet di Wasp-39b

Sorprendente la varietà di sostanze nell’atmosfera del lontano esopianeta: oltre ad acqua e anidride carbonica, gli strumenti di Jwst hanno rilevato la presenza di monossido di carbonio, sodio, potassio e – per la prima volta in un’esoatmosfera – anidride solforosa, segno di reazioni fotochimiche in atto. Fra gli autori dei cinque studi che riportano la scoperta c’è anche Patricio E. Cubillos dell’Inaf di Torino

     22/11/2022

Rappresentazione artistica di Wasp-39b. Crediti: Nasa, Esa, Csa, Joseph Olmsted (Stsci)

Wasp-39b è un mondo estremo, situato a circa 700 anni luce di distanza da noi, in direzione della costellazione della Vergine. Dalle nostre parti, nel Sistema solare, di pianeti simili a lui non se ne trovano. Immaginate un gigante grande quanto Saturno, ma vicino alla stella attorno alla quale orbita quanto lo è Mercurio rispetto al Sole: enorme e bollente, dunque. Ebbene, questo esopianeta è stato uno fra i primi ai quali il telescopio spaziale James Webb ha rivolto la sua attenzione non appena ha avuto inizio la campagna scientifica. I risultati, riportati ora in una serie di cinque articoli scientifici (tre dei quali già accettati per la pubblicazione da Nature e due ancora in attesa di superare la peer review), mostrano la varietà di costituenti della sua atmosfera: oltre ad acqua (già rilevata da Hubble) e anidride carbonica (rilevata dallo stesso Webb), è emersa la presenza di monossido di carbonio, sodio, potassio e – per la prima volta nell’atmosfera di un esopianeta – anidride solforosa.

«Abbiamo osservato l’esopianeta con più strumenti che, insieme, coprono un’ampia porzione dello spettro infrarosso e una panoplia di impronte chimiche prima inaccessibili», dice Natalie Batalha dell’Università della California a Santa Cruz, fra le coautrici e coordinatrici della cinquina. «Dati come questi rappresentano un punto di svolta».

Nei grafici, gli spettri di trasmissione raccolti da tre strumenti Webb in quattro modalità strumentali. Tutti sono tracciati su una scala comune che va da 0,5 a 5,5 micron. Crediti: Crediti: Nasa, Esa, Csa, Joseph Olmsted (Stsci)

Dai risultati è emerso anche che nell’atmosfera del pianeta s’incontrano anche delle nuvole. Ma a destare interesse è soprattutto la presenza di anidride solforosa (SO2), una molecola che qui sulla Terra viene rilasciata naturalmente dall’attività vulcanica ed è utilizzata, per esempio, in alcuni processi di vinificazione. Su Wasp-39b l’anidride solforosa è prodotta da reazioni chimiche innescate dalla radiazione ad alta energia proveniente da Wasp-39, la stella attorno alla quale orbita il pianeta. Reazioni fotochimiche, dunque. Simili a quelle all’origine dello strato protettivo di ozono nell’alta atmosfera terrestre. «Questa è la prima volta in cui abbiamo una prova concreta della presenza di fotochimica – reazioni chimiche avviate dalla luce stellare ad alta energia – su esopianeti», sottolinea Shang-Min Tsai dell’Università di Oxford (Regno Unito), primo autore dell’articolo che spiega l’origine dell’anidride solforosa nell’atmosfera di Wasp-39b.

Patricio Ernesto Cubillos Vallejos, ricercatore postdoc all’Inaf di Torino e coautore degli articoli sull’atmosfera di Wasp-39b

Oltre all’anidride solforosa, i tre strumenti per il vicino infrarosso di Webb utilizzati per osservare l’atmosfera di Wasp-39b – la fotocamera NirCam, lo spettrografo NirSpec e lo spettrografo-imager NirIss – hanno identificato, dicevamo, anche il sodio (Na), il potassio (K) e il vapore acqueo (H2O), confermando così precedenti osservazioni da terra e dallo spazio. Webb ha anche visto di nuovo l’anidride carbonica (CO2) – questa volta però a risoluzione più elevata e fornendo il doppio dei dati rispetto alle osservazioni precedenti – e monossido di carbonio (CO), mentre non ha trovato tracce evidenti di metano (CH4) né di acido solfidrico (H2S). Se mai ci fossero, queste molecole sono dunque presenti a livelli molto bassi.

«Quando ho visto questi risultati per la prima volta, è stato per me un momento davvero emozionante: il livello di dettaglio di cui Jwst si è mostrato capace ha superato tutte le nostre aspettative, è uno strumento straordinario», dice a Media Inaf uno dei coautori della serie di articoli, Patricio E. Cubillos, ricercatore postdoc all’Inaf di Torino, che si è occupato in particolare di modellare le proprietà atmosferiche del pianeta e di fornire un’interpretazione fisica alle osservazioni. «Sospettavamo da tempo che queste molecole potessero essere presenti nelle atmosfere di questi mondi, ma non avevamo gli strumenti adatti per rilevarle. Ora invece abbiamo la prova cristallina della presenza di queste molecole, e ne abbiamo persino scoperte alcune del tutto inattese, come appunto l’anidride solforosa. Jwst rivoluzionerà completamente la nostra comprensione di questi mondi lontani, aiutandoci a capire di cosa sono fatti, come si formano e come evolvono».

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