SPINGENDOSI CON XMM ALLA PERIFERIA DEI GRANDI AMMASSI

Indagine sull’enigma delle vie del ferro

Se volete capire come evolve l’universo, seguite il ferro. Ed è proprio ricostruendo la quantità e la distribuzione del ferro in 12 ammassi di galassie che un team guidato da Simona Ghizzardi dell’Inaf di Milano è riuscito a scoprire tre anomalie significative. Una su tutte: per spiegare l’abbondanza di ferro stimata dagli astronomi ci dovrebbero essere sette volte più stelle, rispetto a quelle osservate, in grado di produrlo. Oppure dovrebbero essere sette volte più efficienti

     18/05/2021

Simona Ghizzardi, astrofisica all’Inaf Iasf di Milano e prima autrice dello studio sulla distribuzione del ferro in 12 ammassi di galassie pubblicato su Astronomy & Astrophysics

Alla fine c’è il ferro. È lì, alla casella 26 della tavola periodica, che al massimo si possono spingere le pedine di quel gioco dell’oca che è la nucleosintesi stellare. Gli elementi oltre il ferro non possono formarsi tramite i normali processi di fusione nucleare che avvengono nelle stelle: richiedono processi particolari innescati da eventi estremi – come le esplosioni di supernove o lo scontro fra stelle di neutroni. Ma la vita di una stella non può spingersi oltre quella soglia – il ferro. Ed è proprio questo vicolo cieco, il non poter andare oltre il ferro, che – con il cessare improvviso della fusione nucleare – porta al collasso del nucleo delle stelle di grande massa, quindi all’aumento vertiginoso della sua densità e all’esplosione come supernova – con il conseguente spargimento del ferro tutt’attorno nello spazio interstellare e oltre, fino allo spazio intergalattico.

Alla fine c’è il ferro, dunque. E sul processo che porta alla sua produzione – questo riassunto a grandi linee qui sopra – ci sono ormai pochi dubbi. Ma andando a studiarne la distribuzione nell’universo – e in particolare andando a stimare quanto ferro c’è negli ammassi di galassie e alla loro periferia – gli astronomi si sono accorti che il quadro non è completo. E che le domande aperte sono ancora molte.

«Quello che si sa di sicuro è chi sono i responsabili della produzione del ferro e dei metalli in generale: i “fabbricanti del ferro” sono le stelle più massicce che poi esploderanno come supernove. Ma come e quando abbiano arricchito il gas dell’intracluster medium è ancora da capire», dice a Media Inaf Simona Ghizzardi, astrofisica all’Inaf di Milano e prima autrice di uno studio, pubblicato lo scorso febbraio su Astronomy & Astrophysics, che indaga la distribuzione del ferro in 12 ammassi di galassie. «Inoltre, stime preliminari pubblicate negli anni scorsi in letteratura mostrano che le stelle contenute in un ammasso sembrano non essere in grado di produrre tutto il ferro misurato».

Ed è proprio sul mistero di questo eccesso di ferro – nonché sulla sua distribuzione stranamente uniforme lungo l’intera estensione degli ammassi di galassie – che il censimento intrapreso dal team guidato da Ghizzardi cerca di fare chiarezza. Osservando i 12 ammassi con il telescopio spaziale europeo Xmm-Newton, sensibile all’emissione X, e da terra con i telescopi ottici Canada-France-Hawaii Telescope e Wide Isaac Newton Telescope, Ghizzardi e colleghi hanno censito l’abbondanza relativa di ferro-56 fino a quello che in gergo si chiama R500. Vale a dire, spingendosi alla periferia dei 12 ammassi del loro campione fino a quando la densità di materia non scende sotto la soglia di 500 volte la densità critica dell’intero universo – grosso modo, a 3 o 4 milioni di anni luce dal centro. Grazie alla loro indagine, si è avuta conferma di tre anomalie significative.

Come si vede dal grafico, allontanandosi dal centro degli ammassi (dunque spostandosi verso destra lungo l’asse orizzontale) il profilo della curva dell’abbondanza di ferro si presenta abbastanza piatto, segno che la quantità relativa di ferro rimane più o meno costante. Sullo sfondo, il soffione rappresenta un’analogia con i meccanismi di dispersione del ferro, evidentemente molto efficienti considerate le enormi distanze alle quali riescono a spargerlo. Crediti grafico: S. Ghizzardi et al., A&A, 2021. Crediti immagine: Pixabay

«Anzitutto abbiamo osservato che i profili di abbondanza del ferro sono – a parte le regioni più centrali – estremamente piatti», dice Ghizzardi. «In altre parole, l’abbondanza del ferro è uniforme sulla maggior parte del volume degli ammassi, e per di più varia pochissimo da un ammasso all’altro. Questo risultato conduce a uno scenario molto interessante: è plausibile che l’arricchimento sia sostanzialmente avvenuto in epoche “antiche”, a redshift circa 2, quando gli ammassi non erano ancora formati. Le supernove avrebbero prodotto la maggior parte del ferro e lo avrebbero espulso fuori dalle galassie già in fase di protocluster, andando ad arricchire il gas circostante che verrà successivamente accresciuto a formare l’ammasso. Il ferro avrebbe avuto così il tempo di diffondersi e diluirsi in modo omogeneo, così da fornire una metallicità simile per tutti gli ammassi e uniforme dentro ciascun ammasso».

Oltre a questa inattesa uniformità nella sua distribuzione, il ferro è poi risultato sorprendentemente abbondante negli spazi apparentemente “vuoti”, quelli all’esterno delle galassie che popolano gli ammassi. Spazi che però vuoti non sono: lo spazio tra le galassie è infatti permeato da un gas caldissimo (milioni di gradi), detto gas intracluster, invisibile nell’ottico ma che emette raggi X. È principalmente costituito da idrogeno ed elio ma contiene tracce di elementi più pesanti – “metalli”, nel gergo degli astronomi – tra cui il ferro.  «La quantità di ferro nel gas intracluster è circa dieci volte maggiore della quantità di ferro che rimane intrappolato dentro le galassie. Questo implica che i meccanismi di feedback (Agn, venti stellari…) che espellono il ferro dalle galassie devono essere estremamente efficienti», spiega Ghizzardi, «perché il 90 per cento del ferro prodotto dentro le galassie viene espulso e va a disperdersi nel gas intracluster». Volendo fare un’analogia, è un po’ come imbattersi in una nazione nella quale solo un abitante su dieci vive in città, mentre tutti gli altri sono stati espulsi dai centri urbani e vivono sparpagliati fra zone rurali, montuose o desertiche.

Il grafico evidenzia la differenza fra l’efficienza che le stelle dovrebbero avere nel produrre ferro per raggiungere i livelli riscontrati nello studio (fascia rosa in alto) rispetto all’efficienza che ci si attende dai modelli e dai dati di evoluzione stellare (fascia gialla in basso). Sullo sfondo, un’immagine di Xmm-Newton con il mosaico delll’ammasso Abell 2319, uno dei dodici del campione X-Cop analizzato nello studio. Crediti grafico: S. Ghizzardi et al., A&A, 2021. Crediti immagine: The Xmm Cluster Outskirts Project (X-Cop)

Ma il risultato più intrigante è forse quello che riguarda la quantità di ferro, risultata – come dicevamo all’inizio – inspiegabilmente elevata. «Il nostro lavoro conferma le misure preliminari in letteratura: apparentemente le stelle presenti nelle galassie che formano gli ammassi non sono in grado di fabbricare tutto il ferro rivelato: per riuscirci dovrebbero essere 7 volte di più, o 7 volte più efficienti. Ma ovviamente non esistono altri “fabbricanti di ferro”: le supernove sono le uniche in grado di sintetizzarlo. Quindi l’enigma di chi abbia prodotto il ferro non è risolto», conclude Ghizzardi.

Fra le ipotesi per spiegare quest’ultima anomalia, una fra le più intriganti è che le stelle responsabili dell’arricchimento che mancano all’appello si trovino oggi in regioni ancor più periferiche di quelle osservate nel corso dello studio – o forse addirittura al di là di quello che gli astronomi chiamano il raggio viriale dell’ammasso. In pratica, oltre i suoi confini, vale a dire nelle regioni in cui gas e stelle risentono già dell’attrazione gravitazionale dell’ammasso ma non sono ancora stati catturati all’interno della sua buca di potenziale. Insomma, l’indagine non è ancora chiusa.

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