CONVIENE SBILANCIARLI IN MODO ESAGERATO

Interferometri “truccati” per vedere esopianeti

Stando alle simulazioni al calcolatore, la nuova tecnica promette sensibili miglioramenti nella qualità delle riprese astronomiche mirate all'osservazione diretta di esopianeti. Roberto Ragazzoni (INAF): «Un sistema ingegnoso molto interessante, ulteriore prova che la sfida dell'osservazione di nuovi mondi porta allo sviluppo di nuove tecnologie in un campo ancora in gran parte inesplorato»

     01/04/2016
Vista del sistema planetario attorno alla stella HR8799 osservato dal telescopio LBT in due differenti lunghezze d'onda nell'infrarosso. Sulla sinistra, nella banda H (a 1.65 micron), a destra, in una banda più stretta centrata a 3.3 micron, che è sensibile a fenomeni di assorbimento dovuti alla presenza di metano. Tutti e quattro i pianeti sono visibili. Questa è la prima volta che il pianeta più interno, denominato HR8799e è stato ripreso a entrambe le lunghezze d'onda.

Vista del sistema planetario attorno alla stella HR8799 osservato dal telescopio LBT in due differenti lunghezze d’onda nell’infrarosso. Sulla sinistra, nella banda H (a 1.65 micron), a destra, in una banda più stretta centrata a 3.3 micron, che è sensibile a fenomeni di assorbimento dovuti alla presenza di metano. Tutti e quattro i pianeti sono visibili. Questa è la prima volta che il pianeta più interno, denominato HR8799e, è stato ripreso a entrambe le lunghezze d’onda.

Di esopianeti ormai ne conosciamo migliaia nel nostro vicinato cosmico, e di tutte le fogge e proprietà: grandi e gassosi, più piccoli e rocciosi, vicinissimi o lontanissimi rispetto alla loro stella madre, che magari può essere essa stessa formata da due o più astri. La stragrande maggioranza delle identificazioni dei pianeti extrasolari è finora appannaggio delle tecniche indirette di rilevazione, come il metodo dei transiti o misure spettroscopiche della luce proveniente dalle stelle madri. Il problema principale dell’identificazione diretta di esopianeti è dovuto al fatto che la luce riflessa da questi corpi celesti è enormemente più esigua di quella emessa dalle loro stelle. L’effetto è tanto più marcato quanto più i pianeti sono piccoli e lontani da noi. La distanza di questi oggetti celesti impone inoltre che gli strumenti possiedano una risoluzione angolare, ovvero la capacità di riuscire a separare nelle immagini la stella dai suoi pianeti, che è oggi al limite delle possibilità dei migliori telescopi già per i sistemi più vicini a noi. Ma gli astronomi non si sono persi d’animo, e negli ultimi anni sono riusciti a realizzare strumenti così sofisticati da permettere di identificare direttamente – seppure entro limiti ancora alquanto significativi – gli esopianeti nelle riprese telescopiche.

Certo, non così da permettere di scorgere dettagli della superficie degli esopianeti: per ora occorre accontentarsi di qualche sbiadito pixel, che però “certifica” in modo inequivocabile la loro presenza. Per raggiungere questo traguardo è stato fondamentale avere a disposizione sistemi di ottica adattiva sempre più accurati e affidabili, in grado di abbattere drasticamente gli effetti negativi della turbolenza atmosferica sulle immagini astronomiche, rendendo così più nitide e incisive le riprese delle zone attorno alle stelle. Stelle la cui luce viene oscurata attraverso dei diaframmi (questi dispositivi prendono il nome di coronografi), rendendo così più facile far emergere il flebile chiarore dei pianeti presenti nel campo visivo. Sistemi come questi, ciascuno con le proprie peculiarità e la sua banda di osservazione, sono installati in alcuni tra i più importanti telescopi al mondo: sul Gemini South , sul Large Binocular Telescope o sul Very Large Telescope dell’ESO, solo per citarne alcuni.

Si possono migliorare ulteriormente queste tecnologie per spingerci ancora oltre nelle osservazioni dirette di esopianeti, soprattutto per quelli di taglia terrestre? Un team di ricercatori guidati da Alexander Tavrov, professore associato dell’Istituto di Fisica e Tecnologia di Mosca, propone un nuovo metodo per ottenere immagini ancor più nitide di pianeti extrasolari. Questo metodo, pubblicato sulla rivista Journal of Astronomical Telescopes, Instruments, and Systems è basato sulla tecnica EUI, acronimo di Extremely Unbalanced Interferometer, che può essere tradotta come “interferometro estremamente sbilanciato”, ideata da Juno Nishikawa, scienziato dell’Osservatorio Nazionale del Giappone. L’interferometria, oggi largamente utilizzata in astronomia, combina segnali approssimativamente della stessa intensità e di una stessa sorgente celeste per ottenere immagini con un elevato livello di dettaglio. Nel sistema EUI la luce raccolta dal telescopio viene divisa in due fasci, ma di intensità tra loro nettamente diverse: una è circa dieci volte maggiore dell’altra. Il fascio più debole viene fatto passare nel sistema di ottiche adattive e, successivamente fatto ricombinare con il fascio più intenso. Come risultato la luce del fascio più intenso viene “modellata” in modo tale da ridurre gli effetti di distorsione e i fenomeni di scintillio stellare.

«Utilizzando un sistema ottico relativamente semplice possiamo ottenere immagini dotate di un contrasto sufficiente per osservare direttamente pianeti simili alla Terra con coronografi. Ovviamente, in confronto ad altri sistemi, il nostro richiede una tecnica di controllo più complessa ma allo stesso tempo è molto meno dipendente dalla stabilità della temperatura, un aspetto che semplifica di molto un suo uso in ambito spaziale» dice Tavrov.

Basandosi su simulazioni al computer, i ricercatori hanno determinato la qualità delle immagini che potrebbero essere realizzate con la tecnica EUI, raggiungendo un contrasto almeno dieci volte superiore a quello prodotto dagli attuali imager planetari e con una pressoché totale assenza di aberrazioni cromatiche.

«Si tratta di un sistema ingegnoso molto interessante» commenta Roberto Ragazzoni, ricercatore dell’INAF presso l’Osservatorio Astronomico di Padova. «In pratica, la luce viene divisa in due parti diseguali e quella più piccola (nell’articolo gli autori propongono valori attorno al 10%) viene usata per controllare la qualità della luce rimanente. Questo consente al sistema di controllo di essere dieci volte più accurato. L’applicazione descritta, la visione diretta di altri mondi, richiede ancora tuttavia molta strada e sono ancora parecchi gli ostacoli prima di arrivare ad un sistema funzionante. Le possibilità offerte da questa tecnica potrebbero anche essere usate in altri campi, come la realizzazione di sistemi metrologici per misurare ottiche e specchi con grandissima precisione, oltre che all’interno di un sistema di ottica adattiva, non necessariamente solo per osservare pianeti extrasolari. Tutti campi di grande interesse anche per l’astronomia italiana e per l’INAF in particolare. Una ulteriore prova che la sfida dell’osservazione di nuovi mondi porta allo sviluppo di nuove tecnologie in un campo ancora in gran parte inesplorato».