PRIME PUBBLICAZIONI PER SPHERE

Nuovi orizzonti per SPHERE

Usciti su Astronomy & Astrophysics quattro articoli che vedono protagonisti i dati raccolti con la prima luce del cercatore di esopianeti montato al Very Large Telescope di ESO, SPHERE

     10/12/2015
SPHERE installato sull'UT 3 (Unit Telescope 3) del VLT dell'ESO. Lo strumento è la scatola nera, sulla piattaforma a lato del telescopio. L'obiettivo principale di SPHERE è di trovare e caratterizzare esopianeti giganti in orbita intorno a stelle vicine facendone un'immagine diretta. È un compito molto impegnativo poiché questi pianeti sono molto vicini alla stella madre e anche molto più deboli. In un'immagine normale, anche nelle migliori condizioni, la luce dalla stella sommerge completamente il debole bagliore del pianeta. L'intero progetto di SPHERE è perciò indirizzato a raggiungere il massimo contrasto possibile in una piccola zona di cielo intorno alla stella abbagliante. Crediti: ESO/J. Girard (djulik.com)

SPHERE installato sull’UT 3 (Unit Telescope 3) del VLT dell’ESO.
Lo strumento è la scatola nera, sulla piattaforma a lato del telescopio. Crediti: ESO/J. Girard (djulik.com)

Pubblicati su A&A i primi quattro articoli con i risultati ottenuti con l’analisi dei dati raccolti nella delicata fase di test dello Spectro-Polarimetric High-contrast Exoplanet Research, SPHERE.

L’obiettivo principale di SPHERE è di trovare e caratterizzare esopianeti giganti in orbita intorno a stelle vicine facendone un’immagine diretta. È un compito molto impegnativo poiché questi pianeti sono molto vicini alla stella madre e anche molto più deboli. In un’immagine normale, anche nelle migliori condizioni, la luce dalla stella sommerge completamente il debole bagliore del pianeta. L’intero progetto di SPHERE è perciò indirizzato a raggiungere il massimo contrasto possibile in una piccola zona di cielo intorno alla stella abbagliante

Come da prassi, queste osservazioni di prima luce (luglio – dicembre 2014) sono state eseguite su oggetti noti proprio per verificare le prestazioni dello strumento e per confrontarne la precisione rispetto a dati raccolti con altra strumentazione.

SPHERE è in grado di ottenere vere e proprie immagini dirette di corpi celesti, quali pianeti o nane brune, orbitanti attorno ad altre stelle. Questi risultati dimostrano quanto lo strumento sia in grado di rivelarci nuovi oggetti ma anche di caratterizzare quelli già noti con una precisione mai raggiunta prima.

In particolare, grazie all’uso combinato dei due sotto-strumenti, IFS e IRDIS, SPHERE ci sta aprendo nuovi orizzonti nello studio di nane brune giovani e di esopianeti giganti grazie proprio alle capacità di imaging ad alto contrasto nelle lunghezze d’onda dell’ottico e del vicino infrarosso, e alla spettroscopia a bassa dispersione. La partecipazione italiana allo strumento è cospicua. In particolare, l’IFS e il software di SPHERE sono stati sviluppati da ricercatori e tecnologi dell’INAF di Padova, da dove provengono molti degli autori di questi quattro articoli.

Vediamo cosa ci dicono quindi questi primi dati andando per ordine.

Il primo articolo è focalizzato sul sistema GJ758 fino ad oggi noto per essere costituito da una stella di sequenza principale di tipo solare attorno alla quale ruota, con un’orbita molto eccentrica, una nana bruna che si è rivelata essere la compagna più fredda mai rilevata con il metodo del direct imaging.

immagine_1I dati ad alto contrasto presi con IRDIS nel vicino Infrarosso ci restituiscono, oltre ad una rilevazione dettagliata della nana bruna, anche un nuovo oggetto più interno. Nell’immagine a sinistra si possono distinguere tre oggetti oltre alla stella centrale oscurata: la nana bruna GJ 758B (marcata con la lettera “B”), una stella di background (“bkg”) e la nuova candidata compagna (“cc”).

«I dati suggeriscono la possibilità che anche questo nuovo oggetto sia una nana bruna», spiega Valentina D’Orazi assegnista all’INAF di Padova. «Il confronto dei dati IRDIS con modelli atmosferici e con le distribuzioni spettrali di energia, ci indica una compatibilità del candidato compagno con spettri attribuibili proprio a questo tipo di oggetti; tuttavia nuove osservazioni sono necessarie per poter confermare questo risultato ed escludere quindi la possibilità che si tratti di un oggetto di background».

Anche il secondo articolo, alla stregua del primo, ha come oggetto di studio le nane brune, questi corpi celesti di massa tipica compresa tra le dieci e le settanta masse di Giove, che non sono classificabili né come stelle ma nemmeno come pianeti e sulle quali gli astronomi cercano ancora molte risposte: come si sono formate? qual è il limite fisico reale entro quale possiamo dire che un dato oggetto è pianeta o nana bruna? Non tutti questi tipi di oggetti sembrano, infatti, essersi formati nello stesso modo e nello stesso ambiente.

Il secondo lavoro, coordinato dall’astronoma Anne-Lise Maire durante il suo post-doc all’INAF di Padova, ha raffinato le proprietà fisiche e architetturali di due sistemi in cui era nota la presenza di nane brune.

«Abbiamo osservato questi sistemi con tutti le principali modalità di SPHERE per la rivelazione e la caratterizzazione delle nane brune e dei pianeti giganti, dall’immagine infrarosso e visibile fino alla spettroscopia infrarossa a bassa e media risoluzione», dice Anne-Lise. «Questi dati sono stati analizzati confrontandoli con altri ad essi complementari, presi con di strumenti diversi, questo per aver una visione completa degli oggetti. Confermiamo le caratteristiche fisiche di PZ Telescopii B e l’eccentricità della sua orbita e abbiamo realizzato la prima classificazione spettrale della compagna nana bruna più vicina di HD1160». Per uno dei due sistemi sono stati inoltre fondamentali i dati raccolti da Sergio Messina, dell’INAF di Catania, nell’arco di 38 anni, importanti per rilevare variazioni di luminosità del sistema su scala decennale.”

Gli altri due studi hanno riguardato il sistema planetario HR8799 già noto per essere formato da una stella giovane di sequenza principale e almeno quattro pianeti giganti gassosi e molto massicci.

I due lavori partono dalla considerazione che questo sistema rappresenta un laboratorio unico per testare le teorie di formazione planetaria, per indagare le varietà architetturali, per eseguire quella che, in gergo, è chiamata (eso)planetologia comparativa.

Grazie alla loro giovane età, e quindi alla loro relativamente alta luminosità, questi pianeti permettono inoltre di indagare la fisica e la chimica in gioco nelle loro atmosfere ma, per ricollegarci ai due lavori precedenti, possono essere facilmente confusi con nane brune. Si capisce allora come, l’avere informazioni sempre più dettagliate, ci aiuti a dipanare la matassa dei sistemi planetari che, come detto già altre volte, presentano un’ampissima varietà peraltro inaspettata fino a pochi anni fa.

In questa immagine sono rappresentati i 4 pianeti attorno alla stella HR8799, in diversi filtri di IRDIS, J, H2, H3, H, K1, K2. La luce della stella, nascosta dietro al coreografo al centro delle immagini, è stata attenuata grazie ad un Angular Differential Imaging (ADI) post-proccesing ottenuto con la tecnica della Principal Component Analysis (PCA).

In questa immagine sono rappresentati i 4 pianeti attorno alla stella HR8799, in diversi filtri di IRDIS, J, H2, H3, H, K1, K2. La luce della stella, nascosta dietro al coronografo al centro delle immagini, è stata attenuata grazie ad un Angular Differential Imaging (ADI) post-proccesing ottenuto con la tecnica della Principal Component Analysis (PCA).

Alice Zurlo, all’epoca dottoranda a Padova e prima autrice del terzo articolo racconta: «Ho eseguito tutta la riduzione dei dati raccolti con SPHERE andando a completare la distribuzione di energia spettrale di questi corpi fornendo anche nuovi dati sulla posizione accurata dei quattro pianeti. Siamo così riusciti a raffinare le informazioni riguardanti le loro orbite. Come si vede nella figura a fianco anche qui sono state ottenute eccezionali immagini dirette in diverse bande».

Un articolo a parte è stato dedicato al confronto delle osservazioni con i modelli teorici. Ne è emerso che le atmosfere planetarie hanno un elevato contenuto di polvere e che i due pianeti più esterni hanno caratteristiche diverse rispetto alle nane brune di background di temperatura simile, e che essi hanno masse probabilmente inferiori rispetto ai due pianeti più interni.

Riassumendo quindi, proprio grazie all’aiuto di SPERE, stiamo percorrendo un altro piccolo tratto della lunga strada che devono seguire gli astronomi per avere un quadro completo della formazione planetaria.

I quattro articoli con link ad A&A

  1. First light of the VLT planet finder SPHERE. I. Detection and characterization of the sub-stellar companion GJ 758 B http://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa26465-15.pdf
  2. First light of the VLT planet finder SPHERE. II. The physical properties and the architecture of the young systems PZ Tel and HD 1160 revisited http://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa26594-15.pdf
  3. First light of the VLT planet finder SPHERE. III. New spectrophotometry and astrometry of the HR8799 exoplanetary system http://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa26835-15.pdf
  4. First light of the VLT planet finder SPHERE. IV. Physical and chemical properties of the planets around HR8799
    http://www.aanda.org/articles/aa/pdf/forth/aa26906-15.pdf