SCOPERTA DA STUDENTI DI SCUOLA SUPERIORE

La pulsar binaria con l’orbita più larga

Durante un campo estivo, una coppia di studenti statunitensi delle scuole superiori hanno scoperto un’altra straordinaria coppia: la pulsar che orbita più lontano da una stella di neutroni compagna. Il commento di Marta Burgay dell’INAF

     04/05/2015
Rappresentazione della pulsar PSR J1930-1852 in orbita attorno a una stella di neutroni compagna. Crediti: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)

Rappresentazione della pulsar PSR J1930-1852 in orbita attorno a una stella di neutroni compagna. Crediti: B. Saxton (NRAO/AUI/NSF)

Due studenti di scuola superiore statunitensi hanno scovato una nuova pulsar da record, che ruota attorno alla stella di neutroni compagna con l’orbita più ampia finora conosciuta.

Scoperta nel 2012 e ufficialmente designata PSR J1930-1852, la nuova pulsar è emersa durante il meticoloso lavoro di analisi sui dati del radiotelescopio Green Bank Telescope (GBT) effettuato da Cecilia McGough, all’epoca studentessa della Strasburg High School in Virginia, e da De’Shang Ray, pupillo della Paul Laurence Dunbar High School a Baltimora, Maryland.

I due stavano partecipando a un workshop estivo nell’ambito del Pulsar Search Collaboratory, un programma di divulgazione scientifica, svolto in collaborazione tra il National Radio Astronomy Observatory (NRAO) e l’Università della West Virginia, in cui gli studenti interessati spendono settimane o mesi spulciando a testa bassa i tabulati del Green Bank Telescope alla ricerca dell’impronta perfettamente riconoscibile lasciata nei dati da una pulsar.

Successive osservazioni specifiche, sia in radio che in ottico, hanno poi rivelato che PSR J1930-1852 non è una pulsar qualunque, bensì una delle pochissime – si contano sulla dita di due mani – facenti parte di un sistema doppio di stelle di neutroni. Non solo: è quella che possiede l’orbita più ampia in questa esigua categoria, una caratteristica peculiare che aiuterà gli astronomi a capire meglio come sistemi binari di stelle di neutroni si formano ed evolvono.

«Le pulsar sono tra gli oggetti più estremi nell’universo», dice Joe Swiggum dell’Università della West Virginia, primo autore di una ricerca in cui viene dettagliata la scoperta e le sue implicazioni, in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal. «La scoperta degli studenti mostra uno di questi oggetti in un contesto di circostanze veramente unico».

La parabola da 100 metri del radiotelescopio Robert C. Byrd Green Bank Telescope. Crediti: NRAO/AUI/NSF

La parabola da 100 metri del radiotelescopio Robert C. Byrd Green Bank Telescope. Crediti: NRAO/AUI/NSF

Le pulsar sono stelle di neutroni in rapidissima rotazione, il residuo super denso di stelle massicce esplose in supernova, così chiamate perché presentano una emissione elettromagnetica “pulsante”. In realtà si tratti d’una emissione continua di fasci collimati di onde radio dai poli dell’intensissimo campo magnetico che questi piccoli oggetti possiedono, fasci che possono essere rilevati dai radiotelescopi quando la rotazione li dirige verso la Terra, come la luce di un faro.

Circa il 10 per cento delle pulsar conosciute si trovano in sistemi binari, in grande prevalenza accompagnandosi ad anziane stelle nane bianche. Solo in alcuni rari casi si osserva la pulsar orbitare assieme a un’altra stella di neutroni, o anche a una stella “normale”, come il nostre Sole. Il motivo di questa rarità è da ricercare nei meccanismi che portano alla formazione delle pulsar, meccanismi il cui decorso rende piuttosto improbabile la convivenza gravitazionale di tali tipi di stelle – o residui di stelle – super dense.

Come detto, questo sistema binario di stelle di neutroni è risultato quello in cui la separazione fra i due corpi è la più ampia finora osservata, dove i due ballerini volteggiano tenendosi a una distanza anche doppia rispetto alle più timide coppie similari finora in competizione. Difatti, mentre alcune pulsar in sistemi binari sono così vicine alle loro compagne che una loro orbita completa, conclusa in meno di un giorno, potrebbe essere rinchiusa entro le dimensioni del Sole, il percorso orbitale di J1930-1852 si dispiega su 52 milioni di chilometri, più o meno la distanza tra il Sole e Mercurio, che la pulsar impiega 45 giorni a completare.

«Si tratta di un’oggetto molto interessante», commenta Marta Burgay dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari dell’INAF e scopritrice dell’unico sistema binario di due pulsar finora noto. «Innanzitutto perché, da solo, aumenta del 10% il piccolissimo campione di sistemi con due stelle di neutroni ad oggi noti, che con J1930-1852 salgono a 11. L’orbita di questa coppia di stelle, per giunta, è piuttosto estrema e rappresenta una sfida per alcuni modelli teorici di evoluzione stellare».

Secondo la ricercatrice, a rendere ancor più particolare questa scoperta è il fatto che sia stata effettuata da ragazzi delle scuole superiori nel corso di un workshop estivo, un’eventualità non impossibile anche per l’Italia. «Speriamo, in un prossimo futuro, di poter creare opportunità simili per gli studenti italiani, che potrebbero scoprire qualche altra pulsar peculiare in dati provenienti dal Sardinia Radio Telescope», conclude Burgay.

Cecilia McGough, a sinistra, al Green Bank Telescope in West Virginia all’epoca della scoperta della pulsar nel 2012. Crediti: James Mason University

Cecilia McGough, a sinistra, al Green Bank Telescope in West Virginia all’epoca della scoperta della pulsar nel 2012. Crediti: James Mason University

E ai due studenti americani, che cosa ha fruttato questa esperienza?

«Questa esperienza mi ha insegnato che non devi necessariamente essere un “Einstein” per fare buona scienza», dice Cecilia McGough, che si sta ora specializzando in astronomia e astrofisica alla Penn State University. «Quello che conta è avere obbiettivi chiari, passione e dedizione per il proprio lavoro».

Per De’Shang Ray, che sta invece studiando biologia, ingegneria e servizi medici d’emergenza al Community College of Baltimore County, è stato come aprire una piccola finestra sull’immensità dell’universo. «Questa esperienza mi ha aiutato a esplorare, immaginare e sognare cosa ci potrebbe essere là fuori, e quanto ancora non abbiamo visto».