
“Il nostro lavoro mostra come si possa spiegare l’esistenza di fluttuazioni nel vicino infrarosso e contemporaneamente nei raggi X come dovute all’emissione di buchi neri di massa intermedia (centomila volte la massa del Sole) nell’universo primordiale” spiega Salvaterra. “Questi buchi neri si sarebbero formati quando l’universo aveva meno di 300 milioni di anni, e direttamente dal collasso dei primi aloni di materia primordiale (ovvero una mistura di idrogeno ed elio) prodotta nel Big Bang. Il nostro modello dà conto del livello di fluttuazioni osservate nel vicino infrarosso riproducendo contemporaneamente il segnale misurato da Capelluti e collaboratori nei raggi X. Individualmente questi buchi neri non sono osservabili in quanto troppo deboli e lontani, ma la loro emissione complessiva appare evidente nelle osservazioni del fondo infrarosso e X”.
Un lavoro, dunque, indipendente e complementare che ora supporta anche dal punto di vista teorico i risultati osservativi che il team di Cappelluti ha ottenuto analizzando sia i dati nell’infrarosso raccolti da Spitzer che quelli nei raggi X registrati dal telescopio spaziale Chandra. Ma anche di sicuro interesse scientifico, tanto attirare l’attenzione della rivista Science che ha dato risalto ai risultati presentati attraverso una breve comunicazione tra gli Editor’s Choice di questa settimana.
“La nostra scoperta mostra come nell’Universo primordiale esista una grande popolazione di buchi neri di massa intermedia formatisi direttamente durante il collasso degli aloni primordiali” prosegue Salvaterra. “Molti studi teorici hanno individuato in questi oggetti gli antenati dei buchi neri di grande massa (centinaia di milioni o miliardi di volte la massa del Sole) che vediamo splendere come quasar. Oltre a spiegare quantitativamente alcune osservazioni fino a ora misteriose, la nostra interpretazione della natura delle fluttuazioni infrarosse e nei raggi X permette quindi per la prima volta di dare una base osservativa (seppure indiretta) a tali teorie e di accedere a un’epoca della storia dell’universo ancora tutta da esplorare”.
Per saperne di più:
l’articolo Infrared background signatures of the first black holes di Bin Yue, Andrea Ferrara, Ruben Salvaterra, Yidong Xu e Xuelei Chen pubblicato sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.






