LA SCOPERTA NELL’AMMASSO GALATTICO ABELL 1033

Nuova vita per le particelle invecchiate

Osservate in un ammasso di galassie nuvole di particelle relativistiche (ovvero in moto a velocità prossime a quella della luce) insolitamente brillanti rispetto alla loro età. La scoperta, che suggerisce la possibilità che ci siano meccanismi di accelerazione che abbiano rivitalizzato tali particelle, è stata possibile grazie all'osservazione in basse frequenze radio. Allo studio, guidato da un italiano, hanno partecipato anche due ricercatori dell'Istituto nazionale di astrofisica

     04/10/2017

Rendering grafico dell’ammasso di galassie Abell 1033. I dati di luce ottica proveniente da singole galassie (le macchie colorate) sono stati ottenuti con lo Sloan Digital Sky Survey, mentre in blu si vede l’emissione a raggi X osservata con il satellite Chandra che ha tracciato il gas caldo. L’emissione radio è stata studiata con Lofar ed è mostrata in arancione: lo strumento olandese ha tracciato un complesso di sorgenti radio tra cui la coda delle particelle lasciate dalla galassia che si muove verso sinistra dell’immagine. Le particelle cariche si dissolvono nel tempo ma vengono riaccese vicino alla regione centrale dell’ammasso di galassie in fase di fusione. Crediti: LOFAR/VLA, de Gasperini et al

Un gruppo di ricercatori guidati da Francesco de Gasperin, in forza all’Osservatorio di Leida e all’Università di Amburgo, e di cui fanno parte anche Gianfranco Brunetti e Annalisa Bonafede, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf), ha scoperto nubi di particelle relativistiche, ovvero in moto a velocità prossime a quella della luce, davvero speciali. Queste particelle sono state individuate in una radiogalassia nell’ammasso di galassie Abell 1033, un sistema situato a circa 1,6 miliardi di anni luce da noi in direzione della costellazione del Leone Minore, grazie ai dati raccolti con il radiotelescopio europeo LOw Frequency ARray (Lofar) e il Giant Meterwave Radio Telescope (Gmrt) in India. Le particelle, che sono state emesse nello spazio più di cento milioni di anni fa, risultano ancora brillanti nelle onde radio e dunque insolitamente energetiche, quasi “ringiovanite”, al contrario di quanto in teoria dovrebbe accadere in questi casi.

Confronto tra le immagini dell’ammasso di galassie Abell 1033 prese dal radiotelescopio VLA (in alto) e da LOFAR (in basso). E’ ben evidente in quest’ultima la nuvola di particelle che emette radiazione di bassa frequenza

Si pensa, infatti, che le particelle espulse dai buchi neri supermassicci nelle radiogalassie si “spengano” lentamente con il dissiparsi dell’energia nel tempo. Il team di scienziati ha dimostrato il contrario, avendo osservato da Terra che – nelle lunghezze d’onda radio – l’interazione con il mezzo intergalattico può rigenerare queste particelle. Si tratta, secondo i ricercatori, di una scoperta «inaspettata», ha commentato de Gasperin, primo autore dello studio pubblicato su Science Advances.

«Pensiamo di aver visto l’effetto di una nuova classe di meccanismi di accelerazione di particelle che agiscono su tempi molto lunghi e che potrebbero avere un impatto importantissimo sull’evoluzione del plasma relativistico nelle radiogalassie e negli ammassi di galassie», ha specificato Brunetti.

Gli ammassi di galassie sono le più grandi strutture nell’Universo, tenute insieme dalla forza di gravità. Sono costituiti da centinaia o a volte addirittura migliaia di singole galassie, da materia oscura ed enormi quantità di gas caldo che emette luce nei raggi X. Abel 1033, l’oggetto studiato dal team di De Gasperin, contiene circa 350 galassie. Capire come evolvono gli ammassi è fondamentale per comprendere l’evoluzione dell’Universo stesso. Proprio a causa della forza di gravità, due o più ammassi possono scontrarsi dando origine a uno degli eventi più violenti che si possano osservare nell’Universo. Le radiogalassie in questi ammassi formano strutture simili a “code” dense di particelle cariche che nel corso di milioni e milioni di anni perdono energia fino al totale “spegnimento”.

Immagine composita dell’ammasso galattico Abell 1033 realizzata con i dati della Sloan Digital Sky. In viola vediamo la luminosità superficiale dei raggi X (Chandra) che tracciano il gas termico e in blu l’emissione radio (Lofar) che traccia i raggi cosmici. Al centro dello studio c’è la la sorgente denominata GReET, “Re-Energised Tail” o coda rienergizzata. Crediti: De Gasperin et al.

Gli strumenti utilizzati dai ricercatori hanno dimostrato che può accadere anche il contrario. De Gasperin ha spiegato così la scoperta: «Col passare del tempo queste nuvole di elettroni dovrebbero diventare più deboli e scomparire. Invece, in questo caso, dopo più di cento milioni di anni, la scia di particelle è brillantemente incandescente. Questo sembra accadere proprio al centro di un ammasso di galassie che sta subendo una fusione. Parte dell’energia rilasciata nell’evento di merging deve essere stata trasferita per ringiovanire l’agglomerato di elettroni».

Le particelle relativistiche possono tornare a brillare e il fenomeno è visibile anche a distanze considerevoli dalla Terra. La scoperta è stata possibile grazie all’osservazione in basse frequenze radio. Bonafede ha commentato: «L’emissione osservata da Lofar in quest’ammasso di galassie ci sta dicendo che gli elettroni relativistici espulsi dalle radiogalassie dell’ammasso possono vivere per più di mezzo miliardo di anni. Se questo scenario sarà confermato anche in altri ammassi di galassie, dovremo tenere conto che esiste questa popolazione di particelle che sono del tutto invisibili da telescopi che lavorano a frequenze più alte e che solo Lofar è in grado di vedere».

«Al momento non sappiamo quanto siano comuni questi meccanismi nelle radiosorgenti, la risposta verrà dalle future osservazioni Lofar che permetteranno di estendere questi studi a grandi campioni statistici di radiosorgenti», ha concluso Brunetti.

Per saperne di più:

Leggi l’articolo pubblicato sulla rivista Science Advances: “Gentle re-energisation of electrons in merging galaxy clusters, di F. de Gasperin et al.