VOCI E DOMANDE DELL’ASTROFISICA

Gamma ray burst, tweet dal profondo del cosmo

I lampi di raggi gamma, nel brevissimo tempo della loro durata, raggiungono luminosità pari a dieci milioni di volte quella della Via Lattea. Grazie alla loro incredibile luminosità, i Grb competono con le sorgenti più lontane osservabili nell’universo

     14/07/2017

Immagine artistica di un Gamma Ray Burst e dei suoi due getti che si propagano in direzioni opposte. Quando vediamo il Grb è grazie al fatto che il getto, che ha un angolo di apertura di pochi gradi, punta in direzione della terra. La bolla di luce che si vede al centro è la stella di grande massa che sta scoppiando, al cui centro si è appena formato il buco nero da cui hanno origine i due getti. Crediti: Eso/A. Roquette

I gamma ray burst (Grb), lampi di raggi gamma, sono come “tweet cosmici”. I satelliti in orbita dedicati al loro studio ne registrano un paio a settimana. Cosa ce li invia? Pensiamo siano stelle massicce, circa cinquanta volte la massa del sole, che al termine della loro vita, vinte dall’inesorabile gravità, collassano formando un buco nero. L’afflato di morte consiste in un flash di luce gamma che dura poche decine di secondi (Grb “lunghi”). Esistono anche i “tweet brevi”, che durano meno di 2 secondi, prodotti da due stelle di neutroni che, dopo aver orbitato l’una attorno all’altra per miliardi di anni avvicinandosi lentamente ed emettendo onde gravitazionali, si uniscono diventando un buco nero. Gli astrofisici sono assidui “follower” di questi tweet. Sono rimasti avvolti dal mistero fino al 1997 quando, grazie al satellite italo-olandese BeppoSax, si è scoperto che il breve segnale gamma è accompagnato da emissione di radiazione, dalle frequenze X a quelle radio, che si spegne gradualmente entro qualche mese dal flash gamma. Da più di quarant’anni dalla loro scoperta, avvenuta casualmente in piena guerra fredda, continuiamo ad aggiungere tasselli al puzzle dei Grb grazie anche al satellite Swift – per un terzo “vanto” italiano.

“Fast & Furious”: i Grb, nel brevissimo tempo della loro durata, raggiungono luminosità pari a dieci milioni di volte quella della Via Lattea. Grazie alla loro incredibile luminosità, i Grb competono con le sorgenti più lontane osservabili nell’universo. Per questo, i Grb sono ottime “lampadine” per i cosmologi: nella loro luce si “impressionano” informazioni (decifrabili mediante lo studio dei loro spettri) che permettono di ricostruire la composizione chimica della materia che c’è fra noi e loro. E poi i Grb sono importanti perché sono letteralmente l’ultimo tassello nel tentativo di comporre il puzzle della formazione di buchi neri e stelle di neutroni. Altre eccitanti scoperte ci attendono a breve: i Grb corti sono l’indiziato numero uno fra le possibili sorgenti di luce ancora da associare alle onde gravitazionali. Inoltre, la fusione di due stelle di neutroni dovrebbe produrre, oltre che onde gravitazionali e un Grb corto, anche tanto oro (ma anche argento, piombo e uranio).  E se non bastasse, c’è anche chi ha ipotizzato che i Grb potrebbero avere (ed aver avuto) un ruolo nelle estinzioni di massa su pianeti ospitanti la vita.

Uno dei Grb più potenti fino ad ora rivelati. Il satellite Fermi della Nasa è stato tra i primi ad osservare questo Grb avvenuto il 27 aprile del 2013. A sinistra un’immagine del cielo tre ore prima della rivelazione del Grb. A destra l’immagine che mostra il potentissimo Grb 130727A (la data della scoperta è il nome che viene assegnato ad ogni Grb). Credit: Nasa/Doe/Fermi Lat Collaboration

Studi in corso e domande aperte

Nonostante la comprensione dei Grb sia avanzata moltissimo negli ultimi due decenni, abbiamo ancora più domande che certezze. Gli studi in corso cercano di capire quale meccanismo possa liberare, in così poco tempo, l’energia osservata. Sappiamo, inoltre, che questa energia viene incanalata lungo due “getti”: pensate a due coni che si dipartono, in direzioni opposte, dal buco nero. Ma, allora, vediamo solo i Grb il cui getto luminoso è orientato verso la Terra: dovrebbe dunque esistere una popolazione numerosissima (circa 200 per ogni Grb che riveliamo) che non vediamo. Una sfida attuale consiste nel dimostrare l’esistenza di questa popolazione che “vive nell’ombra”. Come si formino i getti è ancora da capire.

630 milioni di anni, questa l’età dell’universo quando è scoppiato il Grb scoperto dal satellite Swift il 23 aprile 2009. La sua luce ha impiegato circa 13 miliardi di anni per giungere fino a noi.

“Super” Grb potrebbero essere prodotti dalle prime stelle formatesi nell’universo (chiamate “Pop-III”), quando questo aveva solo pochi milioni di anni. Stelle composte di puro idrogeno e con massa fino a migliaia di volte quella del Sole. Sebbene teoricamente previste, non abbiamo ancora nessuna prova dell’esistenza delle “Pop-III” e potrebbero essere proprio i Grb a farcele scoprire.

E come conseguenza potremmo scoprire i primi buchi neri, di qualche centinaia o migliaia di masse solari, forse antenati dei “mostri” che troviamo oggi al centro delle galassie.

Il coinvolgimento dell’Istituto nazionale di astrofisica

L’Inaf è sempre stato impegnato in prima linea nello studio dei Grb, dalle scoperte del satellite BeppoSax a quelle più recenti del satellite Swift, dagli studi teorici su come viene prodotta la radiazione che vediamo all’utilizzo dei Grb come fari per studiare l’universo e la sua evoluzione. L’Inaf partecipa alla progettazione e costruzione dei più grandi telescopi terrestri che vedranno la luce nei prossimi decenni: dallo Square Kilometer Array (Ska), per osservazioni nella banda radio, allo European Extremely Large Telescope (Elt), per la banda ottica, al Cherenkov Telescope Array (Cta), per la rivelazione delle radiazioni di altissima energia. Saranno loro a rispondere a molte delle domande che ancora abbiamo sui Grb. La ricerca della “luce” associata alle onde gravitazionali coinvolge moltissimi scienziati Inaf. L’Agenzia spaziale italiana e l’Inaf si assicurano un “occhio” di riguardo sui Grb con satelliti come Swift e Fermi e l’italianissimo Agile e, per non perdere neanche uno dei tweet cosmici, l’Inaf e l’Asi stanno già pensando al futuro progettando satelliti, come Theseus, eAstrogam e Athena, da costruire assieme ai partner europei.


L’autore: Giancarlo Ghirlanda è ricercatore Inaf all’Osservatorio astronomico di Brera

Su Media Inaf potrai trovare, mano a mano che verranno pubblicate, tutte le schede della rubrica dedicata a Voci e domande dell’astrofisica, scritte dalle ricercatrici e dai ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica