I PRIMI CENTO GIORNI DI CURIOSITY

Su Marte un po’ d’acqua ma niente sorprese

Science dedica uno speciale di 5 articoli ai risultati delle prime analisi sul suolo marziano condotte dagli strumenti di Curiosity nei tre mesi dopo l'atterraggio. Spicca la presenza del 2 per cento di acqua nei campioni analizzati dallo strumento SAM. Ma per Roberto Orosei (INAF) è un dato prevedibile, che serve a scaldare i motori in attesa di incontrare rocce più interessanti.

     26/09/2013
Mosaico di immagini del Mars Hand Lens Imager, durante i campionamenti sul sito Rocknest (NASA/JPL/Caltech/Malin Space Science Systems(

Mosaico di immagini del Mars Hand Lens Imager, durante i campionamenti sul sito Rocknest (NASA/JPL/Caltech/Malin Space Science Systems(

Cento giorni a scavare, spazzare, annusare e scrutare un piccolo fazzoletto di suolo marziano. Questo è stato l’inizio della missione di Curiosity, il rover della NASA, subito dopo il suo arrivo sul pianeta rosso, nell’agosto del 2012. I risultati di quei cento giorni, serviti in parte anche a verificare il corretto funzionamento degli strumenti di Curiosity, sono ora pubblicati su Science in una serie di cinque articoli che descrivono mineralogia e chimica di due punti vicini al luogo di atterraggio di Curiosity: una roccia ribattezza Jake_M e una massa di sabbia e sedimenti poco distanti, chiamata Rocknest.

Jake_M (il team di Curiosity ha preso fin dall’inizio l’abitudine di dare nomi “umani” alle rocce) è stata la prima struttura incontrata da Curiosity ed è la protagonista del primo studio, firmato da E.M. Stolper e colleghi e basato su dati dell’Alpha Particle X-ray Spectrometer. Si è rivelata una roccia ignea di un tipo finora mai osservato su Marte, con una composizione chimica molto simile alle rocce che si trovano sulla Terra su isole e zone di faglia.

Gli altri quattro studi si concentrano sui sedimenti di Rocknest, incontrati subito dopo dal rover durante il suo viaggio, analizzati con il laser del ChemCam Remote Micro-Imager, con lo strumento a raggi X CheMin e con il Sample Analysis at Mars (SAM), uno strumento che consente di riscaldare campioni di materiale in assenza di ossigeno e analizzare i gas che rilasciano. Proprio quest’ultimo studio, firmato da Laurie Leshin e colleghi del Rensselaer Polytechnic Institute attirerà probabilmente più attenzione. L’analisi dei composti volatili liberati dal riscaldamento dei campioni marziani rivela infatti una considerevole (2 per cento) concentrazione di acqua, insieme a parti significative di anidride carbonica, ossigeno e composti dello zolfo. Tutti, va da sé, composti molto interessanti visto che l’obiettivo principale di Curiosity è studiare se l’ambiente marziano sia mai stato adatto alla vita.

Lo strumento SAM ha anche analizzato la distribuzione di isotopi di carbonio e idrogeno, confermando che è estremamente simile a quella osservata nell’atmosfera: una prova che il suolo di questa zona ha interagito intensamente con l’atmosfera. La presenza di acqua fa dire un po’ enfaticamente e Leshin che “ora sappiamo che c’è molta acqua facilmente accessibile su Marte, e che quando manderemo lì degli astronauti potranno raccogliere un po’ di sabbia, riscaldarla e ottenere acqua.

Secondo Roberto Orosei dell’Istituto di Radioastronomia dell’INAF di Bologna, Deputy Principal Investigator del radar MARSIS sulla sonda Mars Express, quel dato non è però particolarmente sorprendente “anzi era completamente prevedibile. L’acqua trovata non ha nulla a che fare con il ghiaccio scoperto da Phoenix scavando sotto la superficie, o con le misure orbitali di Odyssey sull’abbondanza di idrogeno nel primo metro del suolo marziano. Si tratta di molecole d’acqua presenti nell’atmosfera che hanno in qualche modo aderito ai grani di polvere nel corso del tempo”.

Orosei spiega che  “questo articolo sembra una prova generale per dimostrare la capacità di Curiosity di compiere analisi di complessità e sensibilità senza precedenti, e fornire un riferimento per interpretare le misure future. Il materiale scelto, la polvere trasportata dal vento, è quanto di meno promettente esista per cercare tracce di vita su Marte, ed i composti in essa contenuti sono quasi certamente di origine inorganica. Il vero obiettivo di Curiosity è qualche deposito di minerali formatisi in presenza di acqua, come i carbonati già identificati in orbita da Mars Express. A quel punto sapremo se esistono composti chimici che indichino la presenza di vita passata o presente. La superficie di Marte oggi è sterile, bombardata da luce ultravioletta e raggi cosmici, ed arida più di un deserto terrestre. Le tracce di organismi viventi estinti, o che magari sopravvivono ancora nel sottosuolo, sono estremamente difficili da trovare e identificare correttamente, sia per la loro scarsa quantità, sia per la sottigliezza delle differenze tra le forme dello stessa molecola prodotte da reazioni inorganiche e dal metabolismo di un essere vivente”. Insomma, conclude Orosei, “Curiosity ha solo scaldato i muscoli, non ha ancora cominciato il vero lavoro. Ci sono tutte le ragioni per continuare a sperare di ricevere notizie eclatanti da Marte, anche se ci potrà volere del tempo prima di trovare la roccia giusta da studiare. Insomma, il meglio deve ancora venire”.

Curiosity è attualmente in viaggio verso il cratere Gale, nei cui pressi farà le sue analisi scientificamente più significative.

 

Guarda l’intervista a Roberto Orosei sugli ultimi dati di Curiosity: