QUEL FOTONE CHE NON SAREBBE MAI DOVUTO ARRIVARE SULLA TERRA

I dottor Jekyll e mister Hyde di una nuova fisica

Un fotone di altissima energia associato al lampo gamma più potente finora registrato ha messo in crisi l’attuale modello che descrive questi violentissimi eventi celesti. Ora un team guidato da Giorgio Galanti dell’Inaf di Milano prova a far luce su questo fotone che non sarebbe mai dovuto arrivare sulla Terra, proponendo un’interpretazione che contempla la presenza di un’oscillazione tra fotoni e Alp, ipotetiche particelle previste dalla teoria delle stringhe

     18/12/2023

Rappresentazione artistica di un lampo di raggi gamma (Grb). Crediti: Eso/A. Roquette

È un singolo fotone, un’infinitesimale particella di luce, la sostanza più impalpabile che si possa immaginare. E sta mettendo a soqquadro la fisica. Non ha un nome proprio – non ancora, almeno – ma l’evento nel quale è stato osservato sì: lo hanno chiamato Boat, acronimo per brightest of all time, ovvero il più luminoso di tutti i tempi. Parliamo del lampo di raggi gamma (Grb, dall’inglese gamma-ray burst) Grb 221009A, emesso da una galassia a oltre due miliardi di anni luce da noi e rivelato – da terra e nello spazio – il 9 ottobre 2022. Un Grb eccezionalmente energetico, come ne capitano non più di una volta ogni secolo. Troppo energetico, come vedremo. Energetico al punto da mettere in crisi i modelli che descrivono questi fenomeni. Energetico al punto da richiedere una nuova fisica, propone ora uno studio interamente italiano con autori Giorgio Galanti, Lara Nava, Marco Roncadelli, Fabrizio Tavecchio e Giacomo Bonnoli, pubblicato oggi su Physical Review Letters, con primo autore Giorgio Galanti dell’Istituto nazionale di astrofisica.

Torniamo a quel 9 ottobre dell’anno scorso. Gli astrofisici avevano intuito fin da subito di trovarsi innanzi a un evento eccezionale. Su Media Inaf ne avevamo dato notizia dopo qualche giorno, il 15 ottobre 2022, definendolo appunto il lampo gamma del secolo e sottolineando che, tra i fotoni gamma ad altissima energia intercettati dal rivelatore cinese Lhaaso, ce n’era uno addirittura di 18 TeV: l’energia più elevata mai registrata da un Grb. Ma addirittura il giorno stesso dell’evento il team italiano era già entrato in azione.

«Pochi minuti dopo aver avuto notizia dell’esplosione», ricorda ora Galanti a Media Inaf, «abbiamo realizzato che questo Grb non solo poteva essere un evento astrofisico straordinario ma poteva anche rappresentare un’opportunità unica per studi di fisica fondamentale, in particolare riguardo alle axion-like particles». Forti di un’esperienza pluriennale sull’argomento, in poche ore sono riusciti a buttare giù la prima bozza dell’articolo nel quale illustrano la loro ipotesi e a caricarla su arXiv, diventando così i primi in assoluto a parlare – in relazione a quel lampo gamma – di nuova fisica.

Qual è, dunque, quest’ipotesi alla quale la fisica canonica sembra stare stretta? Molto in breve, è che quel fotone non sia solo il più luminoso mai osservato da un Grb, ma anche che sia un “fotone trasformista”: capace cioè di cambiare natura, oscillando da una “personalità” all’altra mentre viaggia verso di noi alla velocità della luce. E le Alp – le axion-like particles di cui parla Galanti, ipotetiche particelle previste dalla teoria delle stringhe e ottime candidate per la materia oscura fredda, simili ad altre particelle altrettanto ipotetiche, gli assioni – sarebbero una di queste personalità. Un po’ come Mr. Hyde, una Alp è infatti in grado di compiere azioni che un fotone, il Dr. Jekyll di questa strana storia, non riuscirebbe mai a portare a termine: attraversare indenne la cosiddetta Ebl – l’extragalactic background light, la luce di fondo extragalattica, ovvero la luce emessa da tutte le stelle durante l’intera evoluzione dell’universo.

Giorgio Galanti, ricercatore all’Inaf Iasf di Milano e primo autore dello studio su Grb 221009A appena pubblicato su Physical Review Letters. Crediti: Inaf

«Quando un fotone di alta energia — diciamo superiore a 100 GeV — urta un fotone dell’Ebl», spiega infatti Galanti, «c’è una probabilità che si formi una coppia elettrone-positrone, che quindi fa scomparire il fotone di alta energia. E questo effetto diventa progressivamente più importante al crescere sia dell’energia che della distanza. Ritornando al nostro Grb 221009A, abbiamo dimostrato che – secondo la fisica convenzionale – fotoni di energia superiore a circa 10 TeV verrebbero completamente assorbiti».

Detto altrimenti: considerando il redshift della sorgente, e dunque l’enorme distanza percorsa dal lampo gamma, i fotoni a energie più elevate in teoria non sarebbero mai stati in grado di giungere fino a noi. Come è dunque possibile che Lhaaso, unico strumento per la rivelazione dei lampi gamma a non essere andato in saturazione quel 9 ottobre di un anno fa, abbia osservato fotoni del Grb 221009A a energie comprese fra 500 GeV e 18 TeV? È qui che entrano in gioco, appunto, le Alp.

«Secondo la nostra ipotesi, in presenza di campi magnetici, i fotoni si tramutano in Alp e viceversa», spiega uno dei coautori dell’articolo, Marco Roncadelli, ricercatore associato all’Infn e all’Inaf, «rendendo così possibile raggiungere la Terra a un maggior numero di fotoni, perché le Alp sono invisibili ai fotoni del fondo extragalattico».

«Entrando un po’ più nel dettaglio», aggiunge Galanti, «le Alp si accoppiano a due fotoni, ma non a un singolo fotone. Questo fatto implica che in presenza di un campo magnetico esterno – che come è ben noto è costituito da fotoni – si possono avere “oscillazioni fotone-Alp”. Queste sono molto simili alle oscillazioni dei neutrini massivi di tipo diverso, con la sola differenza che per le Alp l’esistenza del campo magnetico è essenziale al fine di garantire la conservazione del momento angolare, in quanto il fotone ha spin 1 mentre le Alp hanno spin 0: lo spin mancante o eccedente è compensato dal campo magnetico esterno».

Questa dell’oscillazione tra fotoni e Alp per aggirare l’opacità del fondo extragalattico ai fotoni di energia elevata non è un’idea inedita: è una soluzione proposta per la prima volta, nel 2007, da Alessandro De Angelis, Oriana Mansutti e dallo stesso Roncadelli. Ed è una soluzione a un problema più generale di quello posto da questo gamma-ray burst. Oltre ai lampi di raggi gamma, ci sono infatti altre sorgenti distanti che emettono fotoni a energie elevatissime eppure in grado di giungere fino a noi, in barba alla fisica standard. Sorgenti come i quasar di tipo Fsrq (flat spectrum radio quasar), ricorda Galanti, dove la componente “opaca” che intralcia la corsa dei fotoni ad alta energia, fino a renderne teoricamente impossibile la fuoriuscita, non è la Elb ma qualcosa di molto simile: un campo di radiazione ultravioletta all’interno della sorgente stessa. O i blazar di tipo Bl Lac, il cui spettro – come mostrato da uno studio pubblicato nel 2020 dagli stessi Galanti, Roncadelli e De Angelis insieme a Giovanni F. Bignami – sarebbe in alcuni casi inspiegabile senza ricorrere a un meccanismo che consenta di aumentare la “trasparenza cosmica”, riducendo quindi l’assorbimento prodotto dall’Ebl.

Fotoni da quasar Fsrq, fotoni da blazar Bl Lac e ora fotoni da questo lampo gamma “Boat”, dunque. Tutt’e tre apparentemente inconcepibili entro il perimetro della fisica standard. Ma tutt’e tre spiegabili se al posto di “semplici” fotoni ci fossero particelle “Jekyll-Hyde” che oscillano da fotone ad Alp e viceversa. “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”, scriveva Agatha Christie. In questo caso parlare di “prova di nuova fisica” è ancora prematuro: in fin dei conti le Alp rimangono ancora particelle ipotetiche che assomigliano ad altre particelle ipotetiche. Serviranno altre osservazioni, e saranno per questo di grande aiuto i nuovi osservatori astrofisici per alte energie – primi fra tutti Cta e l’italiano Astri – pronti a entrare in funzione nei prossimi anni.

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