AMPLIFICATA E TRIPLICATA DA UNA LENTE GRAVITAZIONALE

Tanto tempo fa, in una galassia debole e minuscola

Scoperta con Jwst una galassia estremamente distante, debole e minuscola, la cui luce è partita appena 480 milioni di anni dopo il Big bang. Attiva nella formazione di stelle giovani, secondo gli esperti – un team internazionale guidato dalla statunitense Ucla a cui partecipano ricercatori e ricercatrici dell'Istituto nazionale di astrofisica – sarebbe l'esempio perfetto delle galassie che hanno reionizzato l'universo

     26/05/2023

Immagine dell’ammasso di galassie Abell 2744 ottenuta con lo strumento NirCam di Jwst. Le macchie chiare sono galassie che appartengono all’ammasso; sullo sfondo, galassie molto più distanti, osservate attraverso la lente gravitazionale dell’ammasso. Nei riquadri indicati con le lettere A, B e C sono indicate le tre immagini della galassia Jd1, di cui in alto sono mostrati anche gli ingrandimenti. Le linee colorate rappresentano i modelli gravitazionali dell’ammasso (cliccare per ingrandire). Crediti: Roberts-Borsani et al. 2023

Individuare le prime galassie della storia dell’universo è tra gli obiettivi scientifici per cui è stato prima sognato, poi costruito e infine lanciato il James Webb Space Telescope (Jwst). E già nel primo anno di operazioni, il potente osservatorio spaziale sta mantenendo le promesse, aiutando gli astrofisici a catturare e analizzare la luce di galassie lontanissime, formatesi a solo qualche centinaio di milioni di anni dal Big bang.

Studiare queste galassie, molto diverse da quelle che popolano l’universo odierno, oltre 13 miliardi di anni dopo, è cruciale anche per comprendere meglio uno dei passaggi più enigmatici della cronologia del cosmo: la reionizzazione. Si tratta dell’epoca in cui la luce emessa dalle primissime stelle e galassie ha iniziato a scindere gli atomi che allora formavano il gas interstellare e intergalattico, ionizzandoli e trasformandoli nuovamente in protoni ed elettroni. Con questa fase, di cui si conoscono gli effetti ma ancora non la dinamica in dettaglio, terminò l’era cosmica chiamata in inglese the dark ages per assonanza con i “secoli bui” del medioevo umano, poiché l’universo divenne così “trasparente” alla luce, non più assorbita dagli atomi sparsi qua e là.

Alcuni tra i primi risultati di Jwst hanno svelato alcune di queste galassie primordiali, mettendo in luce la loro capacità di reionizzare l’universo. Si è aggiunto ora un nuovo studio, pubblicato la scorsa settimana sulla rivista Nature, che tra queste galassie lontane e antichissime ha scovato quella che, ad oggi, appare come la meno brillante di tutte.

«Con Jwst siamo riusciti a confermare e studiare una delle galassie più lontane dell’universo, e certamente la meno luminosa di quelle trovate nei primi instanti dopo il Big Bang», spiega a Media Inaf Guido Roberts-Borsani, ricercatore anglo-italiano, di origini liguri (come attesta la passione, oltre che per l’astronomia, per la focaccia genovese) oggi impegnato presso la University of California, Los Angeles. «La galassia, chiamata Jd1, si trova dietro a un ammasso di galassie vicine e massicce che servono come una lente gravitazionale che amplifica e distorce la luce di Jd1 di un fattore tredici. È grazie solo a questo – e al potere di un telescopio come Jwst – che riusciamo a vederla e studiarla. Questo è molto importante perché Jd1 è tipica delle prime generazioni di galassie meno luminose, che hanno reso l’universo trasparente nel primo miliardo di anni dopo il Big bang, ma che fino ad ora non sono state confermate o studiate».

Questa piccola galassia è stata dapprima avvistata in una serie di immagini realizzate con NirCam, la fotocamera multibanda a bordo del potente osservatorio spaziale. Complice Abell 2744, meglio noto come ammasso di Pandora, che come il nome suggerisce offre un potpourri di poderosi fenomeni cosmici alla convergenza di almeno quattro massicci ammassi di galassie, e che con la sua grande massa piega il tessuto spaziotemporale e forza la luce proveniente da galassie ancora più distanti su percorsi non rettilinei ma curvi e deformati. Agendo come una lente gravitazionale, l’ammasso deforma l’aspetto di queste galassie lontane e ne amplifica la luce, rendendo osservabili oggetti flebili come Jd1.

Guido Roberts-Borsani, ricercatore presso Ucla, negli Stati Uniti

Già confrontando le immagini ottenute con diversi filtri di NirCam, Roberts-Borsani e collaboratori sospettavano che si trattasse di una galassia molto lontana. A conferma di ciò, anche un confronto con dati d’archivio del decano dei telescopi spaziali, Hubble space telescope, sembrava indicare una distanza molto elevata. Infine, la prova del nove: un’ora e 23 minuti di osservazioni spettroscopiche con un altro degli strumenti a bordo di Jwst, l’europeo NirSpec.

«Con NirSpec siamo riusciti a ottenere uno spettro che ci ha permesso di confermare la sua distanza: solo 480 milioni di anni dopo il Big Bang» aggiunge il ricercatore, «e anche di calcolare la sua età, la sua massa stellare, e la sua evoluzione chimica, rivelando che questa è una galassia non molto massiccia ma che sta formando tante stelle giovani, e che ha già cominciato il suo viaggio chimico».

Quando l’allineamento tra il corpo celeste che funge da lente e la sorgente più remota è particolarmente propizio, il fenomeno del lensing gravitazionale può produrre addirittura immagini multiple della sorgente: in questo caso, nelle osservazioni di NirCam la galassia Jd1 appare ben tre volte, in tre punti diversi dell’immagine. Analizzando i dati con l’aiuto di un modello gravitazionale dell’ammasso, è stato possibile tracciare a ritroso la luce della galassia e risalire alla sua posizione e forma originale: questo ha permesso al team di rivelare un oggetto molto piccolo e compatto. Certo, non sempre si ha a disposizione un telescopio potente come Jwst e una coincidenza cosmica come quella facilitata dall’ammasso di Pandora, e così di galassie simili ai primordi dell’universo se ne conoscono ancora poche.

«L’ingrandimento dato dalla lente gravitazionale ci ha permesso di identificare piccole regioni stellari interne a Jd1, ancora in formazione, di dimensione inferiore ai 300 anni luce», nota Eros Vanzella, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica a Bologna e co-autore del lavoro. «È la prima volta che possiamo studiare regioni stellari minuscole in un oggetto così distante nello spazio e lontano nel tempo. Potrebbe proprio appartenere alla tipologia di sorgenti che pensiamo siano dominanti nella fase di reionizzazione dell’universo».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature l’articolo “The nature of an ultra-faint galaxy in the cosmic dark ages seen with Jwst” di Guido Roberts-Borsani, Tommaso Treu, Wenlei Chen, Takahiro Morishita, Eros Vanzella, Adi Zitrin, Pietro Bergamini, Marco Castellano, Adriano Fontana, Karl Glazebrook, Claudio Grillo, Patrick L. Kelly, Emiliano Merlin, Themiya Nanayakkara, Diego Paris, Piero Rosati, Lilan Yang, Ana Acebron, Andrea Bonchi, Kit Boyett, Maruša Bradač, Gabriel Brammer, Tom Broadhurst, Antonello Calabró, Jose M. Diego, Alan Dressler, Lukas J. Furtak, Alexei V. Filippenko, Alaina Henry, Anton M. Koekemoer, Nicha Leethochawalit, Matthew A. Malkan, Charlotte Mason, Amata Mercurio, Benjamin Metha, Laura Pentericci, Justin Pierel, Steven Rieck, Namrata Roy, Paola Santini, Victoria Strait, Robert Strausbaugh, Michele Trenti, Benedetta Vulcani, Lifan Wang, Xin Wang & Rogier A. Windhorst