MAI SI ERANO POTUTI OSSERVARE PRIMA AMMASSI STELLARI COSÌ LONTANI

Stelle d’altre galassie, 13 miliardi d’anni fa

Grazie a uno specchio eccezionale – quello del telescopio spaziale James Webb – e a una lente naturale altrettanto straordinaria – l’ammasso di galassie Smacs 0723, un team d’astronomi dell’Università di Stoccolma è riuscito a distinguere addensamenti di stelle in formazione in galassie risalenti a quando l’universo aveva appena 680 milioni di anni

     07/02/2023

Il James Webb Space Telescope ha catturato quest’immagine di un ammasso di galassie (Smacs 0723, cliccare per ingrandirla) in grado di agire come lente gravitazionale e ingrandire così le galassie che stanno alle sue spalle, consentendoci di osservarle così com’erano quando l’universo (che di anni ne ha oggi circa 13.7 miliardi) aveva tra uno e cinque miliardi di anni. Crediti: adattamento di un’immagine rilasciata da Nasa, Esa, Csa, Stsci

La materia s’ammassa, nell’universo. Anche gli oggetti li ritroviamo “ammassati”. E a seconda del tipo d’oggetti, danno origine a diversi tipi d’ammassi – o cluster, come si dice in inglese. Quando sono stelle, abbiamo gli ammassi stellari. Quando sono intere galassie, gli ammassi di galassie. E a volte sono entrambi protagonisti della stessa storia. È il caso dello studio condotto da un team dell’Università di Stoccolma riportato il mese scorso sulle pagine di Monthly Notices of the Royal Astronomical Society: hanno usato un lontano ammasso di galassie come una “lente” sulla quale posare l’occhio di Jwst – il James Webb Space Telescope – per osservare alcuni ancora più lontani ammassi stellari – o più precisamente stellar clumps, addensamenti di stelle in formazione antichissimi. I più lontani si trovano in una galassia risalente ad appena 680 milioni di anni dopo il Big Bang: vale a dire che la loro luce, per giungere fino a noi, ha impiegato qualcosa come 13 miliardi di anni. Mai prima d’ora era stato possibile esaminare ammassi stellari così antichi.

Ma torniamo alla “lente” impiegata per questo studio: situata a poco più di cinque miliardi d’anni luce da noi, è un ammasso di galassie, dicevamo, di nome Smacs 0723. Per chi abbia seguito l’avventura del telescopio spaziale Webb la sigla non è nuova: quella di Smacs 0723 è infatti la prima immagine scientifica prodotta da Jwst, presentata al mondo in anteprima assoluta l’estate scorsa dallo stesso presidente degli Stati Uniti Joe Biden. E fin da subito era stato salutato come una straordinaria lente naturale sul cosmo, una lente gravitazionale: il complemento ideale per spingere lo sguardo di Webb ai limiti dello spazio e del tempo.

«Gli ammassi di galassie che abbiamo esaminato sono così massicci da piegare i raggi di luce che passano attraverso il loro centro, come previsto da Einstein nel 1915. E questo a sua volta produce una sorta di effetto “lente d’ingrandimento”: le immagini delle galassie sullo sfondo vengono ingrandite», spiega la prima autrice dell’articolo pubblicato su Mnras, Adélaïde Claeyssens, ricercatrice all’Università di Stoccolma.

La stessa zona di cielo osservata con la Wide Field Camera 3 di Hubble (a sinistra) e la Near Infrared Camera di Jwst (a destra). Crediti: Adélaïde Claeyssens et al., Mnras, 2023

Ed è proprio questo effetto ingrandente, sommato all’eccezionale risoluzione del telescopio spaziale Webb, ad aver consentito di distinguere, in alcune lontanissime galassie alle spalle dell’ammasso Smacs 0723 – la presenza, appunto, di stellar clumps: sono quei grumi di luce – una sorta di “brufoli” – che s’intravedono nei quattro riquadri ingranditi dell’immagine di apertura. Qui a fianco, nel pannello di destra, li vediamo evidenziati dai circoletti bianchi tratteggiati: ciascuno di quei rosei puntini è un’antichissima culla di stelle, e riuscire finalmente a osservarli per la prima volta permette agli astronomi di studiare il nesso tra la loro formazione e l’evoluzione delle galassie pochi milioni di anni dopo il Big Bang. Per la prima volta, dicevamo: lo si capisce bene dal confronto con il pannello a sinistra, che mostra la stessa porzione di cielo ritratta dal telescopio spaziale Hubble, dove i clumps non si riescono a distinguere.

«Le immagini del James Webb Space Telescope mostrano che ora siamo in grado di rilevare strutture molto piccole all’interno di galassie molto distanti, e che possiamo vedere questi clumps in molte galassie. Questo telescopio rappresenta un punto di svolta per l’intero campo della ricerca e ci aiuta a capire come si formano ed evolvono le galassie», conclude un’altra fra le autrici dello studio, Angela Adamo, astronoma italiana (si è laureata a Padova) oggi ricercatrice all’Università di Stoccolma.

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