Il James Webb Space Telescope (Jwst) continua a regalarci risultati sorprendenti. Grazie ai suoi dati, un team internazionale di astronomi ha scoperto le galassie più antiche e più lontane mai osservate fino a oggi. Il telescopio ha catturato la luce emessa da queste galassie più di 13,4 miliardi di anni fa, il che significa che meno di 400 milioni di anni dopo il Big Bang erano già lì, quando l’universo aveva solo il 2 per cento della sua età attuale.
Le prime osservazioni di Jwst hanno mostrato diverse galassie a distanze estreme, ma questi candidati vanno confermati da osservazioni spettroscopiche, che non solo forniscono misurazioni attendibili delle loro distanze, ma consentono anche di caratterizzare le proprietà fisiche delle galassie stesse. Ora, per quattro di questi obiettivi la conferma è arrivata. «Abbiamo scoperto galassie in tempi incredibilmente precoci nel lontano universo», riferisce Brant Robertson, professore di astronomia e astrofisica presso l’Uc Santa Cruz. «Con Jwst, per la prima volta possiamo trovare galassie così distanti e confermare spettroscopicamente che sono davvero così lontane».
Gli astronomi misurano la distanza di una galassia determinandone il redshift. A causa dell’espansione dell’universo, gli oggetti distanti sembrano allontanarsi da noi e la loro luce si sposta a lunghezze d’onda più lunghe (più rosse) a causa dell’effetto Doppler. Le tecniche fotometriche basate su immagini catturate attraverso diversi filtri possono fornire stime del redshift, ma solo con la spettroscopia è possibile avere misurazioni definitive.
Le nuove scoperte si concentrano su quattro galassie con spostamenti verso il rosso superiori a 10. Per due di queste galassie, inizialmente osservate da Hubble, sono stati confermati spostamenti verso il rosso di 10,38 e 11,58. Le due galassie più distanti, entrambe rilevate nelle immagini Jwst, hanno spostamenti verso il rosso di 13,20 e 12,63, che le rendono le galassie più distanti confermate dalla spettroscopia fino ad oggi. Un redshift di 13,2 corrisponde a circa 13,5 miliardi di anni fa. «Queste sono ben oltre ciò che avremmo potuto immaginare di trovare prima di Jwst», afferma Robertson. «A redshift 13, l’universo ha solo circa 325 milioni di anni».
Robertson ed Emma Curtis-Lake dell’Università dell’Hertfordshire (Regno Unito) presenteranno le nuove scoperte oggi, 12 dicembre, a una conferenza dello Space Telescope Science Institute (StScI) a Baltimora, dedicata ai primi risultati scientifici con Jwst. I due sono gli autori principali di altrettanti articoli che non sono ancora stati sottoposti al processo di peer review, ma sono già accessibili online.
Le osservazioni derivano da una collaborazione di scienziati che ha guidato lo sviluppo di due degli strumenti a bordo di Webb, la Near-Infrared Camera (NirCam) e il Near-Infrared Spectrograph (NirSpec). La survey delle galassie più deboli e più antiche è stata la motivazione principale che ha portato allo sviluppo di questi strumenti. Nel 2015, i team strumentali si sono uniti per proporre il Jwst Advanced Deep Extragalactic Survey (Jades), un ambizioso programma a cui è stato assegnato poco più di un mese di tempo del telescopio ed è progettato per fornire una visione dell’universo primordiale senza precedenti, sia in termini di profondità che di dettaglio. Jades è una collaborazione internazionale di oltre ottanta astronomi provenienti da dieci paesi. «Questi risultati sono il culmine del motivo per cui i team di NirCam e NirSpec si sono uniti per eseguire questo programma di osservazione», ha affermato Marcia Rieke, ricercatrice di NirCam presso l’Università dell’Arizona.
Il programma Jades è iniziato con NirCam, utilizzando oltre 10 giorni di missione per osservare una piccola porzione di cielo all’interno e intorno all’Hubble Ultra Deep Field. Gli astronomi studiano questa regione da oltre 20 anni con quasi tutti i grandi telescopi. Il team di Jades ha osservato il campo in nove diversi intervalli di lunghezze d’onda dell’infrarosso, catturando immagini che rivelano quasi 100mila galassie, ciascuna a miliardi di anni luce di distanza.
Il team ha quindi utilizzato lo spettrografo NirSpec in un periodo di osservazione di tre giorni per raccogliere la luce da 250 deboli galassie. Ciò ha prodotto misurazioni precise del redshift e ha rivelato le proprietà del gas e delle stelle in queste galassie. «Con queste misurazioni, possiamo conoscere la luminosità intrinseca delle galassie e capire quante stelle hanno», spiega Robertson. «Ora possiamo iniziare a distinguere davvero come le galassie si formano nel tempo».
«È difficile comprendere le galassie senza capire i periodi iniziali del loro sviluppo. Proprio come con gli esseri umani, gran parte di ciò che accade in seguito dipende dall’impatto di queste prime generazioni di stelle», aggiunge il coautore Sandro Tacchella dell’Università di Cambridge nel Regno Unito.
Secondo Robertson, la formazione stellare in queste prime galassie sarebbe iniziata circa 100 milioni di anni prima dell’età in cui sono state osservate, riportando la formazione delle prime stelle a circa 225 milioni di anni dopo il Big Bang. «Stiamo vedendo prove della formazione stellare prima di quanto potremmo aspettarci sulla base dei nostri modelli di formazione delle galassie», riferisce il ricercatore.
Altri team hanno identificato galassie candidate con spostamenti verso il rosso ancora più elevati sulla base di analisi fotometriche delle immagini Jwst, ma queste devono ancora essere confermate dalla spettroscopia. Jades continuerà nel 2023 con uno studio dettagliato di un altro campo, incentrato sull’iconico Hubble Deep Field, e poi un farà ritorno all’Ultra Deep Field per un altro round di imaging profondo e spettroscopia. Molti altri candidati attendono indagini spettroscopiche, con centinaia di ore aggiuntive già approvate.
Per saperne di più:
- Leggi su arXiv il pre-print dell’articolo “Discovery and properties of the earliest galaxies with confirmed distances” di E. Robertson, S. Tacchella, B. D. Johnson, K. Hainline, L. Whitler, D. J. Eisenstein, R. Endsley, M. Rieke, D. P. Stark, S. Alberts, A. Dressler, E. Egami, R. Hausen, G. Rieke, I. Shivaei, C. C. Williams, C. N. A. Willmer, S. Arribas, N. Bonaventura, A. Bunker, A. J. Cameron, S. Carniani, S. Charlot, J. Chevallard, M. Curti, E. Curtis-Lake, F. D’Eugenio, P. Jakobsen, T. J. Looser, N. Lützgendorf, R. Maiolino, M. V. Maseda, T. Rawle, H.-W. Rix, R. Smit, H. Übler, C. Willott, J. Witstok, S. Baum, R. Bhatawdekar, K. Boyett, Z. Chen, A. de Graaff, M. Florian, J. M. Helton, R. E. Hviding, Z. Ji, N. Kumari, J. Lyu, E. Nelson, L. Sandles, A. Saxena, K. A. Suess, F. Sun, M. Topping, I. E. B. Wallace
- Leggi il pre-print dell’articolo “Spectroscopy of four metal-poor galaxies beyond redshift ten” di Emma Curtis-Lake, Stefano Carniani, Alex Cameron, Stephane Charlot, Peter Jakobsen, Roberto Maiolino, Andrew Bunker, Joris Witstok, Renske Smit, Jacopo Chevallard, Chris Willott, Pierre Ferruit, Santiago Arribas, Nina Bonaventura, Mirko Curti, Francesco D’Eugenio, Marijn Franx, Giovanna Giardino, Tobias J. Looser, Nora Lützgendorf, Michael V. Maseda, Tim Rawle, Hans-Walter Rix, Bruno Rodriguez del Pino, Hannah Übler, Marco Sirianni, Alan Dressler, Eiichi Egami, Daniel J. Eisenstein, Ryan Endsley, Kevin Hainline, Ryan Hausen, Benjamin D. Johnson, Marcia Rieke, Brant Robertson, Irene Shivaei, Daniel P. Stark, Sandro Tacchella, Christina C. Williams, Christopher N. A. Willmer, Rachana Bhatawdekar, Rebecca Bowler, Kristan Boyett, Zuyi Chen, Anna de Graaff, Jakob M. Helton, Raphael E. Hviding, Gareth C. Jones, Nimisha Kumari, Jianwei Lyu, Erica Nelson, Michele Perna, Lester Sandles, Aayush Saxena, Katherine A. Suess, Fengwu Sun, Michael W. Topping, Imaan E. B. Wallace and Lily Whitler