IL METODO È STATO BREVETTATO E PUBBLICATO SU PATENTSCOPE

Ottiche per raggi X: meglio dopate

Si chiama dip coating il nuovo approccio che consente la deposizione di un rivestimento a base di carbonio su un’ottica per semplice immersione in una soluzione liquida di dopamina. Stando ai risultati dei primi test di qualifica, promette di aumentare sensibilmente la riflettività dei telescopi per astronomia X, riducendo i costi del processo di deposizione. Ne parliamo con Vincenzo Cotroneo dell’Inaf di Brera

     20/09/2022

Shell di eRosita. Crediti: Media Lario

Tra i progetti di ricerca e innovazione tecnologica su cui i ricercatori Inaf stanno attualmente lavorando, ce n’è uno molto singolare. Riguarda l’utilizzo di una molecola biologica come rivestimento esterno delle ottiche dei telescopi a raggi X per incrementarne le prestazioni.

La molecola in questione è la dopamina, che tutti conosciamo nella veste di neurotrasmettitore e ormone “dopante”. In questo progetto, nato da un’idea di Giovanni Pareschi, dirigente di ricerca all’Inaf di Brera, e condotto in collaborazione con il Dipartimento di Chimica Giulio Natta del Politecnico di Milano, Media Lario di Bosisio Parini e altri partner internazionali, si sta testando la capacità dei polimeri della molecola organica, la polidopamina, di incrementare la riflettività dei telescopi.

Ma l’innovazione è duplice. Il progetto – la cui mission è quella di  valutare l’effetto sulle ottiche di rivestimenti a base di carbonio – prevede infatti un approccio inedito, semplice e pratico di deposizione del rivestimento di dopamina. Una tecnologia che è stata brevettata e pubblicata sul database Patentscope.

Lo studio che illustra i primi risultati sperimentali delle prove di qualifica della tecnologia è stato pubblicato sulla rivista Spie Space Telescopes and Instrumentation alla fine di agosto. Per saperne di più abbiamo intervistato Vincenzo Cotroneo dell’Inaf di Brera, primo autore dell’articolo e coordinatore del progetto di ricerca.

Cotroneo, che specchi sono, questi alla dopamina?

«Sono ottiche per telescopi sensibili alla luce X. Questi specchi, per focalizzare i raggi X, si basano tutti sullo stesso principio, che è quello dell’incidenza radente. Il corpo delle ottiche di questi telescopi viene costruito in modo che la luce non venga riflessa con un angolo di 90 gradi ma con un angolo di incidenza molto inferiore, che è quasi radente allo specchio. Per migliorare le prestazioni di questi telescopi, è possibile aggiungere all’ottica un ulteriore strato riflettente (overcoating, in inglese). Nel nostro progetto di ricerca stiamo sperimentando un rivestimento di pochi nanometri di dopamina il cui obiettivo è di aumentare la riflettività degli specchi».

Vincenzo Cotroneo, ricercatore dell’Inaf – Osservatorio Astronomico di Brera

Com’è nata l’idea di utilizzare un rivestimento esterno di dopamina?

«Tutto nasce dall’osservazione, risalente a diversi decenni fa, che alcuni telescopi mandati in orbita riflettevano più del dovuto. Questo è stato spiegato con una contaminazione di carbonio, probabilmente proveniente da degassamenti del satellite, che si depositava sugli specchi: qualcosa evaporava, si depositava sullo specchio, lo sporcava, e ne migliorava le prestazioni invece che peggiorarle. Allora si è pensato di “sporcare” lo specchio in maniera controllata. Circa una quindicina di anni fa, abbiamo provato a depositare sopra un’ottica uno strato molto sottile di carbonio, scoprendo che effettivamente ne aumenta la riflettività nella parte più bassa dello spettro, cioè alle energie più basse tra quelle operative del telescopio. Questo perché il carbonio è un materiale leggero, praticamente trasparente alle alte energie, ma più riflettente dei materiali tradizionali per quelle basse. Si parla di un vantaggio in termini di guadagno di riflettività che può arrivare anche al 20 per cento sulle basse energie. Abbiamo pubblicato questa idea, che ha avuto una certa risonanza, tuttavia realizzarla è abbastanza difficile: depositare un coating di carbonio puro richiede infatti di utilizzare delle tecniche costruttive molto dispendiose sia in termini economici che di tempo. Così, già da diversi anni, abbiamo iniziato a fare esperimenti provando soluzioni diverse, molecole e composti diversi, tutti basati sul carbonio, ma con proprietà differenti. Tra tutte, la dopamina è quella che si è dimostrata più promettente».

Quali sono i vantaggi del suo utilizzo?

«La dopamina è interessante per vari motivi: è disponibile ampiamente sul mercato e non ha un grosso costo. Nei laboratori chimici si fa molta ricerca su questa molecola. Infatti, oltre ad essere un neurotrasmettitore e un ormone prodotto da moltissimi organismi, sia piante che animali, la dopamina è anche un adesivo organico: sostanze simili sono utilizzate ad esempio dalle cozze per attaccarsi agli scogli. Da qui il suo utilizzo in campo biomedico per creare film protettivi, e ora, per la prima volta, anche in campo astronomico, sfruttando questa sua capacità di produrre biofilm riflettenti da usare come rivestimento esterno degli specchi dei telescopi per raggi X. Un altro dei vantaggi della dopamina è che ci permette di controllare lo spessore dello strato a nostro piacimento. Infine, non è difficile da depositare».

Eugenio Gibertini, assegnista di ricerca del Politecnico di Milano con mano i campioni su cui effettuare la deposizione del rivestimento di dopamina. Crediti: Federico Lissandrello

Come avviene  questa deposizione?

«Semplicemente, prendiamo uno specchio realizzato con le tecniche convenzionali e gli applichiamo sopra il coating. Si tratta di un rivestimento esterno a tutta l’ottica; uno straterello addizionale sopra lo specchio. L’idea che c’è dietro al processo è semplice: basta immergere l’ottica in una soluzione liquida del composto affinché sulla sua superficie si crei un film sottile per adesione e polimerizzazione delle molecole organiche. L’innovazione è proprio il concetto di poter immergere l’ottica nel liquido e tirarla fuori già pronta. Normalmente per depositare un coating tramite le tecnologie convenzionali (ad esempio tramite il cosiddetto sputtering) bisogna avere un’apparecchiatura specialistica, che raggiunga alto vuoto e che lavori con target di massima purezza. Si parla di apparecchiature che costano centinaia di migliaia di euro. I processi di deposizione convenzionali impiegano inoltre molto tempo: ore per fare il vuoto, ore di deposizione e poi altro tempo per tirar fuori l’ottica, uno specchio per volta (ogni ottica è tipicamente composta da decine di shell o da centinaia, o anche migliaia, di pannelli). Con il nostro approccio si potrebbero utilizzare delle semplici vasche, metterci questa sostanza che costa pochissimo, immergerci uno specchio o un’ottica completa – come quella di Athena, fatta di pannelli  impilati uno sull’altro – lasciarla un paio d’ore, tirarla fuori e in un giorno avere già il rivestimento di dopamina».

Qual è l’iter progettuale che avete seguito?

«L’obiettivo della nostra ricerca era in primo luogo di verificare che la molecola si attaccasse agli specchi e che lo facesse in maniera tale da consentirci di controllare lo spessore del film. Il passo successivo è stato quello di testare la capacità di incrementare la riflettività dello specchio. Per farlo abbiamo prima fatto delle simulazioni, che hanno dato risultati promettenti, quindi siamo passati allo step successivo: i test al sincrotrone. I sincrotroni sono facility al cui interno vengono accelerate particelle, emettendo luce ad ampia banda. Noi abbiamo usato la porzione X di questa luce per mandarla sul nostro specchio di test rivestito di dopamina, misurandone poi la riflettività. Proprio questa primavera siamo stati al sincrotrone Elettra, a Trieste, e al Bessy di Berlino».

Di recente avete pubblicato i risultati di questi primi test di qualifica sulla rivista Spie. Fanno ben sperare?

«I test hanno mostrato che i nostri film funzionano perfettamente e si vede questo aumento di riflettività. Tuttavia abbiamo visto che lo spessore del coating che abbiamo cresciuto sullo specchio è un po’ maggiore di quello ottimale. Il prossimo step sarà quindi di cercare di produrre uno strato più sottile, per poi andare nuovamente ai sincrotroni e valutarne la riflettività, cosa che pensiamo di fare già a novembre prossimo».

Da sinistra a destra: Marta Civitani, Giovanni Pareschi, Simone Iovenitti, Giacomo Rivolta e Vincenzo Cotroneo alla beamline BEAR di IOM-CNR presso il sincrotrone Elettra di Trieste

E poi?

«Poi ci sarà l’ultima fase: dimostrare che la tecnologia, oltre a funzionare sulla Terra, funziona anche nello spazio, che significa ottenere delle prove che questo coating faccia il suo lavoro in condizioni di vuoto e resista all’irraggiamento da radiazioni. Abbiamo già fatto test simili in laboratorio, tenendo i modelli in vuoto per giorni e non abbiamo osservato degradazione, però ovviamente ci vuole un test sistematico. Siamo comunque ottimisti, anche perché tra le proprietà teoriche di questo film c’è anche una forte stabilità alle temperature: la letteratura dice che può resistere a temperature fino ai 300 gradi Celsius, noi non andiamo sopra i 100 gradi.  Ad ogni modo, bisogna provarlo sul campo, magari su una piccola missione dove ci sia un beneficio molto elevato per cui il gioco valga la candela».

Su quali telescopi potrebbe essere implementata la tecnologia?

«Al momento stiamo collaborando con il team della missione Athena, che ha espresso interesse. Abbiamo avuto contatti con l’Esa affinché ci fornisca qualche modulo del telescopio, per vedere se si riesce a rivestire di dopamina l’intera ottica, nel caso di Athena fatta da tanti piatti impilati uno sull’altro. Collaboriamo inoltre con la missione eXtp – missione cinese che vede coinvolte varie agenzie internazionali tra cui l’Asi. Queste due missioni sono i nostri punti di partenza, che abbiamo utilizzato come esempio di casi d’uso per una possibile applicazione se la tecnologia superasse tutte le fasi di qualifica. Ma più in generale, essendo questa una tecnologia di facile implementazione, non dubitiamo che una volta qualificata possa essere applicata alla maggior parte dei futuri telescopi per raggi X».

Cosa l’ha spinta a lavorare su questo progetto?

«Diciamo che per me è stato un ritorno. Parte della mia tesi di laurea riguardava lo studio dell’effetto di un rivestimento leggero in silicio sulle performance di un’ottica. Una cosa che secondo Giovanni Pareschi, all’epoca giovane ricercatore nonché mio relatore, era importantissima, ma che io da studente non ritenevo interessante. Nel 2004 abbiamo iniziato a lavorare sui coating al carbonio, pubblicando diversi articoli (Pareschi et al., 2004, Cotroneo et al, 2007). Dopo di che sono stato fuori per dieci anni, lavorando all’Harvard & Smithsonian Center for Astrophysics su progetti di ricerca completamente diversi. Poi, nel 2019, sono ritornato a Merate, dove ho incontrato Giovanni, che mi ha chiesto di lavorare a questo nuovo progetto per realizzare specchi con un coating alla dopamina. Ecco, in questo senso è un ritorno alle origini; un’evoluzione di quello che ho fatto durante la mia tesi di laurea. Adesso, nelle vesti di relatore, ho potuto a mia volta supervisionare il lavoro di tesi magistrale di uno studente, Giacomo Rivolta, il cui lavoro ha contribuito ai recenti risultati».

Per saperne di più:

  • Leggi su Spie Space Telescopes and Instrumentation l’articolo “Dopamine dip-liquid overcoatings for soft x-ray reflectivity enhancement” di Vincenzo Cotroneo, Giacomo Rivolta, Marcos Bavdaz, Ricardo Bruni, Marta M. Civitani, Thorsten Döhring, Ivo Ferreira, Eugenio Gibertini, Angelo Giglia, Christian Gollwitzer, Simone Iovenitti, Michael Krumney, Luca Magagnin, Nicola Mahne, Stefano Nannarone, Giovanni Pareschi, Suzanne Romaine, Leandra Sethares, Brian Shortt, Dieter Skroblin, Giorgia Sironi, Daniele Spiga, Gianpiero Tagliaferri, Giuseppe Valsecchi