CON UN COMMENTO DI ERNESTO PALOMBA (INAF)

Ryugu, cinque grammi d’asteroide al microscopio

Pubblicati oggi su Science, i primi risultati delle analisi dettagliate effettuate sui campioni dell’asteroide (162173) Ryugu, portati sulla Terra dalla sonda giapponese Hayabusa 2, mostrano che colori, forme e strutture dei campioni sono coerenti con il materiale che circonda ogni sito di raccolta sull’asteroide

     10/02/2022

Campioni prelevati nel primo (in basso) e nel secondo (in alto) luogo di atterraggio di Hayabusa 2 sull’asteroide Ryugu. Crediti: Jaxa

Hayabusa, in giapponese, significa falco pellegrino: se non ne conoscete le caratteristiche, apprenderete subito che si tratta di uno specialista del volo, soprattutto in picchiata, dove è in grado di raggiungere i 320 km/h. Un rapace non molto grande, ma abilissimo. E abilissima è stata anche la sonda dell’agenzia spaziale giapponese che porta il suo nome, Hayabusa 2, ancora in viaggio per il Sistema solare dopo aver compiuto una serie di operazioni senza precedenti.

Il suo primo obiettivo scientifico era studiare l’asteroide di tipo C (162173) Ryugu, cumulo di macerie a forma di trottola con un raggio medio di 448 m. Hayabusa vi ha gironzolato attorno da giugno 2018 a novembre 2019, toccandone il suolo ben due volte in due siti diversi per prelevarne materiale da riportare a Terra, e generando anche un impatto artificiale con una sorta di proiettile per campionare il sottosuolo. Lo scopo: determinare proprietà fisiche e composizione, e riportare i campioni raccolti a Terra. I risultati delle analisi sui campioni rientrati a Terra, e di quelle in situ, sono stati pubblicati oggi su Science.

Ma cominciamo dall’inizio. Hayabusa 2 ha fatto il suo primo atterraggio sull’asteroide il 21 febbraio 2019, e qui ha raccolto i primi campioni della superficie. Il secondo atterraggio è avvenuto l’11 luglio 2019, vicino al cratere da impatto creato artificialmente dalla sonda, per raccogliere il materiale sollevato dall’impatto stesso e proveniente da sotto la superficie. A vederli dalle immagini riprese da Hayabusa 2, i due luoghi di atterraggio si somigliavano molto, ed erano entrambi coperti da massi e ciottoli. Le osservazioni a lunghezze d’onda infrarosse del cratere hanno mostrato, inoltre, che anche il materiale subsuperficiale ha proprietà spettrali simili a quelle della superficie.

La sonda ha infine lasciato Ryugu nel novembre 2019. Il 6 dicembre 2020 la capsula di rientro contenente i campioni è giunta a Woomera, in Australia meridionale. Dopo il trasferimento in una camera bianca, le due camere di raccolta dei campioni sono state aperte e si è scoperto che contenevano circa cinque grammi di materiale, ben cinquanta volte l’obbiettivo di raccolta minimo della missione (fissato a 0,1 grammi, appunto). Di questi, 3 grammi provenivano dal primo sito di atterraggio, 2 grammi dal secondo. Gli scienziati che hanno osservato i campioni e li hanno analizzati hanno contato più di duecento ciottoli fra 1 e 10 mm di dimensione.

Nello studio pubblicato oggi vengono esaminate le forme e le morfologie dei granelli presenti sulla superficie di Ryugu, e vengono confrontate con quelle trovate nei campioni raccolti, sulla superficie e nei primi livelli del sottosuolo.

«I granelli si dividono in due tipologie: grani di forma irregolare e grani un po’ più lisci. La loro dimensione è simile e varia dal mm al cm», spiega a Media Inaf  Ernesto Palomba, ricercatore all’Inaf Iaps di Roma e membro del team di Hayabusa 2. «Per l’asteroide Ryugu, in effetti, ci si aspettava qualcosa di diverso, ovvero un corpo planetario formato da granelli ancora più piccoli rispetto a quelli prelevati. Invece, fin dal primo incontro con la sonda, l’asteroide si è rivelato ricco di rocce, massi e sassolini».

Utilizzando le immagini e i video catturati durante entrambe le operazioni di atterraggio, gli autori dello studio hanno caratterizzato le proprietà delle rocce sparse sulla superficie di Ryugu, mostrando che hanno morfologie simili ai massi più grandi dell’asteroide, con forme che vanno da quasi sferiche ad appiattite. Confrontando queste osservazioni con i materiali consegnati sulla Terra, si è poi scoperto che i colori, le forme e le strutture dei campioni sono coerenti con il materiale che circonda ogni sito di raccolta su Ryugu.

«Il contributo italiano è stato, all’inizio, quello di selezionare le aree più interessanti per la raccolta dei campioni», ricorda Palomba. «Successivamente, al ritorno della sonda Hayabusa 2 sulla Terra e in seguito al rilascio dei campioni nel dicembre 2020, un team internazionale del quale faccio parte ha effettuato l’analisi preliminare dei campioni. Il prossimo passo sarà quello di distribuire questi grani verso alla comunità scientifica internazionale: sarà possibile richiedere alcuni campioni da poter analizzare nei laboratori di tutto il mondo, ed è quello che ci stiamo accingendo a fare con il mio gruppo di ricerca. Ad ogni modo, è in programma un’estensione della missione Hayabusa 2 che amplierà i suoi obbiettivi scientifici e le farà incontrare, nei prossimi anni, altri due asteroidi Near Earth con due flyby molto veloci».

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