LO STUDIO SU THE ASTROPHYSICAL JOURNAL

Dischi protoplanetari, curvi da morire

Utilizzando sofisticati modelli idrodinamici tridimensionali, un team di scienziati dell’Università di Warwick ha identificano il processo che ostacola la formazione dei pianeti nella prima fase di evoluzione dei sistemi solari: la curvatura della superficie del disco protoplanetario – i luoghi di nascita dei pianeti – indotta, ad esempio, da stelle o nubi di gas di passaggio. I risultati dello studio sono publicati su The Astrophysical Journal

     10/02/2022

Immagine di un disco protoplanetario non deformato. Crediti: Università di Warwick

Secondo un nuovo studio condotto da un team di scienziati dell’Università di Warwick, nel Regno Unito, la formazione degli embrioni planetari durante le primissime fasi dell’evoluzione dei sistemi solari può essere ostacolata da deformazioni del disco protoplanetario.

Tutti i pianeti, compresi quelli nel nostro Sistema solare, vengono al “mondo” come granelli di polvere più piccoli della larghezza di un capello umano. Essi emergono da giganteschi dischi protoplanetari di gas e polvere a forma di ciambella che circondano giovani stelle appena nate. La gravità e altre forze provocano la collisione del materiale all’interno del disco, il materiale si fonde, crescendo a formare piccole palle roteanti. Nel tempo, le particelle di polvere si combinano per formare ciottoli, che si evolvono in strutture sempre più grandi chiamate planetesimi. Dopo miliardi di anni, il disco si sarà completamente trasformato, mentre i planetesimi avranno preso le sembianze di nuovi mondi.

In questo processo, una delle fasi fondamentali è la formazione nei giovani dischi di strutture a spirale, con tutta la loro polvere e gas trascinata in densi bracci dal massiccio effetto gravitazionale della rotazione del disco, consentendo ai pianeti di formarsi tramite instabilità gravitazionale.

Dischi che non presentano questa peculiare struttura non formano pianeti. E gli astronomi hanno trovato un gran numero di ciambelle protoplanetarie che, nonostante siano abbastanza massicce da avere una struttura a spirale, non ne mostrano alcuna prova.

Sahl Rowther, studente di dottorato all’Università di Warwick, ha studiato cosa potrebbe impedire a questi dischi di formare una simile struttura a spirale, identificando il processo che ne è alla base.

Immagine, nel suo stadio iniziale, di un disco protoplanetario deformato. Crediti: Università di Warwick

Per farlo, gli astronomi hanno creato un modello idrodinamico tridimensionale che simula un normale disco protoplanetario gravitazionalmente instabile, utilizzando una tecnica chiamata idrodinamica a particelle levigate (smoothed particle hydrodynamics, Sph). A questo modello hanno poi introdotto diversi livelli di curvatura del disco, per deformarlo e studiare così l’impatto sulla struttura a spirale del disco stesso.

I risultati ottenuti, riportati in un articolo pubblicato su The Astrophysical Journal, mostrano che se la curvatura è abbastanza marcata questa può sopprimere la struttura a spirale, annullando l’instabilità gravitazionale che guida la formazione planetaria. Ciò è dovuto, spiegano i ricercatori, a un gradiente di pressione radiale indotto dalla deformazione, che provoca una modifica nella velocità di rotazione del gas nel disco protoplanetario. Il gas si riscalda, diventa gravitazionalmente stabile e dunque incapace di aggregarsi a formare la densa struttura a spirale.

Ma cosa può indurre una tale deformazione? Un oggetto celeste di grandi dimensioni, come una stella che passa nelle vicinanze, una stella binaria la cui orbita non è allineata con il disco protoplanetario, o ancora nubi di gas di passaggio, possono indurre una curvatura del disco, spiegano i ricercatori.

«Di solito pensiamo che questi dischi si formino in isolamento, ma non è proprio così: sono zone caotiche, con molte stelle nelle vicinanze, la cui l’interazione gravitazionale è sufficiente per causare questa curvatura», spiega Rebecca Nealon, professoressa all’Università di Warwick e co-autrice dello studio.

«Questo studio prende in considerazione due effetti fisici che non sono mai stati combinati prima, la fisica dei dischi auto-gravitanti e della curvatura», conclude Rowther. «Ciò è importante perché mentre la prima è studiata da tempo ed è un campo ben consolidato, la seconda è un’idea molto più recente. Abbiamo modellato questi effetti nel modo più semplice possibile, per  fare in modo di essere certi di ciò che abbiamo fatto, e di dimostrarlo facilmente».

Per saperne di più:

Guarda l’animazione  dell’Università di Warwick