NASCOSTO IN UN AMMASSO STELLARE, FUORI DALLA NOSTRA GALASSIA

Piccolo buco nero nella Grande Nube di Magellano

Scoperto grazie al metodo delle velocità radiali, è il primo buco nero extragalattico mai trovato in un giovane ammasso stellare. «Come Sherlock Holmes rintraccia una banda criminale sfruttandone i passi falsi, abbiamo esaminato ogni singola stella con una lente d’ingrandimento in mano», spiega la prima autrice dello studio, Sara Saracino della Liverpool John Moores University. Nel team che ha firmato la scoperta c’è anche Mario Guarcello dell’Inaf di Palermo

     11/11/2021

Questa immagine mostra Ngc 1850, un ammasso di migliaia di stelle a circa 160mila anni luce di distanza nella Grande Nube di Magellano, una vicina della Via Lattea. Si ritiene che i filamenti rossastri che circondano l’ammasso, costituiti da vaste nubi di idrogeno, siano i resti di esplosioni di supernova. Tra le sue tante stelle, questo ammasso ospita un buco nero 11 volte più massiccio del Sole e una stella di cinque masse solari che gli orbita attorno. Crediti: Eso, Nasa/Esa/M. Romaniello

Utilizzando il Very Large Telescope dell’Eso, gli astronomi hanno scoperto un piccolo buco nero al di fuori della Via Lattea osservandone l’influenza sul moto di una stella nelle sue immediate vicinanze. Era nascosto all’interno di Ngc 1850, un ammasso di migliaia di stelle a circa 160mila anni luce di distanza da noi, nella Grande Nube di Magellano, una galassia vicina alla Via Lattea.

È la prima volta in cui questo metodo di rilevamento viene utilizzato per scovare la presenza di un buco nero al di fuori della nostra galassia. Il metodo potrebbe essere la chiave per svelare buchi neri nascosti nella Via Lattea e nelle galassie vicine e per aiutare a far luce su come questi misteriosi oggetti si formano ed evolvono.

«Come Sherlock Holmes che rintraccia una banda criminale sfruttandone i passi falsi, esaminiamo ogni singola stella di questo ammasso con una lente d’ingrandimento in mano, cercando di trovare qualche prova della presenza di buchi neri senza vederli direttamente», spiega la prima autrice di un articolo pubblicato oggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, Sara Saracino, astrofisica italiana oggi all’Astrophysics Research Institute della Liverpool John Moores University, nel Regno Unito. «Il risultato mostrato qui è solo uno dei criminali ricercati, ma quando ne hai trovato uno, sai di essere sulla buona strada per scoprirne molti altri, in diversi ammassi».

Il primo “criminale” rintracciato dall’equipe si è rivelato essere un oggetto circa 11 volte più massiccio del Sole. La prova schiacciante che ha messo gli astronomi sulle tracce di questo buco nero è stata la sua influenza gravitazionale sulla stella di cinque masse solari che gli orbita intorno.

Gli astronomi avevano finora individuato buchi neri così piccoli, di massa stellare, in altre galassie per mezzo del bagliore di raggi X emesso mentre ingoiano materia, o delle onde gravitazionali generate quando i buchi neri si scontrano tra loro o con stelle di neutroni. Tuttavia, la maggior parte dei buchi neri di massa stellare non rivela la propria presenza attraverso i raggi X o le onde gravitazionali. «La stragrande maggioranza può essere svelata solo dinamicamente», dice Stefan Dreizler, un membro dell’equipe con sede all’Università di Göttingen, in Germania. «Quando formano un sistema insieme con una stella, ne influenzano il moto in modo sottile ma rilevabile, quindi possiamo trovarli con strumenti sofisticati».

Rappresentazione artistica del buco nero compatto di 11 masse solari e della stella di 5 masse solari che gli orbita attorno scoperti in Ngc 1850, un ammasso di migliaia di stelle a circa 160mila anni luce di distanza da noi, nella Grande Nube di Magellano, vicino alla Via Lattea. La distorsione della forma della stella è dovuta all’attrazione gravitazionale esercitata dal buco nero, che influenza anche l’orbita della stella. Osservando questi sottili effetti orbitali, un team di astronomi è stato in grado di dedurre la presenza del buco nero, rendendolo il primo piccolo buco nero al di fuori della nostra galassia scoperto in questo modo. Crediti: Eso/M. Kornmesser

La scoperta in Ngc 1850 rappresenta la prima volta in cui un buco nero è stato trovato in un giovane ammasso stellare: ha solo circa 100 milioni di anni, un battito di ciglia su scale astronomiche. L’uso di questo metodo dinamico in ammassi stellari simili potrebbe svelare molti altri buchi neri giovani e gettare nuova luce su come si evolvono.

«Gli ammassi stellari di grande massa», spiega infatti a Media Inaf uno fra i coautori dello studio, Mario Guarcello dell’Inaf di Palermo, «ospitano un gran numero di stelle di massicce, spesso in sistemi binari o multipli. L’evoluzione di queste stelle è rapida, solo pochi milioni di anni, terminando nella produzione di un buco nero o di una stella a neutroni. Nonostante conosciamo diversi ammassi stellari che ospitano, o che hanno ospitato stelle massicce, abbiamo identificato solo pochi candidati buchi neri in amassi stellari vecchi diversi miliardi di anni, e molte di queste identificazioni sono controverse. La metodologia sviluppata in questo studio, con la quale è possibile identificare buchi neri in sistemi binari osservando segnali periodici di velocità radiali, permetterà di scoprire molti più buchi neri in ammassi stellari di quanto fatto finora, anche ammassi giovani come in questo caso».

«Questo sarà importante, ad esempio, per comprendere come la massa iniziale delle stelle massicce in sistemi binari viene mappata negli oggetti compatti prodotti al termine della loro evoluzione», prosegue Guarcello, «o qual è la distribuzione in massa iniziale degli oggetti compatti in ammassi stellari e se la formazione di buchi neri di massa intermedia in ammassi stellari è possibile, o qual è il loro ruolo nell’evoluzione degli ammassi stellare di grande massa». Inoltre, il censimento dei buchi neri negli ammassi stellari migliora la comprensione dell’origine delle sorgenti di onde gravitazionali.

Per compiere la ricerca, l’equipe guidata da Saracino ha utilizzato i dati raccolti in due anni con lo strumento Muse (Multi Unit Spectroscopic Explorer) montato sul Vlt dell’Eso, nel deserto cileno di Atacama. «Muse ci ha permesso di osservare aree molto affollate, come le regioni più interne degli ammassi stellari, analizzando la luce di ogni singola stella nelle vicinanze. Il risultato netto sono informazioni su migliaia di stelle in un colpo solo, almeno dieci volte di più rispetto a qualsiasi altro strumento», dice il secondo autore dello studio, Sebastian Kamann, esperto Muse di lunga data con sede presso l’Astrophysics Research Institute di Liverpool. Ciò ha permesso all’equipe di individuare la strana stella il cui movimento peculiare segnalava la presenza del buco nero. I dati dell’esperimento ottico sulle lenti gravitazionali dell’Università di Varsavia e del telescopio spaziale Hubble hanno permesso di misurare la massa del buco nero e confermare la scoperta.

Fonte: comunicato stampa Eso

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