I primi elementi chimici presenti nell’universo dopo il Big Bang sono stati idrogeno, elio, e, in percentuali estremamente basse, litio. Da quel momento, sono state le stelle, soprattutto quelle di grande massa, le principali responsabili dell’arricchimento chimico dell’universo. Le stelle, infatti, producono energia nei loro nuclei sintetizzando elementi chimici, che quindi vengono ridistribuiti nel mezzo interstellare quando queste terminano la loro evoluzione. Ne consegue che le prime stelle che hanno popolato l’universo si sono formate da un mezzo popolato quasi unicamente da idrogeno ed elio, mentre le stelle che si sono formate in epoche successive contengono percentuali crescenti di elementi più pesanti. È intuitivo quindi aspettarsi una relazione tra l’età delle stelle e la percentuale di elementi pesanti che le caratterizza, chiamata metallicità.
Una simile relazione offre un’opportunità importante per stimare l’età delle stelle, impresa spesso molto ardua. Tipicamente l’età di stelle non appartenenti ad ammassi stellari è stimata dall’analisi della loro attività magnetica o confrontando magnitudini e colori osservati con quelli previsti da modelli stellari evolutivi. Da entrambi i metodi, però, si ottengono stime di età spesso imprecise. Solo recentemente stime di età più precise possono essere ottenute da una tecnica chiamata asterosismologia, che consiste nello studiare i modi di oscillazione interni delle stelle. Questa tecnica, però, può essere applicata solo a poche stelle luminose per cui sono disponibili lunghe osservazioni fotometriche continuative.
Per studiare la validità della relazione tra metallicità ed età delle stelle, un team di ricercatori guidato dall’astronomo Alberto Rebassa-Mansergas (Departament de Física, Universitat Politècnica de Catalunya) – e del quale fa parte anche Jesus Maldonado dell’Inaf di Palermo – ha studiato un campione di sistemi binari non stretti composti da una nana bianca e una stella di sequenza principale. Questi particolari sistemi, infatti, si prestano a stime accurate sia di metallicità che di età. L’età del sistema può essere ottenuta sommando l’età della nana bianca e la durata dell’evoluzione della sua progenitrice (ossia la stella che terminando la sua evoluzione ha formato la nana bianca). L’età della nana bianca viene stimata dalla sua luminosità, assumendo delle ben note relazioni tra età e luminosità delle nane bianche che derivano dalla conoscenza dei processi di raffreddamento di questi oggetti. L’età della progenitrice può essere invece stimata dalla massa della nana bianca, dalla quale si deduce la massa della stella progenitrice, che a sua volta vincola il tempo di vita della stella. La metallicità del sistema è invece misurata direttamente da osservazioni spettroscopiche della componente del sistema binario in sequenza principale, assumendo che essa sia rappresentativa dell’intero sistema e che non ci siano stati trasferimenti di massa durante l’evoluzione del sistema binario (da qui la necessità di non includere nel campione studiato sistemi in orbite strette).
Il team di ricercatori ha selezionato 135 sistemi binari dai cataloghi dello Sloan Digital Sky Survey (Sdss) e dalla seconda data-release del satellite dell’Esa Gaia. Osservazioni spettroscopiche sono quindi state ottenute utilizzando vari telescopi. Il confronto tra età e metallicità misurata in questi sistemi non supporta l’esistenza di una relazione tra la metallicità delle stelle e la loro età: la distribuzione metallicità vs. età ottenuta dai ricercatori è infatti pressoché piatta e centrata sullo zero, con una dispersione in metallicità di quasi un ordine di grandezza.
Per saperne di più:
- Leggi su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society l’articolo “Constraining the solar neighbourhood age-metallicity relation from white dwarf-main sequence binaries”, di A. Rebassa-Mansergas, J. Maldonado, R. Raddi, A. T. Knowles, S. Torres, M. Hoskin, T. Cunningham, M. Hollands, J. Ren, B. T. Gaensicke, P.-E. Tremblay, N. Castro-Rodriguez, M. Camisassa e D. Koester