DI NUOVO SOTTO SCACCO L’IPOTESI “ACQUA LIQUIDA” SU MARTE

Un lago dai piedi d’argilla

La firma che il radar Marsis ha individuato nel sottosuolo di Marte non sarebbe quella dell’acqua liquida, come proposto da uno studio a guida italiana tre anni fa, bensì della smectite – un particolare tipo di argilla. Lo suggerisce uno studio pubblicato la settimana scorsa su Geophysical Research Letters

     06/08/2021

La calotta spessa molti chilometri del polo sud marziano (in alto) ha una base composta, almeno in parte, da un tipo di argille piuttosto comune, rinvenuto su quasi la metà della superficie del pianeta e, ora, ai bordi della calotta glaciale. Le misurazioni radar delle argille compiute in un laboratorio guidato da Isaac Smith e colleghi mostrano come queste argille possano offrire una spiegazione più semplice, rispetto a quella della presenza di acqua liquida, per i riflessi radar intensi osservati dallo strumento Marsis a bordo della sonda Mars Express. Crediti: Esa/Drl/Fu Berlin (in alto), Nasa(in basso)

Era successo qualche mese fa con la scoperta della fosfina nell’atmosfera di Venere, annunciata l’estate scorsa sulle pagine di Nature Astronomy, poi ripetutamente messa in dubbio da una serie di articoli di segno contrario apparsi nei mesi successivi. Ora la storia pare ripetersi con un’altra scoperta di grande risonanza mediatica: quella tutta “made in Italy” del lago d’acqua liquida nel sottosuolo di Marte, pubblicata su Science nell’estate del 2018 da un team di scienziati guidato da Roberto Orosei dell’Istituto nazionale di astrofisica. Appena un mese fa davamo notizia di segnali radar molto simili rilevati però in regioni del polo sud del Pianeta rosso troppo fredde per essere compatibili con la presenza d’acqua liquida. Tempo due settimane ed ecco che, di nuovo su Geophysical Research Letters, un secondo studio – condotto da scienziati d’istituzioni canadesi e statunitensi – sostiene di aver trovato come interpretare correttamente quegli eco radar: non acqua bensì argilla. Argilla smectica, per la precisione. Un materiale che si forma sì in presenza di acqua, ma che ne testimonierebbe la presenza in epoche passate, non al giorno d’oggi.

Il problema di fondo è che la “firma” lasciata da una sostanza nello spettro rilevato da un telescopio (è il caso della fosfina), così come quella intravista nei riflessi del segnale del radar italiano Marsis (ed è il caso dell’acqua marziana), è tutt’altro che un segno univoco. È spesso una traccia molto complessa, rumorosa, sporca. Una traccia che va decifrata e interpretata. E interpretarla è quasi un’arte. Occorre conoscere a fondo la fisica, la chimica e la geologia dell’ambiente da cui proviene, nonché il comportamento dello strumento che l’ha rilevata. Insomma, non c’è da stupirsi se queste scoperte vengono messe continuamente in discussione, e se l’ago della bilancia oscilla per anni – a volte per decenni – fra ipotesi in contrasto fra loro. È così che procede la scienza: con sano scetticismo.

Vediamo dunque cos’è che ha reso scettico il team di scienziati guidato da Isaac Smith della York University canadese, nonché ricercatore al Planetary Science Institute di Lakewood (Colorado, Usa), convincendolo a propendere per la presenza di smectite, più che di acqua liquida, nel sottosuolo della regione del Pianeta rosso scandagliata dal radar della sonda europea Mars Express. Anzitutto una serie di misure compiute in laboratorio, alla York University, sulle caratteristiche radar delle smectiti, sia a temperatura ambiente che a temperature criogeniche – quali sono appunto quelle marziane. Misure compiute, sottolineano i ricercatori, tenendo conto sia della parte reale che di quella immaginaria – cruciale, quest’ultima, per identificare la risposta delle argille – della costante dielettrica. I risultati sarebbero in buon accordo con i dati raccolti da Marsis. Oltre a ciò, le simulazioni mostrano che la presenza di argille ghiacciate riuscirebbe a spiegare bene, anche da un punto di vista quantitativo, l’intensità degli echi radar raccolti da Marsis. Infine, ci sono circostanze – a partire dalle basse temperature – che renderebbero improbabile, a giudizio degli autori dello studio, la presenza di acqua allo stato liquido – al contrario dell’argilla, presente in parecchie regioni del polo sud marziano.

«Abbiamo così la tripletta», conclude Smith. «Primo, abbiamo misurato le proprietà dielettriche di materiali che sono noti per essere presenti su oltre il 50 per cento della superficie di Marte e abbiamo scoperto che hanno valori molto alti. Secondo, abbiamo modellato come questi valori avrebbero risposto nelle condizioni del polo sud di Marte, e abbiamo scoperto che combaciavano bene con le osservazioni radar. Terzo, abbiamo dimostrato che al polo sud questi minerali ci sono. La teoria dell’acqua liquida richiedeva quantità incredibili di calore – da sei a otto volte superiore a quello fornito da Marte – e più sale di quello disponibile, dunque era già poco plausibile. Le argille possono invece spiegare le osservazioni senza bisogno di altro».

Ma la storia non finisce qui: il team guidato dagli scienziati italiani, interpellato da Media Inaf, fa sapere di essere già al lavoro per controbattere. Appuntamento dunque alla prossima puntata.

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