COMUNICAZIONE DELL’ASTROBIOLOGIA

La fosfina della discordia

La settimana che si è appena conclusa ha visto l’Unione astronomica internazionale protagonista, suo malgrado, di un dibattito inconsueto entro la comunità degli astrobiologi sul modo in cui comunicare le scoperte scientifiche. Proviamo a ripercorrerne le tappe principali

     11/10/2020

La prima pagina dello Statement poi rimosso

Ricordate la fosfina, la molecola vista (forse) nell’atmosfera di Venere? Quella che fra quattro giorni – giovedì 15 ottobre – anche la sonda BepiColombo proverà a rilevare? Quella che potrebbe indicare la presenza di forme di vita microbica extraterrestre? Una molecola luciferina, aveva scritto nel suo editoriale su Media Inaf l’astrofisico Víctor Manuel Rivilla Rodríguez. Mai definizione fu più azzeccata: la settimana scorsa la fosfina è riuscita a scatenare l’inferno attorno a una fra le istituzioni più gentili e pacate che esistano – l’Unione astronomica internazionale (Iau). Un organismo il cui unico “peccato” era stato finora quello di aver cancellato Plutone dall’empireo dei pianeti. E che ora si è invece trovata costretta a cancellare un articolo – anzi, un vero e proprio statement – dal proprio sito.

La dichiarazione incriminata s’intitola “Statement from Commission F3 (Astrobiology) of the Iau on Press Reports regarding Detection of Phosphine in Venus”. Inutile che proviate a cliccarla: vi uscirà un perentorio “404 Not Found” (ma l’inesorabile memoria della rete conserva una copia del pdf). Il succo della dichiarazione era che i risultati sulla fosfina sono stati riportati ai media in modo un po’ troppo disinvolto, portando alcune testate giornalistiche a dire che sono state trovate prove della vita su Venere e finendo così per fuorviare il pubblico, rischiando di arrecare danno alle ricerche in campo astrobiologico. Firmato, appunto: Commissione F3 della Iau.

Lo Statement era datato 5 ottobre, ed era andato online il 7. Le reazioni non si sono fatte attendere. Una fra le prime è stata quella dell’astrofisico e divulgatore britannico Chris Lintott, che nell’arco di poche ore ha pubblicato un’impietosa disamina.

Le criticità messe in evidenza da Lintott sono essenzialmente tre. Primo, l’inconsuetudine di un simile intervento da parte di una commissione Iau. Secondo, il fatto che fosse firmato a nome della Commissione F3 benché non ci sia stata una consultazione di chi ne fa parte, anzi: il testo sarebbe opera del solo Organizing Commitee (formato da sette persone), e molti degli oltre duecento scienziati che fanno parte della Commissione ne sono venuti al corrente solo a pubblicazione avvenuta. Terzo, la visione che emerge dallo Statement di una comunicazione della scienza (e di una scienza tout court) nella quale non c’è posto per la speculazione, per l’eccitazione verso ciò che non si conosce – una visione nella quale il pubblico deve essere “protetto” dallo spettacolo che offre la scienza nel suo progredire.

Appena qualche ora più tardi, siamo alla mattina dell’8 ottobre, è il turno di un altro astronomo inglese di rilievo, Robert Massey, deputy executive director della Royal Astronomical Society, che in quanto coinvolto in prima persona nella comunicazione del risultato pubblicato il 14 settembre su Nature Astronomy si è sentito direttamente chiamato in causa dallo Statement.

«Sono amareggiato dalla dichiarazione della Commissione F3 della Iau, che attacca gli autori dell’articolo sulla fosfina su Venere e gli sforzi che abbiamo compiuto per promuovere in modo responsabile un risultato scientifico entusiasmante», ha twittato Massey, difendendo il lavoro suo e dei suoi colleghi e sottolineando come, in realtà, la maggior parte dei media – almeno quelli principali – abbia riportato la notizia correttamente.

Tempo due ore e lo Statement è stato rimosso dalla pagina della Commissione F3, con tanto di dichiarazione ufficiale da parte della Iau circa la vera paternità del documento: non la Commissione F3, bensì – appunto – solo il suo Organizing Committee. Dichiarazione resa più esplicita ieri, sabato 10 ottobre, in un post di chiarificazione con il quale la Iau mette la parola fine all’intera vicenda, ribadendo che lo Statement non riflette il punto di vista della Iau, che contiene tratti non in linea con il codice di condotta dell’organizzazione e che verrà messa a punto una procedura per la comunicazione per evitare in futuro il ripetersi di circostanze simili.

Ma come e perché venne scritto, quello Statement? Lo abbiamo chiesto a John Robert Brucato, astrobiologo all’Inaf di Arcetri, membro della Commissione F3 della Iau e anch’egli fra le persone non interpellate ma informate solo a decisione già resa pubblica. «Io credo che l’intenzione fosse non tanto quella di screditare il lavoro dei colleghi che hanno individuato la fosfina su Venere, ma di contenere gli entusiasmi sulla possibile presenza di vita altrove. La forte concorrenza internazionale su questi temi di grande visibilità ha portato in passato a esagerare la portata dei risultati scientifici presentandoli in termini troppo definitivi (vedi meteorite marziano Alh 84001 o batteri con arsenico al posto del fosforo nel lago Mono Lake)».

«Il messaggio voleva rivolgersi alla stampa e al pubblico – qualsiasi risultato di una ricerca deve essere verificato da altri ricercatori con prove rigorose – ma anche ai ricercatori per la responsabilità che hanno nel divulgare i risultati della loro attività di ricerca», ricorda Brucato. «I colleghi autori dell’articolo su Nature Astronomy hanno condotto una ricerca rigorosa, non ho alcun dubbio su questo. Loro stessi infatti nella pubblicazione dicono “… sottolineiamo che il rilevamento di PH3 non è una prova robusta della presenza di  vita….”. Quindi non possono essere accusati di aver amplificato in maniera ingiustificata i loro risultati».


Correzione del 12.10.2020: il meteorite del penultimo paragrafo è Alh 84001, non Alh 86001 come precedentemente scritto.