PRESENTATI I PRIMI RISULTATI AL MEETING DELLA ROYAL ASTRONOMICAL SOCIETY

Tête-à-tête con la coda della cometa Atlas

Il telescopio spaziale Solar Orbiter ha incrociato la cometa C/2019 Y4 (Atlas) nei primi di giugno del 2020, studiandola in dettaglio con quattro dei suoi dieci strumenti per comprendere i meccanismi di formazione della sua coda ionica prima che andasse completamente distrutta. I risultati di quell’incontro mostrano come l’interazione del vento solare con il corpo celeste forgi questo tipo di coda. Tra i ricercatori coinvolti nello studio, in uscita su A&A, c’è il fisico solare Lorenzo Matteini, ricercatore all’Imperial College di Londra e associato Inaf. Lo abbiamo intervistato

     27/07/2021

I frammenti della cometa C/2019 Y4 Atlas  nell’immagine scattate dal telescopio Hubble il 20 aprile scorso. Crediti: Nasa, Esa, David Jewitt (Ucla), Quanzhi Ye (Università del Maryland)

Vi ricordate la cometa C/2019 Y4 (Atlas), il corpo celeste scoperto il 28 dicembre 2019 e andato in frantumi l’anno successivo prima ancora di passare a farci visita?

L’oggetto celeste, proveniente dalla fascia di Kuiper, è stato osservato disintegrarsi da diversi strumenti da Terra e dallo spazio. Uno fra tutti il telescopio spaziale Hubble, che ne ha immortalato i cocci in due immagini molto nitide catturate nell’aprile 2020. Ma c’è stato anche chi la cometa l’ha avvicinata, passando attraverso la scia di polveri e gas lasciata dal corpo celeste dietro di sé lungo la sua orbita, poco prima del massimo avvicinamento al Sole. Stiamo parlando di Solar Orbiter, la sonda dell’Agenzia spaziale europea dedicata allo studio della nostra stella.

Solar Orbiter ha incrociato la cometa in frantumazione i primi di giugno del 2020, quando la navicella spaziale si trovava a una distanza di circa 0.5 unità astronomiche dal Sole. Un incontro, questo con  C/2019 Y4 (Atlas), che ha offerto ai ricercatori l’opportunità unica di studiare la struttura e la composizione della cosiddetta coda ionica utilizzando alcuni dei dieci strumenti a bordo del satellite. Di questo tête-à-tête sono ora disponibili i risultati, presentati il 19 luglio scorso alla sessione pomeridiana del National Astronomy Meeting della Royal Astronomical Society: una ricostruzione dettagliata – in pubblicazione in una special issue della rivista Astronomy & Astrophysics dedicata ai risultati di Solar Orbiter – del modo in cui il vento solare forma questo tipo particolare di coda interagendo con la cometa. Lorenzo Matteini, ricercatore e lecturer all’Imperial College di Londra e associato Inaf, è nel team di ricerca che ha analizzato i dati della sonda. Lo abbiamo intervistato.

Lorenzo Matteini, ricercatore all’Imperial College di Londra e primo autore del lavoro in uscita nella special issue della rivista Astronomy & Astrophysics sui primi risultati di Solar Orbiter

Matteini, cos’è esattamente una coda ionica?

«Le comete hanno tipicamente due code distinte: la prima è formata da polveri, è più brillante e ha la classica forma curva che conosciamo; la seconda, in genere un po’ più debole e difficile da scorgere, è formata dal gas ionizzato della cometa e punta sempre in direzione opposta al Sole, come una bandierina al vento. È infatti proprio un vento – il cosiddetto vento solare, il flusso di particelle cariche (plasma) continuamente emesso dal Sole e che si spande in tutto il Sistema solare – che ne determina l’esistenza. Quando il vento solare incontra un ostacolo, come una cometa, le linee del campo magnetico solare trasportate dal vento si piegano e avvolgono l’ostacolo con una specie di “drappeggio”. Allo stesso tempo, mentre la cometa si scalda avvicinandosi al Sole, il suo nucleo ghiacciato rilascia continuamente ioni che possono quindi scappare via lungo le linee di campo magnetico in cui sono avvolti. Questi due effetti (drappeggio e ionizzazione) danno luogo alla caratteristica seconda coda delle comete, la coda di ioni».

Quali sono gli strumenti con cui Solar Orbiter ha studiato questa interazione?

«Per questo studio ci siamo avvalsi di tutti gli strumenti cosiddetti in-situ a bordo di Solar Orbiter: il magnetometro Mag, costruito dal mio gruppo all’Imperial College di Londra, che misura il campo magnetico del vento solare; l’analizzatore di plasma Swa, che vede anche un importante contributo Inaf; le antenne dello strumento Radio Plasma Wave (Rpw), che misura il campo elettrico e le onde ad alta frequenza; e infine il rivelatore di particelle energetiche (Epd) che misura le particelle energetiche, tra cui anche i possibili ioni cometari. Sono tutti strumenti ad alta risoluzione il cui scopo è lo studio del plasma della corona e del vento solare – il mio principale campo di ricerca. Ma la loro versatilità e precisione permette di descrivere bene anche altri fenomeni interplanetari e sfruttare al meglio le scoperte occasionali, come nel caso dell’incontro con Atlas».

Schema dell’interazione tra il vento solare e la coda di gas ionizzato della cometa C/2019 Y4 (Atlas) prodotto analizzando i dati della sonda Solar Orbiter dell’Esa. Crediti: L. Matteini / Imperial College London

Cosa è successo durante l’incontro di Solar Orbiter con la cometa?

«Bisogna sottolineare come quello con la coda della cometa Atlas, sia stato un incontro fortuito, avvenuto poco dopo il lancio di Solar Orbiter, nel febbraio 2020, e che si discosta dai principali scopi scientifici della missione. Dobbiamo quindi ringraziare l’Esa perché, nonostante gli strumenti fossero ancora in una fase di calibrazione, ha permesso di portare avanti una dettagliata campagna osservativa di questo evento “fuori programma”. D’altra parte questa è la prima volta in cui abbiamo potuto misurare la struttura di una coda cometaria così vicino al Sole: Atlas si trovava a circa un quarto della distanza Terra-Sole (1 Ua = 150 milioni di km), mentre Solar Orbiter era vicino al suo primo perielio, a 0.5 Ua, ben all’interno l’orbita di Venere per rendere l’idea. Inoltre, come indicato dalle immagini dirette di Atlas riprese dal telescopio spaziale Hubble, il nucleo della cometa si è disintegrato appena prima dell’incontro. Questo ha reso lo studio ancora più interessante e lo sforzo sembra essere stato ben ripagato».

 Cosa ci dicono i dati raccolti?

«I dati di Solar Orbiter relativi all’inizio di giugno 2020 confermano che il satellite lungo la sua orbita ha attraversato la coda della cometa Atlas. Abbiamo identificato i segnali del “drappeggio” nel campo magnetico e ci sono tracce di ioni pesanti compatibili con ossigeno rilasciato dalla cometa. La struttura osservata è coerente con i modelli teorici che prevedono una coda magnetica con due lobi di polarità opposta, avvolti attorno a un asse centrale con campo magnetico significativamente più debole, ma composto da un plasma molto più denso. Questo conferma che una struttura magnetica di questo tipo per la coda ionica persiste a grande distanza dal nucleo, anche nel caso di comete disintegrate.
Inoltre, grazie al magnetometro Mag, abbiamo potuto identificare una varia gamma di persistenti fluttuazioni elettromagnetiche attorno alla regione della coda, che abbiamo interpretato come onde di plasma generate nel vento solare direttamente dagli ioni rilasciati dalla cometa. Le proprietà di queste onde sono in ottimo accordo con le previsioni teoriche che abbiamo effettuato già in passato con simulazioni numeriche. Per concludere, quindi, questo evento unico nel suo genere ci aiuterà a capire meglio l’interazione del vento solare con le comete e la struttura della loro coda di ioni. Inoltre, poiché l’avventura di Solar Orbiter attorno al Sole è appena cominciata, non è da escludersi che altri eventi di questo genere si ripropongano nel futuro prossimo».