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A caccia di meduse nel mare cosmologico

Un nuovo progetto di citizen science invita il pubblico a visionare e classificare 38mila di immagini tratte da una simulazione cosmologica in cerca delle rare “galassie medusa”, la cui forma caratteristica è segno di un passato turbolento e burrascoso. Lanciato la scorsa settimana da un gruppo di ricerca del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, il progetto conta già quasi duemila volontari

     08/06/2021

Dodici esempi di “galassie medusa” che i volontari possono possono classificare nell’ambito del progetto Cosmological jellyfish. Crediti: IllustrisTng Collaboration

Con l’inizio della bella stagione, iniziano anche gli avvistamenti di meduse, ormai sempre più abbondanti lungo le nostre coste. Ma non è degli animali tanto temuti dai bagnanti che tratta il nuovo progetto Cosmological jellyfish lanciato la scorsa settimana sulla piattaforma di citizen science Zooniverse: parliamo invece delle galassie medusa, in inglese jellyfish, un tipo particolare di galassie – molto più rare dei loro analoghi acquatici – con una o più code di stelle e gas orientate in una direzione preferenziale, il cui aspetto ricorda i tentacoli di una medusa.

È un progetto di scienza partecipata e dunque aperto a tutti. A lanciarlo, un gruppo di ricercatrici e ricercatori che si interrogano sull’origine di queste galassie, guidato dall’italiana Annalisa Pillepich del Max Planck Institute for Astronomy di Heidelberg, in Germania. L’occhio umano è ancora uno strumento insuperabile per identificare forme uniche come queste, e più occhi si hanno a disposizione, meglio è. Chiunque, senza aver bisogno di conoscenze specialistiche di astronomia, può accedere alla piattaforma e visionare centinaia o migliaia di immagini per aiutare il team a scovare le “meduse cosmologiche” in una simulazione numerica della formazione ed evoluzione di galassie nel corso della storia dell’universo.

«La reazione al lancio del progetto è stata sorprendentemente positiva», racconta Pillepich a Media Inaf. «Dopo appena una settimana, ci sono più di 1700 partecipanti che hanno fatto più di 500mila classificazioni complessivamente. Noi avremmo bisogno che vengano analizzate circa 38mila galassie dalle nostre simulazioni e che ognuna di esse venga classificata da 20 ispettori».

Partecipare è semplicissimo: basta recarsi sulla pagina web del progetto sul sito di Zooniverse e seguire le istruzioni. Un breve tutorial guida passo a passo i volontari nell’identificazione delle galassie medusa, che possono presentarsi con morfologie molto diverse tra loro: le code possono essere molto prominenti ma anche fioche e difficili da distinguere dal rumore di fondo. Non bisogna preoccuparsi se nessuna delle galassie visionate somiglia a una medusa: la maggior parte delle immagini, infatti, non rappresenta questo tipo di galassie. Attenzione anche alle code simmetriche in due direzioni, oppure quelle separate dal corpo centrale della galassia, o ancora alle galassie che stanno interagendo tra loro – tutti oggetti che possono trarre in inganno.

«La partecipazione dei volontari ci permetterà di avere un’etichetta – jellyfish: si o no – per un campione di galassie simulate molto, molto più grande di quello che saremmo riusciti a ottenere se solo noi del team avessimo ispezionato visivamente le immagini», aggiunge Pillepich. «Un campione più grande significa un campione di galassie che includono oggetti in un range molto più vasto di massa galattica, di massa dei gruppi e ammassi a cui le galassie appartengono, di tempo e di distanze».

Un’immagine composita della struttura radio a forma di medusa scoperta nell’ammasso di galassie Abell 2877. Crediti: Torrance Hodgson, Icrar/Curtin University

Le galassie medusa si trovano negli ammassi di galassie, le più grandi strutture nell’universo tenute insieme dalla gravità. Oltre a migliaia di galassie, questi ammassi contengono enormi quantità di gas intergalattico che raggiunge temperature di milioni di gradi, ed è proprio l’interazione tra gas e galassie, che si muovono ad alta velocità attraverso l’ammasso, a creare le complesse e molteplici forme dei filamenti che caratterizzano questa rara e peculiare categoria di oggetti cosmici.

Molti dettagli di questo processo sono però ancora poco chiari. Non si sa, ad esempio, se le galassie medusa si formino solo in ammassi molto massicci, o se possiamo aspettarci di trovarne qualcuna anche non lontano dalla nostra galassia, la Via Lattea. Diversi misteri circondano anche la formazione delle code – i cosiddetti ‘tentacoli’, permeati da campi magnetici – e il loro tempo di vita medio, nonché gli effetti sul gas e sulle galassie stesse. Le simulazioni numeriche vengono in aiuto, riproducendo un universo virtuale in cui valgono le stesse leggi fisiche di quello reale e si può ricostruire la storia di formazione ed evoluzione delle galassie.

Il team guidato da Pillepich studia le galassie medusa in due simulazioni cosmologiche sviluppate dal progetto IllustrisTng, le prime simulazioni a catturare la comparsa di questo fenomeno. Una prima classificazione di galassie medusa in queste simulazioni è stata pubblicata nel 2019, in uno studio pilota guidato da Kiyun Yun, uno dei dottorandi del gruppo: in quello studio, i membri stessi del team avevano identificato a occhio nudo 800 galassie medusa tra 2600 candidati preselezionati. Ma si tratta solo di una frazione dei dati disponibili nell’enorme volume coperto dalle due simulazioni – due cubi i cui lati misurano rispettivamente oltre 160 milioni e oltre 320 milioni di anni luce.

Con la partecipazione dei volontari, il censimento delle galassie medusa permetterà al team di estendere la statistica per studiare la presenza o assenza di queste galassie in funzione di una serie di parametri fisici prima inesplorati, per cercare di capire in quali condizioni sia più forte, sulle galassie, il fenomeno di ram-pressure stripping, ovvero quel processo secondo cui la pressione esercitata sulla galassia che si muove attraverso il gas intergalattico strappa via il gas che pervade la galassia stessa. «Tutto questo», spiega Pillepich, «ci aiuterà a capire meglio e in maniera più quantitativa come le galassie evolvono – e smettono di formare stelle – quando si trovano a orbitare in ambienti molto densi e complessi come quelli dei gruppi e ammassi di galassie».

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