SI AVVICINÒ ALLA VIA LATTEA FINO A VENIRNE INGLOBATA

Icarus, la galassia che osò troppo

Oltre dieci miliardi di anni fa, una galassia con circa un miliardo di stelle si fuse con la nostra. Oggi Paola Re Fiorentin, Alessandro Spagna e Mario G. Lattanzi, ricercatori dell’Inaf, in collaborazione con Michele Cignoni dell'Università di Pisa, hanno individuato nella Via Lattea, la nostra galassia, un gruppo di stelle appartenenti a quella galassia primordiale, dandole il nome Icarus, in analogia con l’omonimo personaggio del mito greco che osò avvicinarsi troppo al Sole. Lo studio su ApJ Letters

     20/01/2021

A sinistra: le stelle di Icarus tra altri stream noti e stelle appartenenti all’alone locale, entro una sfera di circa 8mila anni luce centrata sul Sole, nello spazio di velocità del diagramma Toomre. A destra, la caduta di Icaro, affresco di Sebastiano Luciani detto del Piombo (1511), alla Loggia di Galatea della Villa Farnesina di Roma. Crediti: Re Fiorentin et al. 2020 / Lucco M., L’opera completa di Sebastiano del Piombo, Milano 1980, tav. XIX A

Combinando i dati astrometrici e spettroscopici di alta qualità della missione spaziale Gaia e delle campagne osservative con telescopi da Terra Apogee e Galah, un team di ricerca guidato da Paola Re Fiorentin dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) ha studiato un campione di 437mila stelle della nostra galassia, dal quale ha selezionato un sottoinsieme di 1137 stelle appartenenti all’alone locale, entro una sfera di circa 8mila anni luce centrata sul Sole. Successivamente, attraverso un’accurata analisi statistica della loro distribuzione di velocità, gli scienziati hanno identificato otto gruppi cinematici, i cosiddetti “stream”, formati da stelle che si muovono nelle stesse direzioni con moti coerenti. Uno di questi gruppi contiene 44 stelle con orbite molto simili a quella del nostro Sole e che – a prima vista – potrebbero essere confuse con normali stelle appartenenti al disco della Via Lattea. In realtà questo gruppo è formato da stelle molto più vecchie di quelle nate nel disco della nostra galassia. Il confronto con simulazioni numeriche ad alta risoluzione indicherebbe che queste stelle sono state rilasciate da una galassia nana con una massa di circa un miliardo di masse solari “caduta” nel proto-disco della Via Lattea oltre 10 miliardi di anni fa. Re Fiorentin e i suoi tre colleghi autori della scoperta hanno deciso di chiamare questo nuovo stream Icarus per ricordare l’omonimo personaggio del mito greco che volando troppo vicino al Sole, perse le sue ali e precipitò in mare. Le 44 stelle che costituiscono lo stream derivano infatti da una galassia nana satellite che si è avvicinata troppo alla Via Lattea che ne ha “strappato” e assorbito le stelle, ora completamente disperse nell’oceano delle stelle del disco.

«Sappiamo che le galassie si formano attraverso fusioni di galassie più piccole, resti di galassie più vecchie sono spesso stati individuati nell’alone della Via Lattea. Ma è necessario guardare anche le parti più centrali dell’alone della Via Lattea, che sono inglobate anche in profondità all’interno del suo disco», spiega Re Fiorentin, ricercatrice Inaf a Torino. «Per separare le stelle appartenenti a Icarus da quelle della Via Lattea, abbiamo esaminato dettagliatamente la composizione chimica e i movimenti di decine di migliaia di stelle. In particolare, le stelle di Icaurs sono confinate in una fascia poco più di tremila anni luce centrata nel piano Galattico e ruotano con una velocità media di 231 chilometri al secondo, molto simile a quella delle stelle giovani del nostro disco Galattico. Tuttavia, la composizione chimica e l’età di queste stelle non è coerente con le abbondanze previste per stelle native della nostra galassia».

Dall’alto a sinistra, in senso orario: Paola Re Fiorentin, Alessandro Spagna, Michele Cignoni, Mario G. Lattanzi

«Grazie alla disponibilità delle accurate misure di Gaia», aggiunge Michele Cignoni, «abbiamo potuto determinare la luminosità intrinseca delle stelle di Icarus e stabilire che sono stelle molto vecchie, di età superiori a 10 miliardi di anni. Chiaramente ciò esclude che questo gruppo cinematico sia formato da stelle native. Queste stelle sono così diverse che potrebbero provenire solo da un’altra galassia».

«Da diverso tempo sono stati scoperti stream stellari di alone con orbite controrotanti e con orbite prograde ad alta inclinazione», precisa Alessandro Spagna, anch’egli in forza all’Inaf di Torino. «Inoltre, proprio recentemente sono stati individuati anche alcuni stream con orbite prograde ad inclinazione intermedia, ma questa è la prima scoperta di uno stream la cui orbita è confinata nel disco della Via Lattea. L’identificazione di stelle rilasciate da galassie satelliti in questi casi è un’impresa particolarmente ardua, poiché sono difficili da distinguere, essendo dominate in numero dalle stelle di disco in situ. È un po’ come cercare il famoso ago nel pagliaio».

«Nonostante le difficoltà», sottolinea Mario G. Lattanzi, sempre della sede Inaf di Torino, «questo risultato è stato possibile grazie all’altissima qualità dei dati astrometrici del catalogo Gaia e alle survey spettroscopiche Apogee e Galah. Combinando questi dati, siamo riusciti a determinare velocità 3D con errori inferiori a 0,5 chilometri al secondo. Si tratta di valori impensabili fino a pochi mesi fa per campioni stellari così grandi. Un risultato che premia il lavoro ultradecennale di preparazione, operazioni e analisi dati della missione spaziale Gaia dell’Esa che ha coinvolto l’Italia insieme a molti Paesi della Comunità Europea».

Questo studio dimostra il ruolo determinante della sinergia tra survey spaziali e progetti spettro-fotometrici da Terra.  Il team è già al lavoro per confermare questa scoperta con un campione di stelle ancora più vasto e preciso con cui identificare altri membri di Icarus fino a distanze maggiori.

«Non vediamo l’ora», conclude Re Fiorentin, «di poter ulteriormente estendere i nostri studi con le prossime data release di Gaia. Aspettiamo la Gaia Dr3 e Dr4 per i prossimi anni: i dati miglioreranno di ben cinque volte già con la Dr3».

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