SU NATURE ASTRONOMY I RISULTATI DELLE ANALISI DELLO STRUMENTO NIRS3

Così Ryugu ha perso la sua acqua

Osservazioni condotte con Hayabusa2 suggeriscono che l’asteroide sia meno ricco d’acqua di quel che si stimava. Secondo un recente studio basato sui dati spettroscopici raccolti dalla sonda della Jaxa, le sue rocce avrebbero perso gran parte dell’acqua ancor prima che Ryugu si formasse a partire da un corpo progenitore. Con il commento di Anna Galiano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma e coautrice dello studio

     11/01/2021

Il mese scorso la sonda Hayabusa-2 della Jaxa, l’agenzia spaziale giapponese (Jaxa), ha lasciato cadere dallo spazio la capsula contenente la preziosa polvere dell’asteroide Ryugu. In attesa dei risultati delle prime analisi, già iniziate presso il Sagamihara Campus Research Laboratory Building della Jaxa, i ricercatori hanno ottenuto nuovi dettagli sul passato di questo antico fossile del Sistema solare grazie ai dati di telemetria raccolti durante l’avvicinamento della sonda all’asteroide.

Rappresentazione artistica della sonda Hayabusa2 durante il touchdown sull’asteroide Ryugu. Crediti: Jaxa

In particolare, uno studio pubblicato la scorsa settimana su Nature Astronomy, a cui hanno preso parte anche alcuni ricercatori Inaf, riporta le analisi delle osservazioni – compiute dallo strumento Near-Infrared Spectrometer (Nirs3) a bordo della sonda – delle rocce superficiali e del sottosuolo di Ryugu. Ciò è stato possibile grazie ai rendezvous con Ryugu avvenuti giorni dopo l’esperimento di impatto artificiale del 5 aprile 2019, quando dal veicolo spaziale venne sparato un proiettile così da creare un piccolo cratere e consentire la raccolta di materiale “fresco” sotto la superficie.

Prima di acquisire con successo il prezioso materiale l’11 luglio 2019, il “falco pellegrino” – questa la traduzione in italiano del nome della sonda – ha eseguito tre operazioni di avvicinamento, in giorni diversi, per condurre un’indagine dettagliata del cratere prodotto. Durante questi rendezvous, lo spettrometro Nirs3 ha acquisito gli spettri delle rocce, comprese quelle del sottosuolo portate in superficie dall’impatto. I ricercatori hanno potuto così confrontare il contenuto d’acqua nei minerali in superficie con quello dei minerali nel sottosuolo dell’asteroide.

Uno dei motivi per cui Ryugu è stato scelto come destinazione della missione spaziale Hayabusa-2 ha infatti a che fare con il suo contenuto in acqua: il corpo appartiene a una classe di asteroidi di colore scuro che gli scienziati sospettano contenga minerali e composti organici in cui è abbondante la presenza dell’OH, il gruppo chimico che costituisce la struttura della molecola d’acqua.

«Una delle cose che stiamo cercando di capire è la distribuzione dell’acqua nel Sistema solare primitivo e come questa potrebbe essere stata consegnata alla Terra», spiega Ralph Milliken, scienziato planetario alla Brown University (Usa) e coautore dello studio. «Si ritiene che gli asteroidi portatori d’acqua abbiano avuto un ruolo in questo, quindi studiando Ryugu da vicino, e restituendo campioni da esso, possiamo comprendere meglio l’abbondanza e la storia dei minerali contenenti acqua su questi tipi di asteroidi».

I risultati delle precedenti osservazioni compiute da Hayabusa2 suggeriscono tuttavia che Ryugu potrebbe non essere così ricco di minerali idrati come gli scienziati si aspettavano inizialmente. Per spiegare questo ridotta presenza di acqua sul corpo celeste ci sono diverse ipotesi.

L’asteroide Ryugu immortalato dalla sonda Hayabusa-2. Crediti: Jaxa

La prima è che l’acqua presente oggi su Ryugu sia quella rimasta nell’asteroide progenitore del corpo celeste, in passato più ricco della molecola, ma che si è prosciugata nel tempo a causa di un qualche tipo di evento termico. La seconda è che Ryugu si sia prosciugato in seguito a una catastrofica disgregazione dovuta ad un impatto, dopo il quale si è riformato dalle macerie. La terza, infine, è che Ryugu abbia perso la sua acqua semplicemente per via di processi radiativi superficiali dovuti all’avvicinamento al Sole nel suo passato.

Un indizio può essere ottenuto confrontando il contenuto d’acqua delle rocce superficiali con quelle del sottosuolo dell’asteroide. Confronto che, dicevamo, è stato possibile compiere grazie alle analisi spettroscopiche delle rocce del cratere artificiale. «Il riscaldamento dovuto al Sole si manifesterebbe principalmente in superficie e non nel sottosuolo», osserva a questo proposito Milliken. «Ma quello che vediamo è che la superficie e il sottosuolo sono abbastanza simili ed entrambi sono relativamente poveri di acqua, il che ci riporta all’idea che sia stato il corpo progenitore di Ryugu a subire l’alterazione termica».

«La debole banda associata all’OH negli spettri di Ryugu suggerisce che il materiale primordiale che componeva l’asteroide ha inizialmente subito un’alterazione acquosa per poi essere sottoposto ad un processamento termico tale da provocare la perdita di H2O e la parziale rimozione del gruppo OH nei fillosilicati. Esperimenti hanno dimostrato come questo risultato si ottiene riscaldando campioni di fillosilicati ricchi in Mg a temperature superiori a 300°C ed inferiori a 700°C», aggiunge Anna Galiano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma e coautrice dell’articolo su Nature Astronomy.

Anna Galiano, ricercatrice all’Inaf Iaps di Roma

«La presenza della debole banda dell’OH anche negli spettri della sottosuperficie di Ryugu è indicativa del raggiungimento di tali temperature a un metro di profondità dalla superficie: la causa di questa alterazione termica è da ricondurre molto probabilmente al riscaldamento radiogenico e al riscaldamento provocato da impatti sul corpo genitore di Ryugu. Questi risultati non fanno altro che rafforzare la somiglianza spettrale tra Ryugu e le condriti carbonacee alterate da processi termici o di shock», continua la ricercatrice, riferendosi al fatto che gli scienziati ritengono possibile che Ryugu sia il corpo progenitore di una particolare famiglia di meteoriti scuri, contenenti acqua e carbonio trovati sulla Terra e noti appunto come condriti carbonacee.

Non solo: dagli spettri si evince anche una diversa composizione dei fillosilicati costituenti l”asteroide. «Gli spettri della sottosuperficie di Ryugu presentano una debole banda di assorbimento dovuta all’OH nei fillosilicati, esattamente come gli spettri della superficie, ma con la differenza che la banda è leggermente più intensa e con un centro banda posizionato a lunghezze d’onda più corte rispetto alla banda delle aree superficiali. Da esperimenti di laboratorio, si evince che lo spostamento di tale banda può essere connesso ad un diverso rapporto di Fe/Mg nei fillosilicati», spiega infatti Galiano, «portando alla conclusione che la sottosuperficie di Ryugu è più ricca di fillosilicati di magnesio rispetto alla superficie. Questa differenza composizionale tra superficie e sottosuperficie può essere dovuta allo space weathering a cui un corpo privo di atmosfera come Ryugu è sottoposto. In particolare, l’irraggiamento di ioni provenienti dal vento solare tende a rimuovere più facilmente il magnesio (più volatile rispetto al ferro) nei fillosilicati in superficie».

Tuttavia, spiegano i ricercatori, per confermare la scoperta sono necessari ulteriori dati. Come quelli che arriveranno dalle analisi sui campioni riportati a terra dalla capsula della missione Hayabusa-2, grazie ai quali gli scienziati potranno confrontare i risultati.

«La capsula rilasciata sulla Terra da Hayabusa2 lo scorso dicembre conteneva un totale di 5.4 g di materiale raccolto su Ryugu: una quantità enorme, considerando che lo scopo era di ottenerne 0.1 g. Parte del materiale è stato prelevato in prossimità del cratere artificiale durante il secondo touchdown e sembra essere composto da grani con dimensioni maggiori rispetto ai grani della superficie raccolti durante il primo touchdown: tali campioni potrebbero pertanto coincidere con il materiale sottosuperficiale esposto a seguito della formazione del cratere», conclude Galiano. «Le analisi chimiche e mineralogiche che verranno effettuate nei laboratori terrestri sui grani emersi dalla sottosuperficie di Ryugu potranno fornire ulteriori dettagli sull’origine dei materiali che compongono Ryugu, sulla loro evoluzione e sulle alterazioni che hanno subito».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Thermally altered subsurface material of asteroid (162173) Ryugu” di K. Kitazato, R. E. Milliken, T. Iwata, M. Abe, M. Ohtake, S. Matsuura, Y. Takagi, T. Nakamura, T. Hiroi, M. Matsuoka, L. Riu, Y. Nakauchi, K. Tsumura, T. Arai, H. Senshu, N. Hirata, M. A. Barucci, R. Brunetto, C. Pilorget, F. Poulet, J.-P. Bibring, D. L. Domingue, F. Vilas, D. Takir, E. Palomba, A. Galiano, D. Perna, T. Osawa, M. Komatsu, A. Nakato, T. Arai, N. Takato, T. Matsunaga, M. Arakawa, T. Saiki, K. Wada, T. Kadono, H. Imamura, H. Yano, K. Shirai, M. Hayakawa, C. Okamoto, H. Sawada, K. Ogawa, Y. Iijima, S. Sugita, R. Honda, T. Morota, S. Kameda, E. Tatsumi, Y. Cho, K. Yoshioka, Y. Yokota, N. Sakatani, M. Yamada, T. Kouyama, H. Suzuki, C. Honda, N. Namiki, T. Mizuno, K. Matsumoto, H. Noda, Y. Ishihara, R. Yamada, K. Yamamoto, F. Yoshida, S. Abe, A. Higuchi, Y. Yamamoto, T. Okada, Y. Shimaki, R. Noguchi, A. Miura, N. Hirata, S. Tachibana, H. Yabuta, M. Ishiguro, H. Ikeda, H. Takeuchi, T. Shimada, O. Mori, S. Hosoda, R. Tsukizaki, S. Soldini, M. Ozaki, F. Terui, N. Ogawa, Y. Mimasu, G. Ono, K. Yoshikawa, C. Hirose, A. Fujii, T. Takahashi, S. Kikuchi, Y. Takei, T. Yamaguchi, S. Nakazawa, S. Tanaka, M. Yoshikawa, S. Watanabe e Y. Tsuda