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Galassie: chi si fonde, si spegne

Uno studio condotto con Alma suggerisce che la causa fondamentale dello spegnimento della formazione stellare in galassie massicce nell’universo lontano sarebbe la fusione tra galassie. L’evento di fusione innescherebbe una fuga di gas molecolare – il combustibile insostituibile per la formazione di nuove stelle – nello spazio circostante e, qualora accompagnato da un evento di massiccia formazione stellare al centro della galassia fusa, darebbe vita alle enormi galassie che non producono più stelle, dal tipico colore rosso, la cui origine è tuttora dibattuta fra gli esperti

     11/01/2021

Distribuzione del gas in una galassia interagente dopo circa mezzo miliardo di anni dall’inizio della fusione. Le regioni in giallo indicano concentrazioni maggiori di gas. Una parte del gas stesso viene espulsa tramite code di marea. L’immagine è stata prodotta tramite una simulazione al calcolatore, ma rappresenta uno scenario simile a quanto osservato nella galassia ID2299. Crediti: Jeremy Fensch et al.

La fusione fra due galassie, avvenuta circa nove miliardi di anni fa, sarebbe la prova da tempo cercata dagli astronomi che questo tipo di fenomeno fisico arresti la formazione stellare nell’universo primordiale influenzando in modo definitivo la crescita delle galassie. Un nuovo studio – condotto dall’università di Durham nel Regno Unito, dall’istituto Cea-Saclay, dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dalle università italiane di Padova e Bologna – mostra infatti che un’enorme quantità del gas impiegato nella formazione di nuove stelle viene espulsa nel mezzo intergalattico a seguito dell’unione di due galassie. I ricercatori affermano che l’evento di fusione, unito a un’attività di intensa formazione stellare nelle regioni centrali della galassia fusa – chiamata ID2299 – finirebbe per privarla del combustibile per nuove stelle. Questo arresterebbe la nascita di nuove stelle per diverse centinaia di milioni di anni, compromettendo di fatto anche lo sviluppo della galassia stessa.

Nell’universo vicino sono molte le galassie massicce e “inerti” – che non hanno avuto cioè nascite recenti di giovani stelle – popolate in prevalenza da stelle molto vecchie, ma i processi che le hanno originate non sono ancora chiari. Le simulazioni suggeriscono come possibili responsabili i venti generati dai buchi neri attivi – durante il loro processo di accrescimento – o quelli creati da episodi di intensa formazione stellare, poiché essi causano l’espulsione di gas dalle galassie.

Ora, i risultati del nuovo studio condotto da Annagrazia Puglisi, ricercatrice postdoc del Centro di astronomia extragalattica della Durham University, pubblicato oggi su Nature Astronomy, aggiungono la fusione delle galassie come nuovo candidato per arrestare la formazione stellare e modificare la crescita delle galassie. Le caratteristiche osservative dei venti – causati dalla formazione stellare o da buchi neri attivi – e delle “code di marea” prodotte dall’interazione gravitazionale tra le galassie in queste fusioni possono essere molto simili, tanto che gli autori suggeriscono che alcuni risultati del passato potrebbero dover essere rivalutati alla luce della nuova scoperta.

«La nostra ricerca fornisce prove convincenti del fatto che il gas lanciato dalla galassia ID2299 è stato probabilmente espulso a causa della fusione tra due galassie a spirale ricche di gas. L’interazione gravitazionale tra due galassie può infatti fornire una quantità di moto angolare sufficiente per espellere parte del gas nell’ambiente della galassia», spiega Puglisi. «Questo suggerisce che le fusioni sono anch’esse in grado di influenzare l’evoluzione futura di una galassia limitando la sua capacità di formare stelle nel corso di milioni di anni e meritano pertanto di essere indagati più approfonditamente».

Rappresentazione artistica della galassia ID2299, frutto di una collisione galattica, e parte del suo gas che viene espulso da una “coda di marea” . Crediti: Eso/M. Kornmesser

A causa del tempo impiegato dalla luce di ID2299 per raggiungere la Terra, i ricercatori hanno osservato la galassia così come appariva nove miliardi di anni fa, quando si trovava nelle ultime fasi della sua fusione. In quel periodo, l’universo aveva solo 4,5 miliardi di anni ed era nella sua fase più attiva. Le osservazioni sono state condotte con il telescopio Atacama Large Millimeter Array (Alma) dell’Eso, situato nel nord del Cile, e hanno mostrato che ID2299 stava espellendo circa la metà del suo serbatoio di gas nello spazio circostante.

«Alma è stato fondamentale per rivelare, tramite l’emissione di due transizioni della molecola del monossido di carbonio nella banda sub-millimetrica, il gas molecolare espulso per effetti mareali dal sistema di galassie interagenti», dice Antonello Calabrò, ricercatore postdoc dell’Inaf a Roma e coautore dell’articolo.

«Nonostante sia possibile che parte del gas espulso possa successivamente “ricadere” nella galassia, ci aspettiamo che ciò possa avvenire almeno molte centinaia di milioni di anni dopo questo evento distruttivo. Nel frattempo, è verosimile che il gas rimasto nella galassia fusa sia già stato esaurito, smorzando così un’eventuale attività futura di formazione stellare», aggiunge Ivan Delvecchio, astronomo Inaf a Milano, anch’egli nel team che ha realizzato lo studio.

Il gruppo di ricerca è stato in grado di escludere la formazione stellare e i venti causati dal buco nero attivo della galassia come motivo di questa espulsione, confrontando le nuove misurazioni con studi e simulazioni precedenti e misurando le proprietà fisiche del gas fuoriuscito. In accordo con altre indagini, le osservazioni mostrano che la velocità con cui il gas viene espulso da ID2299 sarebbe infatti troppo alta per poter essere causata dall’energia espulsa da un buco nero o da un burst di formazione stellare, mentre le simulazioni suggeriscono che nessun buco nero può espellere così tanto gas freddo da una galassia.

«Nell’improbabile caso in cui questa energia sia stata effettivamente sprigionata da un’attività passata del buco nero centrale ora inattivo, ci aspetteremmo di osservare una significativa radiazione “fossile” in banda X, infrarossa o radio – evidenza non riscontrata nei dati», commenta Delvecchio.

«Questi fenomeni così distruttivi interessano appena il 3 per cento di tutte le collisioni tra galassie. Nell’universo ci aspettiamo un tasso di circa cinquecento eventi in un volume di un milione di anni luce cubo ogni miliardo di anni, che li rende pertanto un canale significativo di spegnimento della formazione stellare – canale che finora è stato trascurato», continua Calabrò. «Osservazioni future per un campione più esteso potranno chiarire l’incidenza statistica delle collisioni tra galassie sull’arresto della formazione stellare e, di conseguenza, il loro legame con la nascita di galassie ellittiche massicce e inattive. In particolare, confrontando il tasso di formazione stellare calcolato mediante diversi indicatori astrofisici e misurato in diverse fasi dell’interazione potremo avere una prova diretta, e in tempo reale, di questo rapido processo di spegnimento».