DAI COSTI ALL’UTILITÀ: CONTINUA IL DIBATTITO SU STARLINK E CO.

Megacostellazioni spaziali: il gioco vale la candela?

Un'analisi pubblicata su Research Notes of the American Astronomical Society ha esaminato il bacino di potenziali utenti della copertura internet a banda larga che potrebbe essere fornita in futuro da “megacostellazioni” di satelliti commerciali come Starlink. Secondo lo studio, per gran parte della popolazione del pianeta il servizio, i cui effetti sull'ambiente e sul cielo notturno sono stati ampiamente discussi nella comunità astronomica, sarebbe o troppo caro o non necessario

     02/11/2020

Le scie di una ventina di satelliti Starlink riprese poco dopo il lancio, nel novembre 2019, dalla Decam del telescopio Blanco da 4 metri del Cerro Tololo Inter-American Observatory (Ctio) dagli astronomi Clara Martínez-Vázquez e Cliff Johnson. Fonte: press release Iau. Crediti: Nsf’s National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory / Ctio / Aura / Delve

Da oltre un anno, la comunità astronomica ha dovuto iniziare a occuparsi di nuovi “inquilini” dell’orbita terrestre bassa: le costellazioni di satelliti che promettono di portare internet a banda larga e alta velocità su tutto il pianeta, comprese le aree più remote. Già poco dopo il primo lancio, nel maggio 2019, i ricercatori si sono accorti degli effetti dannosi di questi satelliti – che nella configurazione finale saranno decine di migliaia – sulle osservazioni del cosmo, sia in banda ottica che radio, instaurando commissioni apposite per indagare più a fondo sull’argomento e aprendo anche un dialogo con le aziende coinvolte per cercare di minimizzarne l’impatto sulla ricerca astronomica.

Alle crescenti preoccupazioni per l’impatto assolutamente non trascurabile sui dati raccolti da osservatori attuali e in costruzione, nonché sull’aspetto stesso del cielo stellato – un patrimonio culturale di tutta l’umanità – c’è chi contrappone i potenziali benefici derivanti da un accesso al web globale, capillare e di qualità. Benefici però difficili da quantificare a monte dei lanci spaziali che continuano a susseguirsi (la sola SpaceX ha già immesso in orbita centinaia di satelliti della serie Starlink).

Su questo tema ha cercato di fare chiarezza un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Meredith Rawls, astrofisica alla University of Washington di Seattle, negli Stati Uniti, formatosi a partire da alcune discussioni nate durante il convegno online DotDotAstro nel mese di agosto. In un commento pubblicato la settimana scorsa sulla rivista Research Notes of the American Astronomical Society (che raccoglie brevi articoli non sottoposti a peer-review), il team ha stimato il numero di utenti che potrebbero essere ragionevolmente interessati a questo servizio, basandosi su dati del 2018 forniti dall’Onu e dalla Banca mondiale. Da una parte, lo studio classifica i paesi del mondo in base alla percentuale di popolazione residente che ha attualmente accesso a internet, identificando una necessità per la copertura satellitare in quei paesi dove meno del 75 per cento della popolazione è online. Dall’altra, stima in quanti, nel mondo, potrebbero permettersi i costi di questo servizio.

Per quanto riguarda i costi, il team ha adottato un valore “generoso” – circa 60 dollari al mese, dunque inferiore agli 80 dollari annunciati inizialmente da SpaceX per il servizio Starlink. In un tweet del 28 ottobre, successivo all’uscita dell’articolo, Rawls cita un recente annuncio dell’azienda in cui il costo ammonterebbe addirittura a 99 dollari mensili. Lo studio confronta il costo annuale del servizio con il prodotto interno lordo pro capite, fissando la soglia massima al 10 per cento.

Combinando questi due parametri, la necessità di un nuovo servizio per la copertura internet non sussisterebbe in molti paesi del mondo, tra cui Stati Uniti, Corea del Sud e diverse nazioni europee. In numerosi altri paesi, in particolare nel sud globale, non ci sarebbe la disponibilità economica, pur essendovi un’evidente esigenza, e il servizio rimarrebbe inavvicinabile ai più anche in presenza di forti sussidi che potrebbero spingerne i costi sotto i 30 dollari al mese. Restano così solo una trentina i paesi in cui questo tipo di servizio risulta essere sia necessario che economicamente accessibile, tra cui Turchia, Brasile, Messico e Cina – quest’ultima però già impegnata con lo sviluppo di costellazioni satellitari nazionali. Appartiene a questo gruppo anche l’Italia, vicina al limite del 75 per cento per quanto riguarda la diffusione dell’accesso a internet nella popolazione, secondo i dati utilizzati.

Con queste premesse, la conclusione dello studio non è difficile da immaginare: le costellazioni satellitari non fornirebbero l’accesso a internet alle popolazioni che ne hanno maggiore bisogno, e dunque la corsa ai lanci di decine di migliaia di satelliti andrebbe cautamente ripensata.

Ma sono davvero inutili? «È difficile dirlo», risponde alla domanda di Media Inaf Mauro Nanni, dirigente tecnologo presso l’Istituto di radioastronomia di Bologna e responsabile dei sistemi informatici digitali dell’Inaf. «Sicuramente il costo iniziale è alto per chi vive con poco, anche se molta gente disposta a spendere in alcune parti del mondo apprezzerebbe, quindi non è completamente inutile. Un esempio simile c’è stato con il passaggio dalla telefonia fissa a quella mobile: all’inizio i costi erano proibitivi, ma adesso il cellulare è diffusissimo». Non dimentichiamo che si tratta pur sempre di iniziative commerciali private e quindi dipendenti dal modello di business adottato da ciascuna azienda. «Dipende se si riesce a raggiungere massa critica», prosegue Nanni. «L’esperienza del progetto Iridium per un sistema di telefonia satellitare in passato non ha avuto un gran successo economico».

Nelle conclusioni, l’articolo chiarisce che non si tratta di una decisione binaria – o l’accesso a internet, o preservare il cielo per l’astronomia – ma ricorda quanto il punto di non ritorno sia vicino, rendendo particolarmente urgenti eventuali azioni di mitigazione o regolamentazione. Anche Nanni ci ricorda come si tratti in fondo di una scelta politica, nella ricerca di un equilibrio «tra un’informazione che domani può diventare a basso costo e un cielo pulito per l’astronomia (e la radioastronomia) ma anche per quanto riguarda lo space debris».

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