IL “MANTELLO DELL’INVISIBILITÀ” POTRÀ FUNZIONARE?

Quel vedo non vedo della costellazione Starlink

L'obiettivo delle ultime modifiche che SpaceX intende apportare ai futuri satelliti Starlink è di renderli invisibili a occhio nudo e ridurre al minimo il loro impatto sulla ricerca astronomica, garantendo che qualunque effetto essi possano avere non ostacoli la capacità degli scienziati di fare nuove scoperte. Ma cosa ne pensa la Commissione Inaf di esperti per la valutazione dell’impatto delle costellazioni di nano-satelliti circa le nuove misure proposte dall'azienda di Elon Musk? Sono soddifacenti? «Al momento onestamente no», dice a Media Inaf Adriano Fontana

     26/05/2020

Immagine ripresa dagli astronomi Clara Martínez-Vázquez e Cliff Johnson, con un’esposizione di 333 secondi al Blanco 4-meter telescope presso il Cerro Tololo Inter-American Observatory (Ctio). L’immagine contiene almeno 19 striature create dal secondo gruppo di satelliti Starlink lanciati nel novembre 2019. Crediti: Nsf’s National Optical-Infrared Astronomy Research Laboratory/Ctio/Aura/Delve

Il 5 febbraio di quest’anno, Inaf ha nominato una commissione di esperti per la valutazione dell’impatto delle costellazioni di nano-satelliti per telecomunicazioni sulle osservazioni astronomiche da terra nelle bande ottiche e radio. Di questa commissione fanno parte Adriano Fontana (presidente della Large Binocular Telescope Corporation), Ennio Poretti (direttore della Fundación Galileo Galilei – Telescopio Nazionale Tng), Pietro Bolli (rappresentante italiano nel Committee on Radio Astronomy Frequencies della European Science Foundation), Giovanna Stirpe e Gianpaolo Vettolani (entrambi membri della commissione Protection of Existing and Potential Observatory Sites della Iau).

A seguito dell’ultimo update di SpaceX, Media Inaf ha chiesto chiarimenti alla commissione Inaf — in particolare ad Adriano Fontana — in merito all’efficacia delle soluzioni proposte dalla compagnia di Elon Musk, per capire cosa ne pensa la commissione stessa circa l’impatto della costellazione di satelliti Starlink sulle osservazioni astronomiche e radioastronomiche, oltre che su quello che si sta facendo nel mondo per tutelare la ricerca scientifica da questa forma di inquinamento.

Quali sono gli obiettivi di SpaceX in merito alla minimizzazione dell’impatto della costellazione di satelliti Starlink sulle osservazioni astronomiche?

«Dobbiamo partire dalla premessa che la comunità astronomica ha scoperto l’esistenza del problema solo con i primi lanci, quando i programmi erano ben avviati da parte di diverse società. Ora stiamo ponendo il problema nelle sedi opportune, consapevoli del fatto che dietro queste iniziative ci sono importanti spinte commerciali e anche grandi opportunità di sviluppo, grazie alla possibilità di portare Internet in molti paesi in cui le possibilità di connessione sono scarse. Nello specifico, SpaceX si sta dimostrando volenterosa nello stabilire un colloquio costruttivo con la comunità astronomica. Posso solo basarmi sui dati, osservando che Elon Musk in persona ha partecipato al confronto (trasmesso pubblicamente online) con la commissione americana incaricata di studiare l’impatto del problema sull’astronomia e sul progetto Lsst in particolare. E ha fatto ampie rassicurazioni sulla sua intenzione di difendere le possibilità di fare osservazioni astronomiche. Quindi speriamo bene».

Quali sono le strade che intendono perseguire per raggiungerli?

«Non sappiamo molto degli aspetti tecnici, stanno studiando sia il modo di ridurre la riflettività che quello di posizionare gli oggetti in orbite meno dannose, anche se penso che riguardo al dislocamento stiano primariamente seguendo logiche operative. Riguardo alla reflettività hanno raggiunto qualche risultato con una riduzione della luminosità apparente che è circa la metà di quella iniziale. Inoltre intendono controllare l’orientamento dei satelliti, nelle fasi successive al lancio, per minimizzare la riflessione di luce solare verso la terra, e intendono dotare i satelliti di una sorta di schermo parasole che blocchi la luce solare riflessa – questo nuovo elemento verrà testato nei prossimi lanci».

La mitigazione riguarderà solo la banda visibile o anche quella radio?

«Sono due strade molto diverse, sia dal punto di vista normativo che tecnologico. Dal punto di vista tecnico, nel visibile il satellite è un corpo che riflette la luce del Sole, mentre nel radio emette radiazione proprio per la sua funzione, visto che il segnale internet è trasmesso via radio nella stessa porzione dello spettro elettromagnetico in cui operano i radio telescopi. Quindi mentre nell’ottico si possono usare tecniche per diminuire la riflettività – come rivestimenti dedicati, orientamenti e orbite ottimizzate del satellite, eccetera – nel radio bisogna raggiungere un accordo relativamente alle specifiche bande utilizzate, ai livelli di emissione spuria fuori-banda e magari alla possibilità che i satelliti entrino in una modalità più “quieta” quando transitano su siti di radiotelescopi, in particolare nel caso di installazioni in posti remoti come Ska». 

In quando tempo possiamo aspettarci l’implementazione di queste misure?

«Non credo ci sia una roadmap chiara, e anche l’evoluzione delle società dei  lanciatori è difficile da prevedere – non tutte hanno la solidità, per non parlare delle incertezze aggiunte dalla pandemia». 

Siete soddisfatti delle misure proposte?

«Al momento onestamente no. Il dimezzamento della luminosità nell’ottico è sicuramente utile per rendere questi oggetti non visibili a occhio nudo una volta che hanno raggiunto l’orbita finale, che è importante per gli aspetti antropologici, ma insufficiente dal punto di vista delle osservazioni astronomiche, in quanto rimangono milioni di volte più luminosi degli oggetti che osserviamo coi telescopi moderni. Per alcuni telescopi –come Elt – possiamo adottare strategie osservative che minimizzano i danni, per altri progetti – come l’americano Lsst – l’effetto è più rilevante, ed è ancora oggetto di studio. Inoltre è previsto che i satelliti abbiano una vita operativa breve (3 o 4 anni), e questo implica che, per mantenere la rete, saranno necessari lanci frequenti, e altrettanto frequenti rientri controllati in atmosfera di satelliti dismessi. Entrambe queste fasi sono brevi, ma comportano un’alta visibilità dei satelliti coinvolti, e se occorrono ad alta frequenza rappresenteranno un problema sistematico».

L’Italia è coinvolta nei tavoli di discussione?

«In realtà esistono molti ambiti nei quali la discussione viene portata avanti. Alcuni sono prevalentemente americani, altri sono internazionali. È lì che facciamo sentire chiara la nostra voce a livello ufficiale, come Inaf o come governo italiano, specie attraverso gli organismi e le organizzazioni di cui facciamo parte, come Iau, Eso, e stiamo pensando al modo di portare il problema in ambito Onu. Per quanto invece riguarda il coordinamento della banda radio, attraverso il Comitato Europeo per la protezione delle bande di frequenza assegnate alla radioastronomia (Craf) di cui Inaf è un istituto membro, la comunità radioastronomica sta portando avanti le proprie preoccupazioni e richieste ai tavoli tecnici e regolatori preposti quali l’Itu a livello mondiale, e la Cept a livello europeo. Poi ci sono astronomi italiani che partecipano ad altre azioni, anche legali, a livello internazionale. Purtroppo la mancanza di una legislazione e di una regolamentazione internazionale nello spettro visibile non aiuta a governare il fenomeno. E ovviamente la natura trans-nazionale del problema lo complica ulteriormente, visto che ci sono piani anche da parte di società non americane».


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