LO SPECIALE SU NATURE

Su Cerere una riserva d’acqua liquida grazie al sale

Con i dati raccolti dallo spettrometro italiano Vir, un gruppo di ricercatori guidati dall’Istituto nazionale di astrofisica e dall’Agenzia spaziale italiana ha identificato del cloruro di sodio idrato (il comune sale “bagnato”) sul pianeta nano. Lo studio fa parte di uno speciale pubblicato su Nature dedicato ai risultati della sonda della Nasa Dawn

     10/08/2020

La struttura geologica Cerealia Facula nel cratere Occator sul pianeta nano Cerere. Immagine ottenuta dalla Framing Camera a bordo della sonda Dawn della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/ Ucla / Mps / Dlr / Ida

La missione della Nasa Dawn si è conclusa nel 2018 dopo 11 anni di servizio, ma i dati raccolti da gruppi di ricerca in tutto il mondo continuano a destare l’attenzione della comunità scientifica. È così che il gruppo Nature (nello specifico, le riviste Nature Astronomy, Nature Geoscience e Nature Communications) dedica un numero speciale, in uscita oggi, alla sonda spaziale statunitense e al pianeta nano Cerere. E tra gli articoli pubblicati in questa edizione uno è a prima firma italiana. Un gruppo di scienziati guidati dall’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) e dall’Agenzia spaziale italiana (Asi) ha sfruttato le potenzialità dello strumento made in Italy Visible and infrared mapping spectrometer (Vir-Ms) a bordo della sonda Dawn per studiare nel dettaglio i minerali che compongono le macchie brillanti scoperte sulla superficie del cratere Occator su Cerere. Sulla sommità di Cerealia Facula (una “giovane” e brillante struttura geologica al centro del cratere) è stata rilevata una miscela di diversi minerali che si formano in presenza di acqua liquida: in particolare il cloruro di sodio idrato, il comune sale con intorno numerose molecole di acqua.

Al termine della missione, la navicella spaziale è arrivata a una altezza di soli 35 chilometri dalla superficie di Cerere avvistando depositi brillanti di sali, la prova di un oceano i cui resti congelati, principalmente carbonato di sodio e cloruro di ammonio, si sono depositati sul terreno: probabilmente il liquido percolava fino alla superficie attraverso delle fratture per poi evaporare. Ma da dove veniva tutto questo liquido?

I ricercatori hanno concluso che le macchie brillanti, dal latino faculae, sarebbero la prova “tangibile” che Cerere possedesse un tempo un oceano subsuperficiale globale, un profondo serbatoio di “salamoia” (o acqua salata). Analizzando il campo gravitazionale di Cerere (che, con un diametro di 950 chilometri, è l’oggetto più massiccio della Fascia principale degli asteroidi del Sistema solare tra Marte e Giove), gli scienziati hanno appreso di più sulla struttura interna del pianeta nano e sono stati anche in grado di misurare il serbatoio di acqua salata, profondo circa 40 chilometri e largo centinaia di chilometri. 

La prima autrice dello studio a guida Inaf pubblicato su Nature, Maria Cristina De Sanctis (ricercatrice all’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma, nonché principal investigator dello spettrometro italiano), spiega che «i sali che Vir ha identificato sull’area brillante del cratere Occator sono gli stessi presenti anche nei getti di Encelado. Nel caso della luna di Saturno, questi sali si formano nell’oceano sotto la superficie e risalgono attraverso delle fratture fino alla superficie per poi essere emessi nello spazio, costituendo questi getti (plume, in inglese). Nel caso di Cerere, si ritiene che i sali che Vir ha rilevato in superficie siano una chiara espressione di acqua salata presente sotto la superficie del pianeta nano stesso».

Distribuzione del cloruro di sodio e del carbonato di sodio su Cerealia Facula, osservato dallo strumento Vir a bordo della missione Dawn della Nasa. Crediti: Nasa/Jpl-Caltech/ Ucla / Mps / Dlr / Isa / Inaf / Asi

Dalle analisi condotte dal gruppo a guida italiana si evince la presenza di cloruro di sodio idrato (o sale). Questo sale rende l’acqua liquida anche sotto gli zero gradi centigradi, permettendo quindi di mantenere l’acqua fluida in condizioni di temperatura in cui normalmente sarebbe ghiacciata. «Il cloruro di sodio idrato – aggiunge De Sanctis – non è stabile alle condizioni della superficie di Cerere e perde rapidamente la parte idrata. Il fatto di osservare oggi il sale idrato implica che il fluido contenente il sale è arrivato in superficie molto di recente o sta attualmente risalendo esponendosi sulla superficie. Inoltre, non possiamo escludere che siano presenti anche altri composti (altri sali e materiale organico) come nel caso di Encelado».

«Grazie alle misure di Vir e alla capacità di analisi ed interpretazione dei dati del team dello strumento, è stato possibile identificare la presenza di cloruro di sodio idrato – afferma Eleonora Ammannito, ricercatrice all’Agenzia spaziale italiana e seconda autrice della pubblicazione – in aggiunta agli elementi già identificati in precedenza come il carbonato di sodio e il cloruro di ammonio. Analizzando la distribuzione di tali composti nella regione delle faculae e come questi si localizzano rispetto alle strutture geologiche della zona è stato possibile capire che non si sono formati tutti insieme in un unico sporadico evento, sono piuttosto il risultato di un processo lungo e complesso che potrebbe essere ancora in corso». E prosegue: «Alla luce di questi nuovi risultati Cerere si conferma come un piccolo pianeta in evoluzione il cui studio sempre più approfondito sta fornendo indicazioni utili sulla comprensione degli ambienti acquosi nel Sistema Solare con chiare implicazioni astrobiologiche».

Al termine della missione, lo spettrometro Vir ha inviato a Terra milioni di immagini, contribuendo in maniera decisiva allo studio accurato delle caratteristiche e della storia di Cerere e Vesta (il secondo target della missione). Promosso e finanziato dall’Asi, Vir-Ms è stato realizzato da Leonardo sotto la guida scientifica dell’Inaf: è uno spettrometro  in grado di fornire immagini in ben 864 bande spettrali, coprendo un intervallo di lunghezze d’onda che si estende da 250 nanometri (radiazione ultravioletta) fino a 5 micrometri (infrarossi). Il tutto a risoluzione elevatissima: per riprese effettuate da un’altitudine di 100 km, appena 25 metri per pixel.

Guarda l’intervista a Maria Cristina De Sanctis su MediaInaf Tv:

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Fresh emplacement of hydrated sodium chloride on Ceres from ascending salty fluids”, di M. C. De Sanctis, E. Ammannito, A. Raponi, A. Frigeri, M. Ferrari, G. Carrozzo, M. Ciarniello, M. Formisano, B. Rousseau, F. Tosi, F. Zambon, C. A. Raymond e C. T. Russell.
  • Maria Cristina De Sanctis e Federico Tosi, anch’egli ricercatore dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Inaf di Roma, fanno parte anche di un altro team di ricercatori che ha firmato lo studio “Impact heat driven volatile redistribution at Occator crater on Ceres as a comparative planetary process” (primo autore P. Schenk del Lunar and Planetary Institute/Usra), pubblicato su Nature Communication sempre per questo speciale di Nature. Nello specifico, il paper focalizza l’attenzione sul cratere Occator e sulla sua composizione: mappando la superficie di questa area di Cerere è stato scoperto un mantello fatto di un materiale simile al fango ma ricco di “sale” diffuso in depressioni e tumuli luminosi che indicano un processo di degassamento di sostanze volatili sul pianeta nano.