LO STUDIO È STATO PUBBLICATO SU NATURE ASTRONOMY

La ribalta dell’interferometria a intensità stellare

Gli scienziati della collaborazione Veritas hanno misurato i diametri angolari di Beta Canis Majoris e Epsilon Orionis usando – per la prima volta dopo 50 anni dalla prima implementazione – l'interferometria a intensità stellare e dimostrando il miglioramento della sensibilità della tecnica e la sua scalabilità. Con il commento di Giovanni Pareschi dell'Inaf, principal investigator del progetto Astri

     22/07/2020

Rappresentazione artistica che illustra l’effetto su un’immagine stellare di una migliore risoluzione angolare, ottenuta utilizzando una versione scalabile della tecnica di interferometria di intensità sviluppata presso l’array Veritas. Crediti: M. Weiss.

Gli scienziati della collaborazione Veritas (Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System) – del Center for Astrophysics – Harvard & Smithsonian e dell’Università dello Utah – hanno misurato i diametri angolari di Beta Canis Majoris ed Epsilon Orionis usando – per la prima volta dopo 50 anni dalla prima implementazione – l’interferometria a intensità stellare e dimostrando il miglioramento della sensibilità della tecnica e la sua scalabilità, grazie all’utilizzo dell’elettronica digitale.

Osservazioni ad alta risoluzione angolare alle lunghezze d’onda ottiche sono fondamentali per studiare le stelle poiché forniscono preziose informazioni sull’astrofisica stellare, misurando direttamente i parametri delle stelle e sondando le atmosfere stellari, i dischi circumstellari, l’elongazione di stelle in rapida rotazione e la pulsazione delle stelle variabili Cefeidi. Tuttavia, le caratteristiche stellari che è possibile risolvere spazialmente rappresentano una vera sfida a causa della dimensione apparente estremamente piccola della maggior parte delle stelle, dell’ordine del millisecondo d’arco. Queste piccole scale possono essere studiate con l’interferometria ottica che utilizza array di molti telescopi con linee di base di centinaia di metri.

Solitamente, per raggiungere le risoluzioni angolari richieste, viene usata l’interferometria ottica di ampiezza (Oai, acronimo di Optical Amplitude Interferometry), che misura la funzione di coerenza spaziale della sorgente osservando le frange di interferenza prodotte quando la luce raccolta da telescopi distinti e separati viene sovrapposta. Un altro approccio è quello dell’interferometria di intensità stellare (Sii, acronimo di Stellar Intensity Interferometry) che sfrutta invece le correlazioni nelle fluttuazioni di intensità della luce delle stelle registrate con rilevatori indipendenti montati su telescopi separati.

Narrabri Stellar Intensity Interferometer. Crediti: Barnaby Norris

La Sii è stata sviluppata alla fine degli anni ’50 e ha portato alla realizzazione dell’interferometro di Narrabri (Nsii, acronimo di Narrabri Stellar Intensity Interferometer) che è stato utilizzato per osservazioni dal 1963 al 1974 e ha portando al primo catalogo di 32 diametri angolari stellari. Tuttavia, le osservazioni di Nsii erano limitate a stelle molto luminose, con magnitudini visuali inferiori a 2.5. La sensibilità di un telescopio Sii è direttamente proporzionale all’area del telescopio e all’efficienza del rivelatore, e inversamente proporzionale alla radice quadrata della risoluzione temporale. Questi fattori hanno limitato le capacità di Nsii e i concomitanti avanzamenti tecnologici nell’Oai hanno precluso ulteriori sviluppi della Sii.

Vista dall’alto dell’array di telescopi Veritas con indicate le linee di base. Crediti: Veritas Collaboration

L’interferometria di intensità stellare è tornata alla ribalta per via dell’alto potenziale tecnologico con cui sono equipaggiati gli attuali array di telescopi di grande diametro (superiore a 10 metri), nonché quelli futuri. Uno strumento in grado di praticare la Sii richiede la registrazione dell’intensità della luce stellare con una risoluzione temporale di nanosecondi e la successiva correlazione delle intensità tra coppie di telescopi. La lunghezza del percorso ottico deve essere controllata con una precisione non superiore a pochi centimetri, determinata dalla distanza percorsa dalla luce in un tempo pari alla durata della risoluzione temporale del rivelatore.

L’insensibilità alle imperfezioni ottiche consente di installare la strumentazione Sii sugli array di telescopi Cherenkov (Iact, acronimo di Imaging Atmospheric-Cherenkov Telescope) costruiti per l’astronomia gamma. Con specchi di diametro generalmente superiore a 10 metri, gli Iact sono tra i maggiori collettori astronomici di luce. Gli Iact impiegano ottiche veloci con specchi segmentati per ridurne i costi, quindi sebbene l’ampia area di raccolta venga ottenuta a scapito della risoluzione di imaging, sono in grado di eseguire fotometria ottica rapida e misurazioni Sii di stelle molto più deboli di quelle accessibili a Nsii. Le linee di base tra i telescopi possono essere rese arbitrariamente grandi al fine di sondare scale angolari attualmente senza precedenti, fino a decine di microsecondi d’arco, con linee di base di un chilometro di lunghezza. Un vantaggio significativo della Sii è che la tecnica può essere scalata fino a un numero arbitrario di telescopi poiché sono richiesti solo collegamenti elettronici digitali, consentendo a osservatori di questo tipo di operare in modo confrontabile agli interferometri radio.

Gli autori dello studio pubblicato su Nature Astronomy riportano l’implementazione – avvenuta con successo – di un sistema di interferometria di intensità stellare sviluppato per i quattro telescopi riflettori da 12 metri Iact di Veritas. L’array si trova presso il Centro per l’astrofisica – Harvard & Smithsonian, Fred Lawrence Whipple Observatory ad Amado, in Arizona, e attualmente è l’osservatorio per raggi gamma ad altissima energia più sensibile al mondo, in grado di rilevare i raggi gamma attraverso i lampi estremamente brevi della luce blu Cherenkov che si creano quando tali raggi vengono assorbiti nell’atmosfera terrestre.

Fotografia di Veritas, situato al Fred Lawrence Whipple Observatory si trova ad Amado, Arizona. L’array è composto da quattro telescopi da 12 m di diametro, T1 (al centro, davanti), T2 (più a sinistra), T3 (più a destra), T4 (al centro, dietro). Crediti: Veritas Collaboration

Il sistema è stato utilizzato per misurare il diametro angolare delle due stelle Beta Canis Majoris (Mirzam) – una stella gigante blu posta a 500 anni luce dal Sole – e di Epsilon Orionis (Alnilam) – una stella supergigante blu situata a 2000 anni luce dal Sole – con una precisione migliore del 5 per cento. Le due stelle sono state osservate per 5.5 e 4.25 ore, rispettivamente, nelle notti tra il 12 e il 14 dicembre 2019, quando in cielo c’era la Luna piena e Veritas non poteva essere usato come strumento gamma poiché la luce del nostro satellite avrebbe sovrastato il debole segnale Cherenkov. Per eseguire le misure Sii, in prossimità del piano focale dei telescopi Veritas è stata installata una camera dedicata, dopo aver deviato il fascio con uno specchietto montato a 45 gradi sopra alla camera per raggi gamma. La luce stellare è stata fatta passare attraverso un filtro centrato a 416 nanometri, con larghezza di banda pari a 13 nanometri, e successivamente rivelata da un tubo fotomoltiplicatore. Il segnale risultante è stato digitalizzato e registrato su un disco con un rate di 250 MS/s per ogni telescopio. La correlazione tra le intensità registrate da ogni telescopio è stata fatta off-line, a posteriori.

«Questa è la prima dimostrazione della tecnica originale di Hanbury Brown e Twiss che utilizza una serie di telescopi ottici», ha affermato David Kieda, astronomo della Università dello Utah e principal investigator del progetto. «L’elettronica moderna ci consente di combinare computazionalmente segnali luminosi da ciascun telescopio. Lo strumento risultante ha la risoluzione ottica di un riflettore delle dimensioni di un campo da calcio».

«Risolvere qualcosa delle dimensioni di una moneta sulla Luna è una cosa meravigliosa. Sapere se quella moneta è un centesimo o un nichel è qualcosa di ancora più speciale. Se vuoi quel livello di dettaglio, allora ti serve che l’interferometria di intensità operi su questa scala», afferma Michael Daniel, Operations Manager di Veritas.

Questo lavoro pionieristico dimostra la fattibilità di eseguire misurazioni astrofisiche con telescopi Cherenkov usati come interferometri di intensità, con la promessa di integrare un sistema di interferometria di intensità nei futuri osservatori come il Cherenkov Telescope Array (Cta). «In questo momento siamo pionieri per il futuro Cherenkov Telescope Array; abbiamo dimostrato di poter aggiungere 100 telescopi a questo design, consentendo agli astronomi di visualizzare le caratteristiche superficiali delle stelle con una risoluzione ottica senza pari», conclude Wystan Benbow.

Media Inaf ha chiesto un commento in proposito all’interferometria a intensità stellare a Giovanni Pareschi dell’Inaf, principal investigator del progetto Astri: «La tecnica è stata inventata negli anni ’60 da Hanbury-Brown e Twiss e per poter funzionare necessita di collettori molto grandi, possibilmente multipli e distanziati, seppure di risoluzione angolare modesta. Normalmente questo tipo di telescopio non viene costruito perché la preferenza ricade su telescopi ottici classici. Tuttavia, i telescopi Cherenkov offrono naturalmente questa possibilità. Questo è molto importante, non tanto per la misura in sé fatta da Veritas – sicuramente interessante e rilevante – quanto perché in prospettiva, con array molto più grandi, si possono ottenere risoluzioni angolari estremamente buone. Questa scienza è ritenuta ancillare a quella dei telescopi Cherenkov, che normalmente hanno un’altra camera che studia i raggi gamma. Per usare questa tecnica servono dei telescopi molto grandi che riescano a concentrare più flusso possibile, e questa è la grande opportunità offerta dai telescopi Cherenkov. È proprio questo aspetto che sta ravvivando il settore perché, oltre a migliorare la parte di rivelazione, serve aumentare la possibilità di avere tanta area collettrice e tanti di questi telescopi distribuiti possibilmente uno lontano dall’altro, su un’area molto grande. Questa nuova opportunità è offerta dagli array Cherenkov, come Veritas e in futuro Cta. Nel mezzo ci sarà il mini array Astri dell’Inaf, alle Canarie. Siccome il mini-array Astri è costituito da nove telescopi distanti circa 250 metri l’uno dall’altro – molto di più di quanto siano distanti i telescopi di Veritas, dove la distanza è dell’ordine di 100 metri – e visto che la lunghezza totale arriva a circa 700 metri, la risoluzione angolare ottenibile è molto migliore e i dettagli che possiamo andare a vedere sono dell’ordine di 50 microsecondi d’arco, contro qualche millisecondo d’arco della misura riportata in questo studio».

Quello che sarà il mini-array Astri sul Teide, alle isole Canarie. Crediti: Astri – Inaf

«La prospettiva di usare questa tecnologia con Cta è sicuramente attraente ma la cosa per Inaf più importante è che stiamo costruendo alle Canarie il mini-array Astri a guida Inaf, fatto di piccoli telescopi, che permetterà di avere già tra qualche anno la possibilità di raggiungere risoluzioni angolari estremamente competitive: quello che si potrebbe definire il record mondiale di risoluzione angolare, nell’ottico! Ovviamente ciò potrà essere raggiunto per stelle brillanti: non per niente si chiama Stellar Intensity Interferometry, proprio perché per poter essere applicata questa tecnologia necessita di misure su stelle brillanti, ossia di qualche magnitudine. Per quanto riguarda il coinvolgimento di Inaf, all’Osservatorio Astronomico di Padova, il team che lavora ad Astri è guidato da Luca Zampieri insieme a  Giampiero Naletto dell’Università di Padova, all’Osservatorio di Astrofisica e Scienza dello Spazio di Bologna c’è Gabriele Rodeghiero e all’Osservatorio Astrofisico di Catania le attività sono guidate da Giovanni Bonanno. Il gruppo si coordina costantemente con il project manager e l’ingegnere di sistema di Astri, Salvo Scuderi e Enrico Giro», continua Pareschi.

«È importante ricordare che in Italia c’è stata una persona che negli anni, a partire da quindici anni fa, ha spinto tantissimo per riportare in auge questa tecnologia: il professor Cesare Barbieri dell’Università di Padova. Se questa tecnologia viene oggi considerata anche dagli americani – che in questo caso hanno fatto la misura – è anche perché Cesare Barbieri ha portato in varie sedi internazionali l’idea di ripristinare questa tecnologia».

Per saperne di più:

  • Leggi su Nature Astronomy l’articolo “Demonstration of stellar intensity interferometry with the four VERITAS telescopes” di U. Abeysekara, W. Benbow, A. Brill, J. H. Buckley, J. L. Christiansen, A. J. Chromey, M. K. Daniel, J. Davis, A. Falcone, Q. Feng, J. P. Finley, L. Fortson, A. Furniss, A. Gent, C. Giuri, O. Gueta, D. Hanna, T. Hassan, O. Hervet, J. Holder, G. Hughes, T. B. Humensky, P. Kaaret, M. Kertzman, D. Kieda, F. Krennrich, S. Kumar, T. LeBohec, T. T. Y. Lin, M. Lundy, G. Maier, N. Matthews, P. Moriarty, R. Mukherjee, M. Nievas-Rosillo, S. O’Brien, R. A. Ong, A. N. Otte, K. Pfrang, M. Pohl, R. R. Prado, E. Pueschel, J. Quinn, K. Ragan, P. T. Reynolds, D. Ribeiro, G. T. Richards, E. Roache, J. L. Ryan, M. Santander, G. H. Sembroski, S. P. Wakely, A. Weinstein, P. Wilcox, D. A. Williams & T. J. Williamson