L’ESPLOSIONE SUPERLUMINOSA SN 2006GY È DI TIPO IA

Mega supernova con nana bianca nel cuore

Uno studio pubblicato su Science da un team del Max Planck Institute for Astrophysics rivela uno scenario inatteso all‘origine dell'esplosione di Sn 2006gy. I risultati si basano su un’insolita firma chimica: grandi quantità di ferro neutro emesse dalla supernova superluminosa un anno dopo la sua esplosione. Se confermato, il risultato rappresenterebbe un passo importante verso la comprensione di questi eventi cosmici estremi

     27/01/2020

Immagine della supernova Sn 2006gy nella galassia Ngc 1260, circa sei anni dopo che l’esplosione fu osservata per la prima volta. La supernova brilla ancora intensamente nella regione esterna della sua galassia ospite. Crediti: Nasa / Hst, Fox et al. 2015

Le supernove superluminose sono considerante le esplosioni più brillanti del cosmo: fino a cento volte più luminose delle normali supernove, raggiungono un picco di luminosità superiore a quello di un’intera galassia. Cosa ci sia all’origine di questa energia e quale fosse il tipo di sistema stellare progenitore esploso non è ancora chiaro, ma uno studio pubblicato venerdì scorso su Science potrebbe contribuire a svelare il mistero.

Una fra le prime supernove superluminose mai studiate è Sn 2006gy, osservata per la prima volta nel 2006. Fra le teorie avanzate per spiegare la sua eccezionale luminosità vi era quella di una interazione tra l’esplosione di supernova di tipo IIn e il materiale circumstellare, che avrebbe prodotto una grande quantità di radiazione. Nel 2009, un team di ricercatori dell’Hiroshima Astrophysical Science Center aveva presentato uno studio che mostrava tutti i “colori dell’arcobaleno” di Sn 2006gy un anno dopo l’esplosione. Lo spettro mostrava alcune linee di emissione mai viste prima in nessuna supernova osservata. La loro origine e il significato sono rimaste un mistero per oltre un decennio. Ora un team di ricercatori del Max Planck Institute for Astrophysics, in collaborazione con il team giapponese, è riuscito a farne risalire l’origine al ferro neutro – dunque ferro non ionizzato, a basso contenuto energetico, con tutti gli elettroni al loro posto.

«È raro trovare nelle supernove la presenza di ferro a livello energetico così basso», osserva il primo autore dello studio, Anders Jerkstrand, del Max Planck Institute for Astrophysics. «Le alte energie coinvolte durante l’esplosione tendono a rimuovere uno o più elettroni dagli atomi». Non solo: di solito la supernova si espande troppo velocemente per consentire di osservare chiaramente le singole righe del ferro nello spettro. «Questo particolare insieme di righe non è mai stato visto prima in nessun tipo di nebulosa astrofisica», aggiunge infatti Jerkstrand. «Sn 2006gy deve avere davvero alcune proprietà fisiche inusuali».

Le righe precedentemente non identificate nello spettro della supernova Sn 2006gy e ora ricondotte alla presenza di ferro neutro. La linea rossa mostra lo spettro osservato, la curva nera lo spettro teorico del ferro. Crediti: Max Planck Institute for Astrophysics

Questa insolita firma chimica mostra che il ferro è presente in abbondanza – circa un terzo della massa del Sole. È dunque probabile che, diversamente da quanto prima ipotizzato, si abbia a che fare con una supernova di tipo Ia, e quindi che all’origine dell’esplosione debba esserci stata una nana bianca.

Lo scenario proposto dagli autori dello studio è quello di un sistema stellare progenitore formato da un sistema binario composto da una nana bianca  di dimensioni confrontabili a quelle della Terra in orbita molto stretta attorno alla compagna, una stella gigante ricca di idrogeno. Man mano che la stella gigante si espande – questo accade nelle ultime fasi della sua evoluzione, e alcune possono diventare grandi quanto la distanza Terra-Sole o anche di più – la nana bianca viene avvolta nella sua atmosfera, finendo per cadere a spirale verso il centro della stella gigante. Raggiunto il nucleo della compagna, la nana bianca esplode – come supernova di tipo Ia, appunto. Espandendosi, l’onda d’urto dell’esplosione si scontra con il materiale precedentemente espulso dalla stella gigante. Ed è da questa seconda gigantesca collisione che ha origine la luce estremamente intensa di Sn 2006gy e lo spettro con le righe del ferro neutro.

«Si tratta di risultati significativi da più punti di vista», dice uno dei coautori dello studio, Keiichi Maeda dell’Università di Kyoto. «L’origine di Sn 2006gy come supernova di tipo Ia capovolge ciò che la maggior parte dei ricercatori aveva ipotizzato, vale a dire che questa esplosione provenisse da una stella molto massiccia».

«Il fatto che una nana bianca possa trovarsi in orbita stretta attorno a una stella compagna ricca di idrogeno, per poi esplodere rapidamente cadendo verso il centro, fornisce importanti e inedite informazioni per la complessa idrodinamica delle esplosioni di stelle compatte e per la teoria dell’evoluzione delle stelle binaria», aggiunge Jerkstrand.

Lo scenario suggerito dai ricercatori riproduce le proprietà chiave all’origine di Sn 2006gy, includendo le caratteristiche del ferro neutro. Le linee di ferro identificate nello spettro di SN 2006gy, infatti, forniscono un nuovo metodo diagnostico per la ricerca astrofisica.

Come i due nuclei si siano fusi e poi siano esplosi è una questione ancora aperta: ci sono passaggi mancanti o ancora poco esplorati a causa delle complessità computazionali nell’analisi dei dati. Nel frattempo, Sn 2006gy continua a irradiare una luce eccezionale dalle profondità della sua galassia ospite, conservando sorniona almeno parte del mistero sulla natura della sua luminosità.

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