VISTI CON MUSE NELLA COSTELLAZIONE DELL’OFIUCO

Tripletta di buchi neri supermassicci

Uno studio pubblicato su Astronomy & Astrophysics ha dimostrato per la prima volta che la galassia irregolare Ngc 6240 contiene non due bensì tre buchi neri supermassicci. È il primo caso del genere mai osservato, e contribuisce a comprendere la storia della formazione delle galassie più massicce: all‘origine potrebbe infatti esservi un processo di fusione simultanea fra galassie

     25/11/2019

La galassia irregolare Ngc 6240 con tre buchi neri supermassicci al suo interno. Crediti: P. Weilbacher (Aip), Nasa, Esa, the Hubble Heritage (Stsci/Aura)-Esa/Hubble Collaboration e A. Evans (University of Virginia, Charlottesville/Nrao/Stony Brook University)

Le galassie piuttosto grandi come la Via Lattea sono solitamente costituite da centinaia di miliardi di stelle e ospitano al loro centro un enorme buco nero con una massa che arriva a centinaia di milioni di masse solari: per questo, e per distinguerlo da buchi neri più piccoli, viene detto buco nero supermassicio.

Ci sono, tuttavia, numerosissime galassie che si incontrano e interagiscono tra loro in un processo di progressivo avvicinamento e successiva fusione dei rispettivi buchi neri. Fino a oggi si pensava che, tra molte centinaia di casi conosciuti, questa fosse la situazione della galassia “irregolare” conosciuta come Ngc 6240, che si trova a oltre 300 milioni di anni luce da noi, nella costellazione dell’Ofiuco. La sua particolare forma ha fatto supporre agli astronomi che si fosse formata dalla collisione di due galassie più piccole, e che quindi contenesse ben due buchi neri supermassicci in progressivo avvicinamento. Questi due oggetti erano noti da più di 25 anni.

Il sistema galattico Ngc 6240, noto per essere una galassia ultraluminosa all’infrarosso, è stato studiato nel dettaglio praticamente in tutte le lunghezze d’onda, compresi i raggi X da parte del satellite Chandra della Nasa, ed è stato finora considerato un vero prototipo, un modello per l’interazione delle galassie.

Ora sono però arrivati i risultati di uno studio,  guidato da Wolfram Kollatschny dell’università tedesca di Göttingen e pubblicato su Astronomy & Astrophysics, a portare una notizia sorprendente: la scoperta di un terzo buco nero nel cuore di Ngc 6240. «Attraverso osservazioni con risoluzione spaziale estremamente elevata», dice infatti l’astrofisico, «siamo stati in grado di dimostrare che il sistema galattico interagente Ngc 6240 ospita non due – come precedentemente ipotizzato – bensì tre buchi neri supermassicci nel suo centro».

«Una tale concentrazione di buchi neri supermassicci non era mai stata scoperta prima nell’universo», aggiunge uno dei coautori dello studio, Peter Weilbacher del Leibniz Institute for Astrophysics di Potsdam (Germania). «Il caso analizzato fornisce la prova di un processo di fusione simultanea di tre galassie e dei loro buchi neri centrali».

Ognuno dei tre buchi neri supermassicci di Ngc 6240 ha una massa di oltre 90 milioni di volte quella del Sole, e la distanza che li separa è molto piccola: si trovano tutt’e tre entro un raggio di 3000 anni luce, vale a dire meno di un centesimo della dimensione totale della galassia che li ospita. La scoperta di questo sistema triplo è di fondamentale importanza per comprendere l’evoluzione delle galassie nel tempo. Finora non è stato possibile spiegare come le galassie più grandi e massicce si siano potute formare – nel corso degli ultimi 14 miliardi di anni, cioè l’età approssimativa del nostro universo –  semplicemente attraverso la normale interazione galattica e i relativi processi di fusione. «Se, tuttavia, avvenivano simultanei processi di fusione di diverse galassie, le galassie più grandi, con i loro buchi neri supermassicci centrali, si sarebbero potute evolvere molto più velocemente», spiega Weilbacher. «Le nostre osservazioni forniscono la prima indicazione di questo scenario».

Le esclusive osservazioni ad alta precisione della galassia Ngc 6240 sono state ottenute utilizzando lo spettrografo 3D Muse (Multi Unit Spectroscopic Explorer), montato sul Very Large Telescope dell’Eso, in Cile. Lo spettrografo è stato utilizzato in modalità ad alta risoluzionespaziale, avvalendosi anche di quattro stelle laser generate artificialmente e del sistema di ottica adattiva. Grazie a questa sofisticata tecnologia, le immagini ottenute sono caratterizzate da una nitidezza simile a quella del telescopio spaziale Hubble, ma con l’ulteriore vantaggio di avere, grazie a Mure, uno spettro per ciascun pixel dell’immagine. Questi spettri sono stati essenziali nel determinare il movimento e le masse dei buchi neri supermassicci in Ngc 6240.

Gli scienziati prevedono che l’imminente fusione dei buchi neri supermassicci genererà, entro pochi milioni di anni, onde gravitazionali molto forti. Nel prossimo futuro, i segnali prodotti da oggetti simili potranno essere misurati con nuovi strumenti quali il rivelatore di onde gravitazionali Lisa, o il tanto sospirato Einstein Telescope.