CASCATE ALL’ORIGINE DELL’ATMOSFERA DEI GIGANTI GASSOSI

Là dove si riversa il gas si nascondono pianeti

Utilizzando i dati ottenuti dalle antenne di Alma, un team di scienziati ha osservato un flusso di materia che precipita nei solchi presenti all’interno del disco circumstellare della giovane stella Hd 163296. Il risultato, pubblicato oggi su Nature, conferma la presenza al loro interno di pianeti in formazione

     16/10/2019

Illustrazione artistica del disco protoplanetario di gas e polveri attorno alla giovane stella Hd 163296. Crediti: Robin Dienel, Carnegie Institution for Science

I dischi circumstellari che circondano le giovani stelle sono vere e proprie culle planetarie. Strutture nelle quali prendono forma i nuovi mondi che andranno poi a formare il futuro sistema planetario. Sono dunque le strutture ideali da studiare per comprendere i processi di formazione planetaria.

Le immagini ottenute a partire dai dati dell’array di telescopi Alma, in Cile, mostrano diverse strutture formate da questi dischi di gas e polveri. Materia distribuita uniformemente tranne in alcuni punti, dove sono presenti i cosiddetti gaps: solchi nella trama di questi dischi. Cosa c’è dentro a queste “tane discali”? L’ipotesi degli scienzati è che contengano pianeti in formazione. Un’ipotesi già verificata in numerosi studi e ulteriormente validata in quello condotto da un team di scienziati guidato da Richard Teague, dell’università del Michigan, pubblicato oggi su Nature.

Ciò che gli astronomi hanno fatto per arrivare a questa conclusione, oltre a studiare le polveri del disco, è stato analizzare il comportamento del gas – il 99 per cento della massa del disco protoplanetario – sfruttando le potenzialità delle antenne dell’array di telescopi Alma di captare la luce a lunghezza d’onda millimetrica emessa dal monossido di carbonio, uno dei gas che costituiscono il disco.

In particolare, utilizzando i dati ottenuti da Alma nell’ambito del progetto Disk Substructures at High Angular Resolution,  Teague e colleghi hanno determinato le velocità di rotazione nelle tre dimensioni dei gas attorno al disco di Hd 163296, giovane e studiatissima (qui tre articoli su Media Inaf) stella di massa circa doppia di quella del Sole situata a 330 anni luce dalla Terra. E hanno trovato una variazione nella velocità di rotazione del gas in tre diverse posizioni: a 87, 140 e 237 unità astronomiche.

Tre siti nei quali, per la prima volta, è stata osservata una cascata del gas dagli strati superiori verso il centro del disco protoplanetario. Una cascata di gas la cui esistenza è stata suggerita da modelli teorici già dagli anni ’90.

«Ciò che probabilmente accade è che un pianeta in orbita attorno alla stella sposta il gas e la polvere, aprendo un varco», dice Teague. «Il gas al di sopra del solco così prodotto collassa al suo interno come una cascata, dando origine a un flusso rotazionale di gas lungo il disco».

Crediti: Nrao/Aui/Nsf, B. Saxton

Per verificare se i solchi potessero realmente ospitare pianeti in formazione, i ricercatori si sono avvalsi di simulazioni ottenute utilizzando il modello computazionale di un sistema stellare. Ebbene, i risultati indicano che le cascate di gas osservate possono essere spiegate dalla presenza di tre pianeti con masse pari alla metà, all’equivalente e al doppio della massa di Giove rispettivamente per il solco più vicino, a 87 unità astronomiche, il mediano, a 140 unità astronomiche, e il più distante, a 237 unità astronomiche.

L’osservazione delle cascate di gas – oltre a offrire un’ulteriore conferma dell’esistenza, intorno ad Hd 163296, di pianeti che si stanno formando – contribuisce anche a spiegare l’origine dell’atmosfera dei giganti gassosi.

«I pianeti si formano nello strato intermedio del disco, il cosiddetto piano mediano: un luogo freddo», spiega Teague, «protetto dalle radiazioni della stella. Pensiamo che i solchi causate dai pianeti portino gas più caldo dagli strati esterni – chimicamente più attivi – del disco verso l’interno, e che sia questo gas a formare l’atmosfera planetaria».

«Ora abbiamo un quadro molto più completo della formazione dei pianeti rispetto a quello che immaginavamo», osserva Ted Bergin, coautore dello studio. «Caratterizzando questi flussi possiamo comprendere la formazione di pianeti come Giove e descrivere la loro composizione chimica alla nascita».

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