LAMPI GAMMA BREVI MOLTO DIREZIONALI

Più del previsto le collisioni tra stelle di neutroni

Un gruppo di ricerca a guida italiana e a cui hanno partecipato astronomi dell’INAF ha calcolato che possiamo vedere solo il 4 per mille dei lampi gamma “brevi”, prodotti nella fusione tra stelle di neutroni, perché i loro getti sono molto “stretti”. Più possibilità di vedere le relative onde gravitazionali, ma meno probabilità di vederle contemporaneamente alla controparte elettromagnetica. I commenti di Troja (NASA) e Ricci (INAF)

     15/07/2016
Illustrazione delle conseguenze della fusione di due stelle di neutroni, compresa la generazione di un lampo gamma. Al centro, un oggetto compatto - magnetar o buco nero – e, in rosso, un disco di materiale avanzato dalla fusione, in caduta verso l’oggetto compatto. L’energia prodotta da questo materiale produce il getto bipolare del GRB, evidenziato in giallo. Un vento di particelle (in arancione) spinge lontano il disco, mentre materiale espulso dall'oggetto compatto (in blu) si espandendo ad una velocità di circa un decimo quella della luce. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss

Illustrazione delle conseguenze della fusione di due stelle di neutroni, compresa la generazione di un lampo gamma con un getto bipolare. Crediti: NASA/CXC/M.Weiss

Nonostante i lampi gamma – o GRB, Gamma  Ray Burst – siano le esplosioni più luminose nell’universo, possiamo osservarne solo una minima parte, in quanto la loro luce si irradia in un fascio molto ristretto.

Questa la conclusione di uno studio in via di pubblicazione su The Astrophysical Journal basato su osservazioni del satellite NASA Chandra X-ray Observatory, del radiotelescopio Very Large Array in New Mexico, dei telescopi Gemini alle Hawaii e Discovery Channel Telescope (DCT) in Arizona.

Al gruppo internazionale di ricerca, guidato dall’italiana Eleonora Troja, ora alla NASA e all’Università del Maryland dopo una carriera di studi tra l’Università e l’INAF di Palermo, ha partecipato Roberto Ricci, dell’Istituto di Radioastronomia INAF a Bologna.

Il 3 settembre 2014 il satellite Swift della NASA rilevò un lampo gamma, denominato GRB 140903A, poi localizzato dal telescopio Gemini in una galassia a circa 4 miliardi anni luce da noi, una distanza relativamente prossima per un GRB. L’emissione di raggi gamma durò meno di due secondi, collocando il GRB in questione nella categoria dei lampi gamma “brevi”. Gli astrofisici ritengono che questi GRB di più breve durata siano conseguenti alla fusione (merger) tra due stelle di neutroni, oppure tra una stella di neutroni e un buco nero; i GRB “lunghi”, che durano più di due secondi, sarebbero invece il risultato del collasso di una stella massiccia.

La fusione di due stelle di neutroni porta alla creazione di una magnetar, con un campo magnetico estremamente intenso, o di un buco nero. In entrambi i casi, attorno al nuovo oggetto compatto rimane un disco di materiale, la cui ricaduta verso l’oggetto stesso scatena una violentissima esplosione, convogliata in due fasci luminosi, chiamati getti. Ma se il lampo gamma dura un attimo, l’emissione residua associata a un GRB (afterglow) visibile in tutte le bande spettrali rimane rilevabile per più tempo.

Osservazione dell’emissione residua del GRB 140903A in raggi X (sx) e in ottico (sx). La stella brillante non ha a che fare con il GRB, visibile invece all’interno del riquadro. Crediti: NASA/CXC/Univ. of Maryland/E. Troja et al, (dx); Lowell Observatory's Discovery Channel Telescope/E.Troja et al. (sx)

Osservazione dell’emissione residua del GRB 140903A in raggi X (dx) e in ottico (sx). La stella brillante non ha a che fare con il GRB, visibile invece all’interno del riquadro. Crediti: NASA/CXC/Univ. of Maryland/E. Troja et al, (dx); Lowell Observatory’s Discovery Channel Telescope/E.Troja et al. (sx)

Subito dopo la scoperta del GRB 140903A, attribuito alla fusione di due stelle di neutroni, gli autori del nuovo studio hanno osservato la fonte di emissione del lampo gamma con il satellite Chandra, sensibile ai raggi X, e altri telescopi terrestri.

«Nelle ore e nei giorni successivi al GRB 140903A», spiega Roberto Ricci a Media INAF, «abbiamo osservato un peculiare andamento nella curva di luce dei suoi afterglow, un rapido cambiamento di pendenza contemporaneo a tutte le bande dello spettro elettromagnetico, dalla banda X fino a quella radio. In base al modello standard dei GRB, questo effetto è una prova della presenza di un getto stretto e ben collimato, con un’apertura di soli 5 gradi. L’evidenza di un getto stretto in precedenti studi non era così chiara perché non si era osservato nelle curve di luce questo rapido declino in lunghezze d’onda multiple».

Il fatto che l’emissione del GRB sia collimata in un getto così stretto significa che sua la luce arriva fino a noi solo se è indirizzata direttamente verso la Terra, o pochissimo più spostata. Un’eventualità che si verifica raramente: solo nel 4 per mille dei casi, calcolano gli autori del nuovo studio.

Eleonora Troja. Crediti: NASA GSFC

Eleonora Troja. Crediti: NASA GSFC

«Il nostro risultato implica che le fusioni di stelle di neutroni producono getti di energia molto stretti», commenta a Media INAF Eleonora Troja, «e quindi, a meno che questo getto non sia puntato perfettamente nella nostra direzione, noi non riusciamo a vederli. Questo significa che il numero di merger è molto più alto di quello dei GRB brevi osservati, e questo aumenta la probabilità che LIGO possa presto osservare uno di questi sistemi di stelle di neutroni».

Troja fa riferimento alle due recenti rilevazioni di onde gravitazionali da parte degli osservatori LIGO. Onde gravitazionali scaturite, in quei casi, dalla fusione di due buchi neri. Per quanto riguarda la fusione di stelle di neutroni, sottolinea la ricercatrice, il nuovo risultato ottenuto implica purtroppo che la probabilità di vedere con i telescopi un GRB breve in contemporanea alla rilevazione di onde gravitazionali da parte di LIGO è molto bassa.

Un’altra, importante, implicazione di questa scoperta riguarda il modo in cui sono stati prodotti nell’universo gli elementi chimici più pesanti del ferro, come piombo e oro, che non provengono dalla nucleosintesi stellare. «Questo risultato supporta anche la teoria che i merger di stelle di neutroni possano essere l’origine di tutti gli elementi pesanti della nostra galassia», conferma Troja. «Infatti, se non ci fossero abbastanza fusioni di oggetti compatti non potremmo spiegare le abbondanze osservate».

Guarda il servizio video di INAF TV, con intervista a Roberto Ricci: