IL FLY-BY DELLA SONDA NEW HORIZONS

Verso Plutone e oltre

Le immagini dell’incontro ravvicinato con Plutone arrivano esattamente mezzo secolo dopo la prima foto da Marte, presa dal Mariner 4. Mezzo secolo per passare vicino a (o toccare) tutti i pianeti, più un assortimento di corpi minori: satelliti, asteroidi e comete. Homo sapiens planetarius ha completato l’esplorazione “in situ” del sistema solare in poco più di una generazione. L'editoriale di Giovanni Bignami su La Stampa

     13/07/2015

newhorizonsLe immagini dell’incontro ravvicinato con Plutone arrivano esattamente mezzo secolo dopo la prima foto da Marte, presa dal Mariner 4, nel luglio 1965. Mezzo secolo per passare vicino a (o toccare) tutti i pianeti, più un assortimento di corpi minori: satelliti, asteroidi e comete. Homo sapiens planetarius ha completato l’esplorazione “in situ” del sistema solare in poco più di una generazione.

E’ un successo incredibile, al quale prestiamo troppo poca attenzione. Per ottenerlo, la NASA e le altre agenzie spaziali hanno usato un capitale umano paragonabile a quello per le grandi Piramidi d’Egitto, su un tempo scala probabilmente simile. Ma con una grande differenza: alla fine della costruzione delle piramidi (e per molti secoli dopo), la tecnologia era sempre la stessa: pala, picco e ruota. Invece, le foto di New Horizons da Plutone contengono 5.000 volte più dati di quelli nelle foto del Mariner 4, pur mandate da Marte, la cui orbita è cento volte più vicina alla Terra.

Un enorme balzo tecnologico, in mezzo secolo, direttamente ricaduto nell’avanzamento ormai irreversibile della qualità della nostra vita di tutti i giorni: se facciamo le foto con uno smart phone, se le spediamo e gestiamo senza pensarci, ma anche se il computer di oggi batte il campione mondiale di scacchi, molto deriva dalla tecnologia e dalle sfide spaziali.

In più, per fortuna, siamo sempre meno ignoranti sull’Universo che ci circonda. Nel nostro sistema solare, Plutone era l’ultimo grande problema, un oggetto praticamente sconosciuto. Grazie a New Horizons, già sappiamo che è fatto di due terzi di sasso e un terzo di ghiaccio, che ha una sottile atmosfera di metano e di azoto, dove ogni tanto cadono fiocchi di neve di metano (o altro, vedremo).

Prima di capire meglio Plutone, Caronte e gli altri quattro satelliti (tutti con nomi da mitologia funebre) passerà un po’ di tempo. Dopo dieci anni di viaggio, il bello della missione di New Horizons è concentrato in due ore e mezzo: la durata del fly-by. Verranno prese immagini e dati in quantità maggiori di quanto la sonda possa inviare in tempo reale. Memorizzata, l’informazione ci arriverà ai ritmi imposti dalla potenza di bordo e dalla distanza. Continueremo a ricevere immagini sempre nuove, per noi, per più di un anno e mezzo.

E dopo il fly-by? la sonda passa e non può fermarsi, non avrebbe abbastanza carburante per frenare. Al di là di Plutone si apre la grande, sconosciuta “terza zona” del sistema solare, che viene dopo la zona interna dei quattro pianeti rocciosi e la successiva dei quattro gassosi. Quello che era il nono pianeta, e che adesso è un nanopianeta, sta sulla soglia della grande fascia esterna, una specie di freezer pieno di ziliardi di oggetti strani, rimasti lì, uguali a loro stessi dalla nascita del sistema solare, quasi cinque miliardi di anni fa. New Horizons sarà il quinto oggetto fatto dall’uomo a uscire dal sistema solare, ma prima dovrà passare per la sua misteriosa e antica periferia e sarà anche l’unico a poterla studiare.