IL SATELLITE DELLA NASA EREDE DI BEPPOSAX

10 anni di Swift

Il 20 novembre 2004 veniva lanciato da Cape Canaveral l’Osservatorio SWIFT. Si tratta di una missione NASA, con forte partecipazione italiana (ASI ed INAF) ed inglese, nata sulla scia del successo di BeppoSAX per studiare i lampi gamma grazie ad un approccio multilunghezze d’onda

     20/11/2014
Questa immagine della Grande Nube di Magellano è presa nell'ultravioletto da Swift

Questa immagine della Grande Nube di Magellano è presa nell’ultravioletto da Swift

Il 20 novembre 2004 veniva lanciato da Cape Canaveral l’Osservatorio SWIFT. Si tratta di una missione NASA, con forte partecipazione italiana (ASI ed INAF) ed inglese, nata sulla scia del successo di BeppoSAX per studiare i lampi gamma grazie ad un approccio multilunghezze d’onda.

SWIFT è dotato di tre strumenti: uno scopritore di lampi gamma capace di coprire una vasta zone di cielo (BAT, Burst Alert Telescope), un telescopio X con un campo di vista molto più piccolo per rivelare la luminescenza X che segue il lampo gamma (XRT, X-Ray Telescope) ed un piccolo telescopio ottico ultravioletto per la ricerca della controparte ottica (UVOT, Ultraviolet Optical Telescope). Caratteristica fondamentale delle missione è la capacità di cambiare direzione di puntamento in modo autonomo, ed in tempi brevissimi, per poter portare la posizione di un presunto lampo gamma, scoperto da BAT, all’interno del ristretto campo di vista di XRT e UVOT.magellano

Il sistema ha funzionato, e continua a funzionare, egregiamente. Grazie al ripuntamento rapido, SWIFT ha riscritto l’astrofisica dei lampi gamma con le sue molteplici sfaccettature, come rivelato dagli oltre 900 lampi gamma scoperti e studiati dal satellite. Oltre alla distinzione tra lampi lunghi e brevi, SWIFT ha scoperto i lampi extralunghi insieme ad eventi che, pur sembrando a prima vista lampi gamma, sono fenomeni diversi. Pensiamo al primissimo (e fuggevole) segnale X dell’esplosione di una supernova, che dura solo pochi minuti, oppure alla lunga emissione X prodotta dalla rapida distruzione di una stella da parte di un buco nero, seguita dalla formazione di un disco di accrescimento e di un jet relativistico. Si è trattato di prime importantissime che hanno sorpreso gli astronomi che se le sono trovate davanti per puro caso. Swift infographic mkIV 2

In 10 anni SWIFT ha eseguito 315.000 osservazioni di 26.000 diversi oggetti celesti, accettando 7.000 richieste di target of opportunity provenienti da 1.500 scienziati. E’ stata proprio la grande disponibilità a rispondere alle richieste della comunità, riaggiustando la sequenza delle osservazioni su tempi scala anche di decine di minuti, che ha trasformato un cacciatore di lampi gamma in una “facility” utilizzata da tutta la comunità astronomica mondiale. In effetti, oltre a scoprire, seguire e capire il comportamento di diverse famiglie di lampi gamma, SWIFT ha sfruttato la sua eccezionale rapidità di movimento per dare contributi importantissimi, e spesso rivoluzionari, alla “Time Domain Astronomy”, la branca dell’astronomia che studia il comportamento delle più svariate classi di sorgenti celesti variabili.

L’osservatorio SWIFT ha contribuito allo studio degli oggetti più disparati, a cominciare da quelli vicinissimi, pensiamo a comete ed asteroidi, per arrivare fino ai più remoti mai osservati, si tratta di lampi gamma prodotti da stelle che si sono formate, hanno bruciato rapidamente il loro combustibile e sono poi esplose, il tutto entro poche centinaia di milioni di anni dopo il big bang.

Oltre a fornire informazioni sul comportamento di oltre 900 lampi gamma, SWIFT ha osservato 300 supernovae e 700 galassie attive. Il suo telescopio ottico UV, pur di piccole dimensioni, ha prodotto una galleria unica nel suo genere di immagini di supernovae oltre a fantastici mosaici delle galassie più vicine. Vale la pena di guardare l’immagine della Large Magellanic Could, che ha richiesto 2.200 snapshot.
Come abbiamo già avuto modo di dire, SWIFT è considerata la missione NASA con il più alto output scientifico per ogni dollaro speso. Un risultato possibile anche grazie al continuo contributo italiano. Da un lato, ASI fornisce la stazione di terra di Malindi e supporta il coinvolgimento dei gruppi INAF nelle operazioni, dall’altro INAF fornisce personale per la gestione della missione e per lo sfruttamento scientifico. Una sinergia sulla quale la comunità italiana ha costruito una splendida storia di successo.